In piazza per l’aborto libero e sicuro

Il 28 settembre è la giornata internazionale dell’aborto sicuro appoggiata anche dalle Nazioni Unite e dalla Federazione internazionale dei ginecologi (Figo). Il giorno fu celebrato per la prima volta come giornata di azione per la depenalizzazione dell’aborto in America Latina e i Caraibi nel 1990 da parte della Campaña 28 Septiembre.

NEL MONDO

A ridosso della data, una vittoria delle donne e del movimento femminista nello stato di Oaxaca in Messico, dove il Congresso ha approvato con 24 voti a favore e 10 contrari, la modifica del codice penale per depenalizzare la sospensione della gravidanza fino alla dodicesima settimana. Una vittoria storica, considerando che dal 2007 l’interruzione di gravidanza entro i 3 mesi è consentita nella sola Città del Messico ma vietato, eccetto casi di stupro previa denuncia, nel resto del Paese dove è reato dal 2016. Almeno 200 donne sono state arrestate per aborti spontanei, parti prematuri ed emergenze ostetriche. Nello Stato di Oaxaca sono circa novemila gli aborti illegali ogni anno.

E l’aborto, sempre in questi ultimi giorni, può considerarsi legale in ognuno dei sei stati che compongono l’Australia, dopo che il New South Wales, lo stato di Sydney, ha deciso di cambiare le sue leggi e depenalizzarlo. In questo stato, infatti, esisteva ancora una legge di più di 100 anni fa secondo la quale l’aborto era possibile solo se un medico dichiarava che la gravidanza comportava un “serio pericolo” per la salute della donna.

IN EUROPA

Eppure il corpo delle donne nel mondo continua ad essere un vero e proprio campo di battaglia. Restringiamo anche solo il campo all’Europa. A Malta, roccaforte della Chiesa cattolica, l’aborto è illegale, perfino in casi di stupro, incesto e quando la salute della donna è a rischio. Le leggi sull’aborto in vigore nel paese sono tra le più rigide al mondo: una donna che interrompe la gravidanza e il medico che la aiuta possono rischiare fino a tre anni di carcere ciascuno. In altri paesi europei con leggi restrittive sui diritti riproduttivi, come l’Irlanda del Nord e la Polonia, l’aborto è consentito in alcune situazioni in cui la salute della donna è a rischio.

Nel Liechtenstein l’aborto è illegale in quasi tutte le circostanze, punibile con il carcere per la madre e il medico. Anche nel Principato indipendente di Andorra situato sui Pirenei, tra Francia e Spagna, l’aborto è illegale in ogni caso. Il 28 settembre, diversi collettivi femministi spagnoli e non saranno lì a manifestare.

Anche a soli 30 km da Rimini, in Italia, abortire è reato: nella repubblica indipendente di San Marino. È prevista la reclusione da tre a sei anni, estesa a chi aiuta o procura l’aborto. L’aborto non è consentito nemmeno in caso di stupro, incesto o malformazioni del feto. Gli articoli 153 e 154 del codice penale riconoscono l’attenuante dell’onore. Se una donna di San Marino decide di interrompere una gravidanza perché non è sposata può essere condannata al massimo ad un anno di carcere. In tutto a ciò, a breve, è prevista la discussione in Parlamento di una nuova proposta di legge di iniziativa popolare, sottoscritta da 500 cittadini (la raccolta firme è iniziata qualche giorno prima dell’8 marzo scorso) e promossa dalle Associazioni Laicali della Diocesi San Marino-Montefeltro. Si vuole modificare il codice penale vigente per concedere alle donne un’unica libertà di scelta: la “scelta” del sacrificio per salvare il feto, cioè dare la propria vita per quella del nascituro. Non siamo in un racconto distopico di Margaret Atwood ma nella realtà odierna.

In sei paesi su 10 nel mondo, l’aborto è illegale, mentre nei paesi dove formalmente non lo è, risulta comunque sotto attacco, specialmente nell’ondata reazionaria delle destre al governo.

Attacchi al corpo e all’autodeterminazione delle donne vengono portati avanti da fazioni e politici di estrema destra, reazionari, ultra-cattolici e omofobi. Al contempo, dispositivi biopolitici tentano di imbrigliare ogni forma di vita: imponendo alle eterosessuali la riproduzione (vedi campagne varie di Fertilità) anche in assenza di welfare, rendendo oltremodo difficile abortire in modo libero, sicuro e gratuito, accedere alla contraccezione, o ricorrere a forme di procreazione assistita e negando a gay, lesbiche e *trans di riprodursi quando ne avvertono il desiderio.

IN ITALIA

In Italia, secondo la Relazione contenente i dati definitivi 2017 sull’attuazione della L.194/78 che stabilisce norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (IVG), trasmessa al Parlamento il 18 gennaio 2019, dal 1983 l’IVG è “in continua e progressiva diminuzione in Italia”. D’altro canto la percentuale di obiezione di coscienza e l’accesso ai servizi IVG tra i ginecologi è pari al 68,4% e al 45,6% delle e degli anestetiste/i. Negli ultimi dieci anni il numero è aumentato di più del dieci per cento. La percentuale di obiettori varia poi da regione a regione: tra le altre, in Molise si registrano il 96,4% di medici obiettori, nella Provincia Autonoma di Bolzano l’85,2%, in Sicilia l’83,2% e in Veneto il 73,7%. L’articolo 9 della legge 194 prevede inoltre che gli enti ospedalieri e le case di cura assicurino comunque il servizio di 11 interruzione volontaria di gravidanza, ma oltre il 40% delle strutture (dati ISTAT 2016) non lo erogano, risultando effettivamente “fuorilegge”.

Nel terremoto politico che attraversa l’Italia non si vedono segni di discontinuità tra i vari governi, ma il preoccupante aggravarsi di un attacco patriarcale e razzista dal mare alla terraferma. L’attacco al diritto di famiglia e alla libertà delle donne e delle persone LGTBQIPA+ diventano terreno di negoziazione e scambio tra partiti, pensiamo al Ddl Pillon, che un giorno è al centro dell’agenda politica e il giorno dopo viene “messo nel cassetto” ma non viene ancora ritirato.

A oltre 40 anni dalla Legge 194 del 1978 in Italia, la mobilitazione continua anche per urlare a gran voce che “vogliamo molto più di 194!”.

Non Una Di Meno è parte del movimento per l’aborto libero sicuro e gratuito e si mobiliterà in molte città d’Italia avendo già in cantiere le prossime tappe: l’assemblea nazionale a Napoli del 19 e 20 ottobre e la manifestazione nazionale per l’eliminazione della violenza maschile e di genere del 23 novembre prossimo.

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