Integrare l’integrazione
Molti scrittori, scribacchini, pennivendoli, poeti o “poetucoli”, preferiscono la notte per inoltrarsi nel viale buio dello scritto, limando, levigando, mimando, sostituendo termini, suffissi, e imprecazioni varie.
Al ritorno dal viale oscuro, spesso e volentieri raggiungo a piedi, tempo permettendo, il solito bar, per il primo caffè del giorno.
Stamane la mente mi si è bloccata sul verbo integrare, non tanto per l’etimologia del termine, ma perché quasi mai entra nei miei lavori, finanche nelle cosette scritte in gioventù, neanche nei copioni improvvisati per il teatro dei poveri.
Ho cercato un motivo, ma niente, ho pensato persino che il verbo integrare fosse meno incisivo dei suoi sinonimi, tipo completare, perfezionare, adeguare, arricchire, aggiungere, ecc ecc.
Come capita, sempre spesso e volentieri, ho smesso di pensarci quando mi hanno servito il caffè e dall’altra parte sono entrati 4 ragazzi Senegalesi assonnati, vestiti da lavoro e già con la sigaretta accesa. “A me un caffè lungo macchiato con latte freddo”, “io un cappuccino con il decaffeinato e un bicchiere d’acqua frizzante”, “io un vetrino con poca schiuma” e l’ultimo un caffè normale.
In quel momento ho capito perché nelle mie corbellerie è proibito il verbo “integrare”, “integrarsi” o il luogo comune “gli immigrati si devono integrare”, “dobbiamo dare loro l’opportunità di integrarsi”.
La vocina interna ha iniziato il suo sproloquio “eccoli! Li volevamo come noi e lo stanno diventando, li volevamo lindi e pinti, con jeans e magliette bieche, ora sono quasi tutti così.
Hanno sfidato la morte, magari sono arrivati fino alla sala d’aspetto dell’estrema condanna, per diventare come noi”.
Finalmente ho capito, integrazione, integrare, integrarsi sono opzioni che odio, perché nessuno dovrebbe chiedere all’altro di integrarsi, di somigliare, di rifinire i modi per essere un suo simile. Inserirsi in un contesto sociale, politico, culturale, accettando i costumi, la mentalità non è un passo avanti, specie in sistemi immondi, sporchi e vigliacchi.
Il cavallo selvaggio deve essere domato, per sottometterlo all’uomo; così come l’immigrato deve integrarsi affinché venga sottomesso, per non essere alla pari.
Portano i nostri stessi panni e pagano le nostre stesse tasse, ora che sono quasi italiani, mi accorgo quanto sia folle, prevaricante e violenta l’integrazione. Integrare è un verbo che difficilmente entra nel mio strimpellar comune e ne sono umilmente felice, preferisco gli affini: adeguarsi, uniformarsi, sottomettersi, conformarsi, piegarsi, rassegnarsi. arrendersi.
Integrare la povertà è il nuovo mistero della fede, la battaglia dove risulta perdente solo il basso reddito.
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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