Italia ultima per la parità a lavoro

Il nuovo Gender equality index dell’Eige parla chiaro: tra scarsa occupazione, mancanza di parità sul lavoro, disuguaglianza nella suddivisione dei carichi di cura e soffitti di cristallo, il cambiamento in Italia è ancora troppo lento

Il Gender equality index è il rapporto dell’Istituto europeo per la gender equality (Eige) che sintetizza la parità di genere dei 27 stati membri dell’Unione europea in un unico dato che rappresenta la combinazione delle performance tracciate tramite 31 indicatori che compongono sei dimensioni: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute.

Nell’ultima edizione, relativa al 2022, a queste sei dimensioni si aggiungono anche la violenza contro le donne e le disuguaglianze intersezionali, per le quali sono resi disponibili alcuni dati, che tuttavia, non rientrano ancora nel calcolo dell’indice finale, in quanto non sintetizzabili al momento in un punteggio.

Secondo il rapporto, l’Italia si colloca al quattordicesimo posto della classifica, con 65 punti su 100. Esattamente a metà della classifica capeggiata ancora una volta  dalla Svezia, con Danimarca e Paesi Bassi a completare il podio. A metà classifica quindi, ma sotto la media europea che si attesta a 68,6 punti. Un dato che ci parla di un’Europa con forti disuguaglianze sotto il profilo delle pari opportunità.

La buona notizia è che dal 2010 a oggi abbiamo guadagnando dieci punti, la cattiva è che il percorso per la parità di genere è fermo al 2018.

Secondo questi indicatori l’Italia è indietro su quasi tutta la linea, l’unico settore nel quale non siamo al di sotto della media europea è quello della salute, dove raggiungiamo un discreto punteggio (89 rispetto agli 88,87 in media dell’Ue), soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari.

Gli ambiti in cui il nostro paese se la cava peggio sono invece lavoro e tempo. L’Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3). Un risultato davvero preoccupante. E non fa meglio per quanto riguarda il tempo dedicato alle attività di cura (di figli, persone anziane e lavoro domestico) che pesa ancora soprattutto sulle donne, tanto da collocare il paese tra gli ultimi sei europei. 

Secondo quanto riportato nello stesso indice a fine 2021, il tasso di occupazione femminile dal 2020 è sceso al 49 per cento, mentre il divario rispetto agli uomini è salito di 18,2 punti percentuali (rispetto ai 17,9 del 2019). Tra le lavoratrici, quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario se vogliono lavorare, contro 849mila uomini nelle stesse condizioni. L’occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2%) e nelle isole (33,2%): un dato particolarmente allarmante perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel sud Italia.

In generale, per le donne – ancor più per le donne con figli – permangono difficoltà di accesso e permanenza nel mercato del lavoro. La scelta di avere figli grava come un ricatto sulla vita delle donne che lavorano e limita le opportunità di carriera, traducendosi in una scarsa presenza in posizioni decisionali. Sebbene con l’introduzione della legge Golfo-Mosca, dal 2020 la gender diversity nella composizione degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate ha raggiunto il massimo storico, consentendo all’Italia di fare passi da gigante verso la chiusura di un divario in pochi anni, anziché in svariati decenni. I board italiani sono divenuti negli anni più giovani, con più elevati livelli medi di istruzione e varietà di formazione professionale, come confermato dal rapporto della Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane.

La cura della famiglia, invece, ricade ancora culturalmente sulle donne nel 71% dei casi, in una linea di continuità tra il ruolo di madre come principale deputato nella cura dei figli, con quello di ‘cura tout court’ per l’intero arco della vita. Gli asili nido non rispettano gli obiettivi europei fissati a Lisbona (dovrebbero essere offerti ad almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni e al 90% dei bambini tra i 3 ei 5 anni) e assistiamo infatti al triste fenomeno che costringe il 46% delle donne laureate a lasciare il lavoro dopo la nascita del secondo figlio.

L’inadeguatezza dell’Italia nel porsi al passo con i tempi nella dimensione lavoro non è confermata solo dall’EIGE ma anche dal Global Gender Gap Report 2022, pubblicato dal World Economic Forum, in cui si evidenzia come nella dimensione partecipazione economica e opportunità, l’Italia si colloca proprio all’ultimo posto dell’Unione Europea.

La dimensione lavoro proposta da Eige si compone di due categorie, partecipazione e segregazione, ed è proprio nella partecipazione che risiede il principale problema italiano: anche in questo caso si registra il punteggio minore tra gli stati membri (68,1 punti contro gli 81,1 della media europea), peraltro, in calo di 1 punto rispetto al 2021 (stesso calo mostrato da Bulgaria, Cipro e Repubblica Ceca).

Da un’analisi generale, l’Italia risulta quindi tra i paesi che crescono più lentamente nel raggiungimento della parità e i miglioramenti sono inferiori anche rispetto alla media dei paesi del sud Europa.

Le dimensioni che sembrano avere risultati più significativi sono invece potere e salute, sia rispetto alla media europea che a quella del sud Europa, dove l’Italia raggiunge il sesto posto a livello generale nella salute, per aspettative di vita e percezione della popolazione sul proprio stato di salute. La dimensione potere ha invece a che vedere con il potere politico. In cui sembra ci sia stato un balzo in avanti, anche se i dati fanno riferimento alla composizione del Parlamento del Consiglio dei ministri del primo semestre 2022. Le ultime elezioni hanno visto una riduzione percentuale delle donne in Parlamento del 36% e nel Consiglio dei ministri del 33%.

Il lavoro sembra indubbiamente l’aspetto più preoccupante e per fare in modo che l’Italia lasci quell’ultima posizione, servirà ancora del tempo che richiederà un maggiore impegno istituzionale e aziendale nel garantire partecipazione e accesso delle donne al mercato del lavoro, nonché un miglioramento delle condizioni di lavoro stesse, soprattutto nell’adeguamento dei salari alla media europea. La parità di genere non è solo un valore intrinseco e un diritto in sé ma è anche strumentale alla crescita economica di un paese. Più parità di genere significa più crescita e più ricchezza per tutti.

Rossella Forlè

30/3/2023 https://www.ingenere.it

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