Insubordinazione e infedeltà aziendale

Sei venuto meno al principio di correttezza e buona fede, sei un dipendente infedele, hai assunto atteggiamenti irrispettosi della gerarchia aziendale, sei insubordinato perché non accetti ed esegui gli ordini dei superiori.

Numerose sentenze stabiliscono ormai il diniego della libertà di parola e di coscienza previsto dall’art 21 della Costituzione Italiana . Siamo ormai abituati al linguaggio di social e pensiamo che tutto sia ammissibile ma sempre piu’ frequentemente passano come ingiuria e  calunnia o diffamazione delle singole prese di posizione prive di ogni carattere denigratorio. E peggio ancora accade nei luoghi di lavoro, c’è sempre un codice etico pronto a vietare la libertà di pensiero o anche la denuncia di grave inadempienze che potrebbero mettere a rischio la salute e sicurezza di lavoratori\trici, cittadini\e.

La Corte di Cassazione è arrivata a sostenere che anche la semplice adozione di comportamenti in contrasto con le disposizioni datoriali o di superiori diretti è da considerare alla stregua di una insubordinazione e quindi passibile di licenziamento disciplinare.

Che la Corte Costituzionale arrivi al punto di sospendere il diritto di parola nei luoghi di lavoro non è un paradosso perchè nulla hanno avuto da eccepire dinanzi a codici etici e comportamentali che impongono il primato della azienda e del profitto su elementari principi di equità e di giustizia.

Sta qui la principale contraddizione , in tempi moderni, di una Carta che da 30 anni ad oggi è stata stravolta e piegata alle logiche del primato aziendale contraendo non solo gli spazi di agibilità democratica e sindacale ma andando a circoscrivere ai minimi termini il diritto di critica nei luoghi di lavoro. Decontestualizzare fatti e circostanze è fin troppo facile, così vengono considerati  minacciosi  e passibili di licenziamento comportamenti nel peggiore dei casi punibili con sanzioni o semplice richiamo scritto.

Ha avuto così la meglio non solo il rapporto gerarchico ma l’obbligo imposto, anche attraverso il silenzio assenso sindacale nelle contrattazioni nazionali, a lavoratori e lavoratrici di rispettare alla lettera codici etici e introiettare atteggiamenti passivi e subalterni verso i vertici aziendali. E così facendo si semina paura e rassegnazione e qualora dovesse prevalere la rabbia c’è la minaccia di licenziamento.

Molto infatti avremmo da obiettare sulla presenta e non diligente esecuzione di molte prestazioni lavorative soprattutto quando sono a rischio la salute e la sicurezza.

Particolare attenzione merita poi il concetto di insubordinazione , alcuni rifiuti di adempiere a disposizioni superiori può anche essere giustificato e motivato, da qui a travisarlo prendendolo a pretesto per i licenziamenti corre grande differenza.  E attenzione: l’obiettivo è quello di affermare la totale subalternità all’organizzazione aziendale trasformando la dialettica sindacale in motivo disciplinare. Da qui allo stato penale, ai dispositivi autoritari e repressive il passo è breve.

Federico Giusti

11/7/2020 http://www.osservatoriorepressione.info

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