Infermieri legati…e tu slegali subito!

contenzione

Il Nuovo Codice deontologico dell’Infermiere approvato dal Comitato centrale della Federazione e dal Consiglio nazionale degli Ordini delle Professioni infermieristiche riuniti a Roma nella seduta del 12 e 13 aprile 2019  presenta, in tema di Contenzione, il seguente articolo:

« Art 35 – Contenzione. L’Infermiere riconosce che la contenzione non è atto terapeutico. Essa ha esclusivamente carattere cautelare di natura eccezionale e temporanea; può essere attuata dall’equipe o, in caso di urgenza indifferibile, anche dal solo Infermiere se ricorrono i presupposti dello stato di necessità, per tutelare la sicurezza della persona assistita, delle altre persone e degli operatori. »La contenzione deve comunque essere motivata e annotata nella documentazione clinico assistenziale, deve essere temporanea e monitorata nel corso del tempo per verificare se permangono le condizioni che ne hanno giustificato l’attuazione e se ha inciso negativamente sulle condizioni di salute della persona assistita.

Intrapresa da molti anni la strada “giusta” del riconoscimento disciplinare e professionale che equivale, innanzi tutto, alla legittimazione del diritto di cittadine e cittadini all’accesso a Cure fondamentali e specifiche, adeguate ed appropriate, il 13 aprile 2019, con l’articolo 35 del Nuovo Codice Deontologico dell’Infermiere, questa strada è stata smarrita.

Lo sviluppo ed il processo avviato nel corso degli ultimi anni di riconoscimento del valore e del merito della disciplina e della professione Infermieristica ha subito una gravissima battuta di arresto.

Ebbene sì, si è persa un’occasione che non si ripresenterà almeno per altri dieci anni. Si è persa l’occasione di qualificare il ruolo e la funzione dell’infermiere nella Cura di cittadini e cittadine fragili.

Ancora una volta, come nel 2009, si sono scelte scorciatoie imbarazzanti.

Ancora una volta ci si è prestati a genuflessioni organizzative senza pudore.

Nel 2019 si dedica un articolo alla Contenzione dopo dieci anni di dibattiti, analisi, ricerche, formazione, documenti, convegni, sentenze. Lo si dedica a una pratica oramai distintamente per analisi giuridica, medico legale, di evidenze, di letteratura, di saperi, competenze e buon senso, contro tutto e contro tutti. Contro la legge, l’etica, la deontologia, la professionalità, le politiche sociosanitarie, l’interesse delle comunità, dei singoli cittadini e cittadine, dei singoli professionisti.

Contro le diverse e più indifese fragilità: anziani, disabili, persone con problemi di salute mentale, persone con problemi di dipendenza, adolescenti e giovani con indicatori di malessere e manifestazioni di disagio e disturbo; proprio le aree dove il contributo della disciplina infermieristica è più prezioso, dirimente e determinante destini di benessere e di accoglienza, di attenzione e di ascolto, di risalita e di cura non altrimenti perseguibili.

La Storia ci ha viste e visti troppo spesso genuflessi a interessi e poteri altri da noi. Ancora una volta, ci genuflettiamo di fronte a organizzazioni e modalità operative che squalificano il nostro ruolo e la nostra funzione.

Ancora una volta lasciamo aperta la porta, anzi la apriamo noi stessi, a pratiche e modelli organizzativi che potranno permettersi di sottovalutare, non considerare, non assumere e non affrontare fondamentali bisogni di cura delle persone.

Ammicchiamo a modelli irrispettosi di dignità e libertà delle persone in cura. Lesivi dell’interesse dei soggetti più fragili, proprio quelli che più di altri a noi e alle nostre specifiche funzioni e competenze si affidano. Un tanto è ancora più grave se, come è, troppo spesso non possono fare altrimenti!

Ancora una volta, il destino ed il futuro degli Infermieri è unito a quello delle persone più fragili. Questa unione, da sempre, rappresenta uno dei punti di forza della disciplina infermieristica non sempre associata ad altrettanta consapevolezza. Ma, dal 13 aprile 2019, con l’articolo 35 del Nuovo Codice Deontologico, è un destino ed un futuro che ci vede uniti nello sconfortante vuoto di diritto, dignità, libertà, trattamenti adeguati ed appropriati anche in termini economici.

Dei due, infermieri e persone con fragilità in cura, sono i primi che avrebbero dovuto avere e dimostrare coraggio, competenza, lucidità, potere.

Si è invece, ancora una volta, scelta la mediazione più facile, la strada più timida, lasciato ai piedi del sentiero lo zaino del sapere, delle evidenze e della competenza, del coraggio della compromissione, della chiarezza, della responsabilità.

Peccato. Si è persa un’occasione importante.

È vero.

Si dichiara che la contenzione non è atto terapeutico.

Pur non definendola, si evince chiaramente che non si tratta di garanzia della postura.

Non ci si appella più alla prescrizione.

Facciamo tre passi avanti. Ma contemporaneamente, ancora una volta, si sdogana la contenzione con una maldestra lettura della stessa. Con una malcelata debolezza di fronte all’interpretazione della cattiva pratica che infligge penalità inaccettabili alle persone in cura (ma quale cura?!) ed al professionista che le cura. Paradossalmente, il risultato è tre volte peggiore.

Facciamo infatti chiarezza su tre cruciali passaggi, ma allo stesso tempo, ancora una volta, non prendiamo posizione. Ancora una volta non si propongono la trasparenza ed il coraggio necessari nel sostenere il diritto a cure adeguate ed appropriate. Così facendo, si nega il diritto alle persone che curiamo. Così facendo, neghiamo noi stessi, la nostra funzione di cura, il nostro ruolo, il nostro sapere, le nostre competenze, la nostra professionalità, la nostra disciplina. Neghiamo il paradigma della cura che tanto profondamente, specificamente e scientificamente ci connota.

Perché parlare di contenzione nel nuovo Codice Deontologico, se si tratta di un evento eccezionale, temporaneo?

Trovano forse posto nel Codice tutte le eccezioni? Perché la cattiva pratica della Contenzione sì, ed altre cattive pratiche no?

Se la contenzione è dettata da emergenza ed urgenza, può essere attuata da un’equipe? Per definizione il lavoro in equipe va concordato, condiviso, discusso; chiede tempo, concertazione, negoziazione. Se l’intervento è contenitivo, di blocco, se leghiamo le persone pianificando l’intervento in equipe, dove sta la temporaneità?

Da dove il bisogno di precisare che se è urgenza indifferibile, può essere attuata dal singolo infermiere? Non è forse ovvio? Non compete forse a qualunque cittadino, anche non professionista, “salvare” una persona in o dal pericolo (stato di necessità, art. 54 del Codice Penale)? Perché precisarlo? Non esiste già ed è norma dello Stato, lo stato di necessità?

Annotiamo nella documentazione clinica l’evento eccezionale, certo, corretto, ma monitoriamo che cosa? L’evento eccezionale, temporaneo? Nel corso del tempo, monitoriamo l’eccezionalità?

Se la contenzione è eccezionale, temporanea, legata a situazioni emergenti, allora, per definizione, non può essere monitorata.

Può essere trattata attraverso una presenza attiva, garantita, continua nella prontezza e solerzia del processo. Si chiama Cura, non contenzione.

Va trattata come un’urgenza e quindi risolta nell’immediatezza, seguita con attenzione e continuità nel decorso, trattata con valutazioni, cure e terapie del bisogno, del problema, della criticità. Non prevede lacci e lacciuoli, cinture contenitive, camice contenitive, fantasmini, blocchi di varia natura, o protocolli, mentre mi occupo di altro.

In questo caso non è un atto di cura urgente. È qualcos’altro. Nella migliore delle ipotesi è custodia. Ma l’infermiere, antico dilemma, è curante o custode?

Come se non bastasse, l’intero articolo 35/2019 appare, ancora, come nel 2009 l’articolo 32, in assoluta e netta contraddizione, risulta incoerente, con il resto del Nuovo Codice Deontologico.

Abbiamo perso.

Ancora una volta abbiamo perso un’occasione importante per schierarci dalla parte delle cure qualificanti e dovute.

Ancora una volta abbiamo scelto imbarazzanti compromessi nel Curare la gente, le persone, le comunità, le fragilità.

Ancora una volta abbiamo scelto di non Curare la nostra funzione, il nostro ruolo, le nostre Organizzazioni, la nostra Professionalità, la nostra Disciplina, il nostro Paradigma della Cura, le Persone.

Ancora una volta abbiamo scelto di curare interessi altri. Di aprire il fianco ferito a una non cura. Abbiamo ceduto il passo al compromesso, a una mediazione non virtuosa. Ancora una volta abbiamo scelto di non curare i nostri interessi. Ancora una volta abbiamo scelto di non prenderci cura di noi.

Si potrebbe dire molto ancora. Chi ci conosce lo sa. Abbiamo unito alle teorie le pratiche. Grazie alle pratiche, abbiamo perfezionato le teorie. Grazie al contributo di molti esperti, preparati ed infaticabili, abbiamo esplorato ed approfondito tutte le dimensioni: etica, deontologica, multiprofessionale e multidisciplinare, giuridica, medico legale, manageriale ed organizzativa, politica, comunitaria, personale, soggettiva, individuale; abbiamo sperimentato, proposto e realizzato soluzioni e alternative.

Potremmo quindi dire molto di più.

Potremmo citare evidenze, ricerche, bibliografia, documenti del Comitato Nazionale di Bioetica, delibere e decreti regionali, documenti internazionali, patti con il cittadino, esperienze sempre più virtuose e sempre meno puntiformi, con anni di esperienza o di recente attivazione…e molto altro.

Ma questo non è un documento da studiare. Tutta la comunità infermieristica italiana sa già come fare. Lo ha studiato e lo studia ogni giorno nei propri manuali e percorsi formativi. Dobbiamo solo provare a fare quello che studiamo. Quello in cui crediamo. Quello che dichiariamo.

Potremmo dire, invece, di storie singolari. Potremmo dire delle persone che, fiduciose o smarrite o non potendo fare altrimenti, ci affidano i loro destini. Ma la sintesi farebbe loro torto. Ci affidiamo e confidiamo in un pensiero di unione e condivisione che sappiamo essere comune in gran parte dell’Infermieristica italiana.

Dedichiamo quindi il passaggio conclusivo a tutti quei colleghi e colleghe, infermieri e altri professionisti sanitari (personale di supporto, fisioterapisti, educatori, medici, assistenti sociali, ostetriche, terapisti, psicologi, tecnici, etc.) che con pazienti, certosini, illuminati, competenti e specifici contributi quotidiani, con gentile determinazione e convinzione, ci consentono di poter affermare che si può.

È possibile offrire e concretizzare cure libere da contenzione meccanica, farmacologica ed ambientale.

È grazie a tutte e tutti loro che possiamo essere forti nelle nostre espressioni.

Ancora vogliamo dire ai moltissimi colleghi e colleghe che ci raccontano e ci scrivono di turni massacranti, di carichi di lavoro insostenibili, di responsabilità inaffrontabili e quindi di frustrazione, rabbia, disincanto, delusione, solitudine: carissimi colleghi, è tutto collegato, connesso, coerente.

Se non riconosciamo in primis noi, anche attraverso un Codice Deontologico illuminato, lucido, chiaro, non contraddittorio, coraggioso, il diritto allo spazio della cura, al tempo della cura, al gesto della cura, alle pratiche e alle teorie della cura proprio a partire dalle situazioni di massima fragilità, di estrema complessità, di alta intensità, se accettiamo, ancora una volta, l’ancillare compromesso, la mediazione che umilia, la negoziazione che stride con gli impegni che prendiamo nei quotidiani patti con il cittadino, che mortifica gli sforzi di avanzamento e riconoscimento di una disciplina che è prima di tutto garanzia del diritto alla Cura nella fragilità, come possiamo contare sul riconoscimento del valore disciplinare e professionale, del paradigma scientifico della Cura e quindi di un merito economico adeguato a competenze e responsabilità, di un’attribuzione dei carichi di lavoro sostenibile e rispettosa della funzione?

L’invito è a pronunciarsi. A prendere posizione. A dire, esporsi, dichiararsi.

Nell’interesse della professionalità, della disciplina, del paradigma della Cura, anche per l’adeguato riconoscimento sociale ed economico del valore di quello che facciamo, ma soprattutto nell’interesse del fragile Mario, della fragile Maria, di ogni età e condizione, perché l’“inciampo” può capitare a tutte e a tutti. A chi curiamo, a chi ci è vicino ed anche a noi stessi.

Livia Bicego

Dirigente Infermieristica, per la Rete multiprofessionale del FVG impegnata dal 2006 nella lotta alla contenzione

30/4/2019 www.news-forumsalutementale.it

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