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    Un libro. La realtà e la sua maschera nello studio del movimento sionista e della Nakba palestinese compiuto dai giornalisti de “Il Manifesto” Michele Giorgio e Chiara Cruciati. Un «utile strumento per misurare quanto la realtà storica e l’attualità siano lontane dall’opinione corrente su questa vicenda» scrive Amedeo Rossi

    Israele, mito e realtà

    Pubblicato da franco.cilenti

    IsraIl libro di Michele Giorgio e Chiara Cruciati, giornalisti de “Il Manifesto”, rappresenta un utile strumento per fare un bilancio di 70 anni della nascita di Israele, ma soprattutto per misurare quanto la realtà storica e l’attualità siano lontane dall’opinione corrente su questa vicenda.

    Il libro è strutturato in due parti e tre appendici: una cronologia fondamentale, un glossario e alcune immagini relative a questioni affrontate nei precedenti capitoli. Nella prima parte gli autori ripercorrono la storia del sionismo dalle sue origini nel XIX° secolo alla fondazione dello Stato di Israele. Nonostante le differenze tattiche tra le sue varie correnti, dal capitolo emerge una sostanziale condivisione dell’obiettivo da raggiungere, e ciò implicasse la negazione del diritto dei palestinesi alla terra su cui avevano vissuto per secoli. Anzi, nel negare la loro stessa esistenza, in quanto intralcio per la realizzazione del progetto sionista. Questa è stata una delle ragioni delle aspre critiche nei confronti del movimento da parte di intellettuali ebrei, tra cui Martin Buber, Hannah Arendt, Marek Edelman, Noam Chomsky. Oltre all’estrema coerenza e determinazione con cui i dirigenti sionisti, contro ogni ragionevolezza, hanno perseguito, realizzato ed ampliato il sogno di Herzl, emerge la spietatezza nei confronti della popolazione autoctona che ha guidato l’azione politica sionista fin dai primi tempi. Gli autori citano ad esempio Israel Zangwill, scrittore ebreo britannico: “Non esiste alcuna ragione particolare perché gli arabi debbano restare aggrappati a questi pochi chilometri di terra. Ripiegare le tende e andarsene di soppiatto è la loro proverbiale abitudine. Che lo facciano anche ora […] Dobbiamo garbatamente convincerli a mettersi in marcia.” Il brano mette in luce gli stereotipi orientalisti del suo autore e la convinzione che i palestinesi avrebbero facilmente lasciato posto ai nuovi venuti. I sionisti si resero presto conto che invece erano tenacemente legati alla propria terra, e passarono a metodi tutt’altro che “garbati”.

    La seconda parte costruisce, per lo più attraverso una serie di interviste ad intellettuali sia israeliani che palestinesi, una sorta di mosaico a partire da alcune questioni cruciali che costituiscono la narrazione prevalente sul conflitto israelo-palestinese. E’ su questi punti che si è costruito il mito citato nel titolo del volume: il rapporto tra ebrei, Olocausto e Israele; la Palestina, i palestinesi e gli ebrei prima e dopo la nascita di Israele, tra ritorno negato agli uni e “ritorno” promesso agli altri; il sionismo e i Israele come esperienze socialiste; la questione di stretta attualità dei diritti di cittadinanza e nazionalità tra ebrei e palestinesi in Israele; il rapporto tra antisemitismo e filo-sionismo; infine, l’idea di Israele come parte dell’Occidente e quindi dei palestinesi come intrusi.

    I capitoli-interviste sono sintetici ma ricchi di notazioni e spunti interessanti. Per ragioni di spazio mi limiterò a citarne solo alcuni.

    Lo storico palestinese Salim Tamari smentisce una delle asserzioni della narrazione sionista: il fatto che il nazionalismo palestinese sia stato una reazione tardiva al sionismo. Secondo Tamari in realtà tra la fine dell’XIX° secolo e i primi del XX° si era risvegliato tra i palestinesi un sentimento nazionale anti-turco prima e antisionista poi. In particolare divenne centrale la questione delle terre: “I sionisti compravano terreni per dare vita a colonie per ebrei e cacciavano via i contadini palestinesi che in molti casi le avevano coltivate per generazioni, sebbene per conto dei proprietari. E questo problema rappresentò un punto centrale per la mobilitazione nazionalista palestinese.” La citazione per un verso individua nel problema della terra e non nell’odio razziale o religioso la causa dei primi conflitti tra palestinesi e sionisti. Dall’altro evidenzia una delle caratteristiche costanti del progetto sionista: separare la popolazione autoctona dalla terra. Ciò ebbe in Palestina, come in altre realtà coloniali pre-capitaliste, effetti dirompenti sulla popolazione e sull’economia locali.

    Il risultato di questo processo viene analizzato in un capitolo successivo, costruito con inserti di un’intervista a Wasim Dahmash, docente di lingua e letteratura araba all’università di Cagliari, che riguarda il “ritorno” degli ebrei e la contemporanea espulsione dei palestinesi. Si tratta di una situazione caratterizzata da una serie di palesi contraddizioni. Agli ebrei di qualunque Paese al mondo viene concessa l’aliyah (letteralmente la “salita”, dalla diaspora alla biblica terra degli antenati), ai palestinesi è negato questo diritto e vengono considerati “infiltrati”, ed alcuni di quelli rimasti nello Stato d’Israele sono considerati “presenti assenti”. La recentissima legge, approvata a luglio relativa allo “Stato-Nazione ebraico” attribuisce valore costituzionale alle discriminazioni cui è già soggetto il 20% della popolazione non ebraica di Israele e di cui parla un capitolo del libro.

    Due capitoli si occupano invece del mito relativo ad Israele come Paese “socialista”, che in Occidente ha affascinato parte della sinistra. Il primo riguarda l’Histadrut, il sindacato sionista. Esso si adeguò a quanto affermato da Ben Gurion già nel 1934: “Se non facciamo ogni genere di lavoro, facile e difficile, specializzato e non, se resteremo dei meri proprietari, questa patria non sarà mai nostra.” Il corollario di questa affermazione è stata naturalmente l’espulsione della maggioranza dei palestinesi. Tuttavia Israele ha utilizzato prigionieri arabi della guerra del ’48 come lavoratori forzati internati in veri e propri lager, e l’Histadrut è stato un sindacato di regime. È dal sindacato che nacque la principale milizia armata sionista, l’Haganah. Dopo la fondazione di Israele, fino al 1959 ai palestinesi con cittadinanza israeliana venne negata l’iscrizione al sindacato e imposte discriminazioni salariali. Un sindacalista britannico ha affermato: “Il principale ruolo di Histadrut non era la difesa dei salari e le condizioni di lavoro dei suoi membri ma la colonizzazione della Palestina […] Histadrut fu un sindacato capitalista.” Dopo l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, ai lavoratori palestinesi nelle colonie o in territorio israeliano è stato imposto il pagamento delle quote sindacali senza però il godimento dei relativi diritti assistenziali e previdenziali.

    Il secondo riguarda il modello del kibbutz, a lungo considerato come una sorta di comune. In realtà anch’esso è strettamente legato all’ideologia sionista, che esclude i palestinesi, ed anzi è stato storicamente uno degli strumenti per la loro espulsione dalle terre. È significativa a questo proposito la citazione presente nel libro dell’episodio narrato in un’intervista da Moshe Dayan, protagonista della vittoria militare del ’67: una delegazione di membri di kibbutz del nord di Israele si recò dall’allora primo ministro Levy Eshkol per intimargli di aprire le ostilità contro la Siria per occupare le fertili terre del Golan. Nel capitolo Sergio Yahni, giornalista e analista di origini argentine che ha vissuto a lungo in un kibbutz, racconta il ruolo attivo dei kibbutzim nel Palmach, reparto d’élite dell’Haganah, responsabile di massacri ed espulsioni di palestinesi. Inoltre per molti anni nei kibbutz non vennero accolti gli ebrei provenienti dai Paesi arabi. A partire dagli anni ‘80, con l’avanzare delle politiche neoliberiste, anche queste esperienze comunitarie sono diventate sempre più marginali o si sono trasformate a tutti gli effetti in aziende di tipo capitalistico.

    In estrema sintesi, questo libro ricostruisce un’immagine di Israele ben lontana da quella più diffusa e mette in luce quello che hanno rappresentato e continuano a rappresentare il sionismo e il suo Stato, non solo negli anni di Netanyahu e dell’estrema destra al potere, ma fin dalle loro origini: nazionalismo, colonialismo e, con la nascita dello Stato di Israele, regime di apartheid, per certi versi peggiore di quello sudafricano. Lo denunciano, inascoltati, anche intellettuali e giornalisti israeliani, lo tacciono invece i nostri mezzi di comunicazione ed i nostri politici.

    C’è da sperare che il lavoro di Giorgio e Cruciati non venga letto solo nella ridotta cerchia di chi già è impegnato nella lotta a favore dei diritti del popolo palestinese, ma soprattutto da chi continua a credere al mito dell’”unica democrazia del Medio Oriente”.

    Amedeo Rossi

    30/7/2018 http://zeitun.info

    Tags: aborto e salute alimentazione e salute alimentazioni e salute ambiente ambiente e inquinamento ambiente e tav ambiente e terremoti appalti in sanità assicurazioni e sanità attac italia bambini migranti bambini palestinesi beni comuni braccianti migranti capitalismo caporalato e migranti Casa delle Donne civiltà corruzione in sanità costituzione e lavoro crisi e equitalia crisi e ludopatia crisi e salute crisi e suicidi crisi economica crisi sociale Determinanti sociali e diseguaglianze diritti migranti disoccupazione e giovani donne e salute droghe e disoccupazione economia emergency emigrazione italiana Europa e migranti evasione fiscale farmaci farmaci e affari femminismo Franco Basaglia franco cilenti fumo e salute Gaza giornalismo indipendente Giovani e crisi Giulio Maccacaro governo igiene e salute immigrate industrie farmaceutiche infermieri critici infermieri in lotta Infermieri migranti infezioni e salute informazione infortuni professionali in sanità infortuni sul lavoro inquinamento Intifada isde jobs act lager migranti lavori usuranti lavoro gratuito lavoroesalute Legge 180 Legge 194 libertà e dissenso ludopatia mafia e tav malasanità malattie professionali manicomi giudiziari medici per l'ambiente medici pubblici medici senza frontiere medicina democratica mediterraneo e migrazioni migranti e guerre migranti e salute ministero salute morti sul lavoro. omicidi sul lavoro Movimento NO TAV movimento notav multinazionali Naga occupazione israeliana ogm ONG operai e crisi Osservatorio contro la repressione osservatorio della repressione Popolo Palestinese precariato in sanità precarietà prevenzione professionalità infermieristica prostituzione e migrazioni repressione lotte rifondazione comunista RLS sanità Rosarno e migranti salute salute e affari Salute e DRG salute e obiezione di coscienza salute internazionale salute mentale sanità calabrese sanità cubana sanità e dgr Sanità e DRG sanità e LEA sanità emiliana sanità inglese sanità integrativa sanità Lazio sanità ligure sanità Lombardia sanità piemonte sanità privata sanità pubblica sanità pugliese Sanità Roma sanità Sardegna sanità siciliana sanità territoriale Sanità toscana sanità USA sanità veneta Sbilanciamoci schiavitù migrante scienza e salute sciopero infermieri sfratti e povertà sindacati e sicurezza lavoro suicidi disoccupati suicidi sul lavoro tav e affari TAv e Costituzione Tav e salute tav terzo valico tecnologia e salute terapie antiretrovirali test Hiv Traffico d'organi traffico di minori migranti Tsipras TTIP TTIP tutele sociali welfare tutele sociali vaccini e affari
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