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Nella storia del Covid-19 a Bergamo c’è ancora molto da scrivere ma quando un libro d’inchiesta è scritto in questo modo diventa esso stesso Storia perché punto di partenza dal quale un domani anche la ricostruzione storica può attingere a piene mani.

In presa diretta dalla fabbrica del contagio

Pubblicato da franco.cilenti

He had summed up–he had judged. “The horror!”

Joseph Conrad, Heart of Darkness

La vicenda di Bergamo, centro della pandemia mondiale da Covid-19 per molti mesi, è motivo di analisi, articoli e libri che in questo periodo vengono pubblicati in una certa quantità. È difficile dare un giudizio qualitativo a tutto quanto viene scritto per molteplici ragioni. In primo luogo, siamo di fronte ad una vicenda tutt’altro che conclusa non solo dal punto di vista sanitario ma anche in termini di assunzione delle responsabilità e dell’iter giudiziario tuttora in corso, inoltre, anche se la fase critica sembra – per il momento – superata, è forse troppo presto per gestire tutte le variabili in gioco e dare un quadro della situazione sufficientemente chiaro. In questo senso il rischio dell’analisi frettolosa e la pubblicazione di istant book sull’onda della risonanza dell’avvenimento, non sempre fanno un buon servizio al raggiungimento di una interpretazione il più possibile oggettiva del fenomeno. Rischiano infatti di limitarsi al mero assemblaggio di fatti già noti, cercando un filo conduttore che li possa unire in un contesto nel quale molti fattori sono ancora sconosciuti o scarsamente analizzati e valutati, azzardando un metodo induttivo che porta talvolta a conclusioni fragili, facilmente attaccabili dalla critica. A questi fattori, inoltre, si deve purtroppo aggiungere che le spinte da parte di alcuni editori per accelerare la produzione di materiale informativo sulla vicenda non sempre sono garanzia di obiettività: le omissioni sulle responsabilità di alcuni singoli personaggi, forze politiche e categorie economiche sono quasi sempre costanti e non fanno un buon servizio alla credibilità della nostra stampa nazionale.

In questo contesto ancora fragile dal punto di vista dell’indagine e dell’informazione, il libro di Francesca Nava è invece un’eccezione di grandissima importanza, un punto fermo, un riferimento e chiave di lettura probabilmente imprescindibili per capire quanto accaduto.

Francesca Nava ci dà subito le motivazioni e il senso della sua indagine: nelle prime righe dell’introduzione scrive: “Ho immaginato questo libro dopo aver parlato con un medico di base di Bergamo, la città in cui sono nata. Tra le lacrime, mi ha raccontato quello che non vedevo scritto da nessuna parte. L’orrore”.

Ad opinione di chi scrive, bergamasco come l’autrice, questo orrore va persino al di là dell’impatto immediato delle migliaia di morti e dell’immagine delle bare portate via dai mezzi dell’esercito: è difficile, per il sottoscritto, non collegare l’inizio del lavoro di Francesca Nava con il finale di “Cuore di Tenebra” di Joseph Conrad. L’orrore dell’opera di Conrad non si limitava alla mera constatazione dei misfatti e dei massacri che l’essere umano compie, supera la dimensione fattuale del gesto per insinuarsi nell’essenza stessa dell’umanità: è l’orrore che si connette non solo per quello che l’essere umano fa, bensì per quello che è e può diventare. Nello stesso modo, l’orrore di Bergamo non è solo collegato alla strage subìta ma anche nel prendere coscienza che la superficialità, le scelte valoriali di convenienza economica e politica, i calcoli meschini di coloro che occupavano le posizioni di potere e di responsabilità hanno deciso che la vita umana non era il valore più alto da tutelare, che a questa andavano anteposti altri interessi, anche se questo sarebbe costato, così come avvenuto, migliaia di vite umane.

Questo tipo di orrore, è la chiave di lettura del libro, il filo conduttore e il sentire necessario che deve guidare l’intera lettura. È un sentire che accompagna l’autrice in ogni capitolo, in ogni pagina, una sofferenza palpabile nella scrittura ma, nello stesso tempo, l’origine della forza e della determinazione di un’indagine. Il Focolaio non è assolutamente un libro che fa leva sugli aspetti emozionali della vicenda, non è uno scritto che fa leva sull’indignazione: ci consegna la consapevolezza dell’indispensabilità dell’indignazione e contemporaneamente della sua insufficienza. È proprio a partire da questa consapevolezza che il libro acquista valore. Pur nella sofferenza e nella diretta partecipazione emotiva, Francesca Nava dimostra quella professionalità che caratterizzano un’opera di grande giornalismo d’inchiesta.

Alcuni anni fa l’UNESCO ha dato una definizione di cosa sia il giornalismo d’inchiesta: “la rivelazione di questioni che sono nascoste sia deliberatamente da qualcuno in una posizione di potere, sia accidentalmente dietro una massa caotica di fatti e circostanze, con l’analisi e la esposizione di tutti i fatti rilevanti per il pubblico. In questo senso il giornalismo investigativo contribuisce in maniera cruciale alla libertà di espressione ed allo sviluppo dei media, che sono al centro del mandato dell’Unesco”.

Il Focolaio risponde in pieno a tale definizione. Il lavoro di Francesca Nava è rigoroso: se da un lato utilizza uno stile narrativo fedele il più possibile ad uno sviluppo cronologico della vicenda che ne facilita la lettura, dall’altro non c’è un solo fatto o testimonianza che non siano documentati, non esiste alcun salto logico verso conclusioni facili o affrettate. Se le conclusioni ci sono, scaturiscono come naturale risultato di un’inchiesta e non di congetture scaturite dall’assemblaggio di fenomeni e notizie già note; se verso la fine del libro l’autrice può affermare che gli interessi economici hanno avuto un peso preponderante rispetto a quelli sanitari, lo può fare perché i fatti, reali, tangibili, oggettivi e documentabili ci portano inevitabilmente verso quella direzione a quella presa di coscienza senza possibilità di alternative.

Nella storia del Covid-19 a Bergamo c’è ancora molto da scrivere ma quando un libro d’inchiesta è scritto in questo modo diventa esso stesso Storia perché punto di partenza dal quale un domani anche la ricostruzione storica può attingere a piene mani. È questo, a mio avviso, uno dei principali meriti di questo lavoro e, in termini generali, uno dei principali valori di quel Giornalismo che dovremmo avere e che spesso non abbiamo. In una società nella quale la vita umana è subordinata agli interessi del Capitale gestiti dai suoi lacchè politici, un’altra informazione e un altro giornalismo sono necessari: nascosta dalle figure ingombranti di loquaci opinionisti la cui principale qualità è quella di sapere esaudire al meglio i voleri dei ricchi editori, esiste una miriade di giornalisti e di precari dell’informazione che conoscono il valore del loro lavoro e che tra mille difficoltà lo portano avanti. Vanno sostenuti in ogni modo e valorizzati, e non è solo per una questione di solidarietà: noi e l’intera società abbiamo bisogno di loro, di conoscere un mondo oggi celato se non addirittura negato da quell’opinionismo che compromette l’accesso alla conoscenza della materialità oggettiva del fenomeno come punto di partenza e strumento di analisi. In questo senso, un giornalismo che si rispetti deve riemergere e tornare alla portata di tutti e Il Focolaio di Francesca Nava è la dimostrazione lampante di ciò che dovrebbe essere, di questa necessità ancora insoddisfatta. Buona lettura!

Marco Noris

23/9/2020 https://transform-italia.it

Tags: Attilio Fontana Autonomia regionale differenziata Bergamo Contagi Covid-19 Francesca Nava Il Focolaio lockdown Pandemia privatizzazione sanità RSA Bergamo sanità Lombardia Servizio Sanitario Nazionale tagli sanità
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Autore: franco.cilenti

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