«Io, la SLA e il mio respiro che finirà. Non voglio morire solo e umiliato»

sla

«Avevo una vita normale ma poi ho iniziato a inciampare spesso, cadevo, faticavo a respirare e alla fine è giunta la diagnosi, senza possibilità di appello: “Lei ha la SLA!” Che significa Sclerosi Laterale Amiotrofica: una malattia di cui avevo solo vagamente sentito parlare, e di cui non mi ero mai interessato. Il mondo mi è crollato addosso. Mentre la malattia progrediva e peggiorava, ho iniziato a riflettere e informarmi per capire cosa avrei potuto fare e mi sono sorte mille preoccupazioni e dubbi sul futuro: potrò essere gestito a casa? Cosa mi succederà? E quando smetterò di parlare o di mangiare cosa faremo? E quando il respiro mi verrà a mancare e il corpo si fermerà del tutto? L’unica cosa certa è che non perderò la lucidità e la coscienza: la mente resta lucida e vigile fino alla fine. Che condanna! Ora sono quasi immobile, fatico a parlare, non posso nemmeno grattarmi il naso, ma sono una persona, con la sua dignità, le sue preferenze, i suoi valori. La SLA, a differenza di altre malattie, ti impone scelte enormi che tu devi fare, se non vuoi che altri le facciano al posto tuo, magari anche mossi dalle migliori intenzioni, ma comunque sono decisioni che poi dovrai portare avanti tu, sulla tua pelle, giorno dopo giorno, lottando con la vita e con la morte 18 ore al giorno, come disse un mio compagno di stanza: perché per fortuna almeno sei ore a notte si dorme! Devi decidere se vuoi essere nutrito artificialmente quando non riuscirai a farlo più da solo, se vuoi avere la tracheotomia che è quel buco in gola in cui entra un tubo attaccato al respiratore che ti permetterà di respirare quando non sarai in grado di farlo da te, perché i tuoi muscoli saranno sempre più incapaci di muoversi. E dovrai scegliere tra la vita e la morte, o meglio: tra quale vita e quale morte. Ho visto e vedo i miei compagni di sventura che hanno fatto scelte diverse tra loro: chi è tornato a casa sua e si è organizzato con le cure che ci sono nel suo territorio, chi è restato qui dove sono io ma non ha voluto alcuna terapia invasiva e quando è giunta una seria crisi respiratoria è stato addormentato – su sua richiesta – dai medici e accompagnato ad una morte non angosciante, chi ha chiesto di andare in Svizzera a morire perché sentiva intollerabile la vita che stava vivendo, in realtà alcune complicanze sono sorte prima che decidesse davvero di andarci, mi sono sempre chiesto se lo avrebbe fatto davvero. Insomma: vedo che la vita è diversa per tutti, così come lo sono la malattia e la morte. La vita ha un senso e un significato diverso e unico per ciascuno di noi. L’importante è non essere abbandonati, soli, umiliati perché ormai incapaci di badare a sé. L’importante è essere rispettati: allora tutto è più tollerabile e gestibile, ti senti a casa anche se non lo sei più, riesci anche a sorridere, se i tuoi muscoli facciali te lo permettono! E io ho chiesto per tempo e l’ho anche scritto, che quando avrò un sintomo che mi condurrà alla fine della vita voglio essere addormentato, voglio morire dormendo, voglio serenità per me e i miei cari che saranno con me in quel momento»

Il signore, come altri prima di lui, era una persona, un marito, un professionista, un padre e molto altro. Non solo un malato. Si è avvalso della facoltà di scegliere di non soffrire ulteriormente, non della facoltà di morire: la morte era inscritta nella sua malattia, nel suo decorso, nei suoi sintomi non più trattabili, in una malattia inguaribile. Non ha chiesto e non ha ricevuto l’eutanasia o il suicidio assistito: ha chiesto la sedazione palliativa che da anni fortunatamente, come buona pratica, si offre a chi ha dei sintomi che non sono trattabili, che condurranno comunque a morte e che meritano, se il paziente lo vuole, di abbassare il livello di coscienza non per morire prima, non per morire anziché vivere, ma per morire senza dolore e angoscia eccessiva o reputata da lui inutile. Ci vuole molta chiarezza e bisogna fare buona informazione, non strumentalizzare.

 E’ pericoloso e gravemente scorretto confondere questi termini o usarli come sinonimi, perché si rischia di ledere la sensibilità delle persone. Ogni storia merita rispetto, ascolto, sospensione del giudizio, approfondimento. La disinformazione e strumentalizzazione degli eventi nuoce, specie a chi soffre. Allora serve formazione per gli operatori sanitari, informazione alla società civile, apertura di dialoghi scomodi e complessi, ma necessari in un paese civile che si occupi di vita, fino alla fine. Le cure palliative vanno sostenute, fatte conoscere e applicate. La vita deve essere sostenibile, tanto più quando è una vita fragile, ferita, destinata alla morte. I malati e i loro familiari chiedono di non essere abbandonati, di essere compresi, di essere rispettati, di non veder aggiungere dolore al dolore. Chiedono il rispetto della dignità, chiedono di vivere e morire secondo i valori che li hanno guidati nella vita. Come vorrei morire quando mi toccherà? Ce lo siamo mai chiesto? Non decideremo di morire, lasceremo che la vita decida il suo tempo, ma teniamoci il diritto di avere voce sul modo in cui moriremo, se ci interessa farlo.

Marilena Pallareti

Insegnante

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di marzo del periodico Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

 

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