Italiani e migranti: paura per la sicurezza, ma di chi?

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L’ultima rilevazione periodica sul clima politico e sugli orientamenti elettorali realizzata da Demos per il quotidiano “La Repubblica” dice che per il 40% degli italiani l’immigrazione costituisce un pericolo per l’ordine pubblico e per la sicurezza delle persone. Un dato così alto non si registrava dal periodo a cavallo tra il 2007 e il 2008, quando politica e media imposero l’immagine dell’invasione sulle coste italiane e il binomio migrazione-criminalità, calcando su episodi di violenza, veri o presunti, con protagonisti cittadini stranieri, pur in assenza di significative variazioni nel numero complessivo di reati. Proprio nello stesso periodo, allora come adesso, veniva firmato un accordo che prevedeva l’avvio di pattugliamenti congiunti italo-libici da effettuarsi in acque libiche, con l’obiettivo di respingere verso i porti di partenza i migranti fermati in mare. Si trattava del secondo accordo – firmato il 29 dicembre 2007 dal governo Prodi – dopo quello del 2003 firmato dal governo Berlusconi, che prevedeva l’invio di mezzi di pattugliamento in Libia e fondi per la costruzione di due campi di detenzione per i profughi, uno a Kufrah e l’altro a Gharyan. Vale allora la pena di esaminare i numeri reali degli sbarchi e della presenza degli stranieri in Italia.

Gli sbarchi in Italia
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), lo scorso anno 362.376 persone hanno attraversato il Mar Mediterraneo: un calo del 64% rispetto al 2015, quando giunsero complessivamente 1.015.078 migranti e profughi.
Delle persone sbarcate nel 2016, 181.436 sono giunte lungo la rotta del Mediterraneo centrale, che riguarda soprattutto l’Italia e – in misura molto minore – Malta. La grande maggioranza di queste persone viene dall’Africa sub-sahariana (Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d’Avorio, Gambia – 12.000 profughi giunti in Italia in un solo anno su una popolazione di meno di due milioni), mentre è in netta diminuzione l’arrivo di cittadini siriani: dai 42.323 del 2014 ai 7.448 del 2015 e ai 1.200 del 2016, perlopiù, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), profughi sfollati in Egitto e Giordania.
Su 181.436 migranti giunti in Italia, 24.133 sono state le donne e 25.846 i minori non accompagnati o separati dai genitori, oltre il 90 di tutti i bambini e ragazzi non ancora maggiorenni giunti in Italia. Il numero di questi minori è aumentato del 132% rispetto all’anno precedente: 25.846 nel 2016, 11.154 nel 2015.

Gli arrivi complessivi in Italia, avverte Frontex, l’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne dell’Unione, nel 2016 sono cresciuti del 20%. Occorre però considerare che nel 2016 gli arrivi in Grecia sono crollati del 79%. Il fenomeno si è registrato a partire da ottobre – con 27.384 arrivi contro gli 8.915 dell’ottobre 2015 e i 15.264 del 2014 – in coincidenza con la chiusura della rotta balcanica e l’applicazione dell’accordo UE-Turchia.
In assenza di alternative, le persone che cercano di raggiungere l’Europa passano per la via più pericolosa, quella del Mediterraneo centrale, dove, per giunta, le attività di ricerca e salvataggio sono state notevolmente ridotte. Un’evidenza che si è tradotta nel macroscopico numero di 240 morti in mare solo nei primi quindici giorni del 2017, a fronte di 2.000 arrivi.
Gli arrivi in Italia lungo la rotta del Mediterraneo centrale proseguono nel 2017: in gennaio sono inferiori allo scorso anno (4.463 contro i 5.273 del 2016), ben lontani dall’immagine di “invasione” veicolata da politici e media.
Nei primi giorni di febbraio, gli arrivi registrati sono stati 3.805 contro i 3.829 del 2016, ai quali vanno aggiunti gli ultimi arrivi dal Canale di Sicilia, che hanno portato in Italia più di 1.600 profughi. Un aumento concomitante alle decisioni europee di fermare le partenze dai porti libici.
La preoccupante differenza riguarda i morti in mare: nel 2017 (al 2 febbraio) sono stati 254, contro i 90 registrati nello stesso periodo del 2016: un numero quasi triplicato.
Nessuno può dire l’esatto numero dei dispersi, in una situazione sempre meno trasparente riguardo alle notizie sugli incidenti in mare. Nei primi giorni del 2017, la Guardia costiera libica – addestrata dall’Italia nell’ambito dell’operazione navale Eunavfor Med-Operazione Sophia, voluta dall’UE per contrastare i trafficanti di esseri umani in Libia – ha sparato su un’imbarcazione di profughi causando la morte di due persone, calpestate nel panico che si è creato a bordo. A dirlo, solo un tweet dell’equipaggio di Medici Senza Frontiere presente nelle acque internazionali prospicienti la Libia, perché sempre più cala il silenzio sui naufragi, mentre gli operatori delle navi umanitarie vengono minacciati e intimiditi.

Gli stranieri in Italia e i nuovi italiani
La fotografia statistica a fine 2015 in Italia registrava 5.026.153 cittadini stranieri residenti (dati Istat), molti dei quali residenti da più di cinque anni, con un’incidenza dell’8,3% sul totale della popolazione. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, al 1° gennaio 2016 erano regolarmente presenti in Italia 3.931.133 cittadini non comunitari, un numero sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Continuano a crescere i soggiornanti di lungo periodo, che passano da 2.248.747 (56,3% sul totale) nel 2015 a 2.338.435 nel 2016 e rappresentano il 59,5% dei cittadini non comunitari regolarmente presenti.
Anche la progressiva acquisizione della cittadinanza italiana porta a una riduzione del numero di “stranieri”. Solo tra i non comunitari le acquisizioni sono passate da meno di 50 mila nel 2011 a quasi 159 mila nel 2015, da parte soprattutto di albanesi (35.134) e marocchini (32.448) che insieme rappresentano oltre il 42% delle acquisizioni. Tra il 2014 e il 2015 sono diminuite le acquisizioni per matrimonio, dal 14% al 9% (per le donne si passa dal 25% al 16%). Il 42% di coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel 2015 ha meno di vent’anni; tra questi cresce il numero di chi acquisisce la cittadinanza per trasmissione dai genitori o perché, nato in Italia, al compimento del diciottesimo anno di età sceglie la cittadinanza italiana: da circa 10 mila nel 2011 a oltre 66 mila nel 2015.
Prosegue la flessione del numero di nuovi permessi di soggiorno concessi. Durante il 2015 ne sono stati rilasciati 238.936, il 3,9% in meno rispetto al 2014. Tale diminuzione ha interessato in misura maggiore le donne (-4,8% contro il -3% degli uomini). La flessione riguarda in particolare gli ingressi per motivi di lavoro (-35.312, pari al -62%). Se nel 2014 rappresentavano il 23% dei nuovi ingressi, nel 2015 sono scesi al 9%. Continua invece a ritmi sostenuti la crescita dei permessi per asilo e protezione umanitaria (+19.398 ingressi, pari a +40,5%) che nel 2015 arrivano a rappresentare il 28,2% dei nuovi ingressi (19,3% nel 2014, 7,5% nel 2013). I principali paesi di cittadinanza delle persone in cerca di asilo e protezione internazionale sono Nigeria, Pakistan e Gambia che insieme coprono il 43,8% dei flussi in ingresso per questa motivazione.
Bisogna poi considerare che più di 800mila persone nate e cresciute in Italia non sono italiani a causa di una legge ingiusta che impone ai bambini la cittadinanza dei genitori e che 45.000 cittadini italiani di origine straniera sono emigrati all’estero.
Nel 2015, a 64.000 persone non è stato rinnovato il permesso di soggiorno, mentre i ritorni assistiti sono stati 3.697 tra i 2009 e il 2015.
Sono 2.425.000 le famiglie con almeno un componente straniero, in tre quarti dei casi composte esclusivamente da stranieri. Sono 72.000 i nuovi nati da genitori entrambi stranieri, circa un settimo di tutte le nascite dell’anno.

L’Italia è un paese colpito da una paralisi demografica, dove i decessi cominciano a superare le nascite. Da anni la popolazione italiana è in calo (un saldo netto complessivo di -130mila persone nel 2015 e di -142.000 per quanto riguarda la sola componente italiana, mentre per gli stranieri il saldo è stato attivo di 12.000 unità). Nel periodo 2011-2065, nello scenario ritenuto più probabile delle proiezioni demografiche curate dall’Istat, la dinamica naturale in Italia sarà negativa per 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite contro 40 milioni di decessi) e quella migratoria sarà positiva per 12 milioni (17,9 milioni di ingressi contro 5,9 milioni di uscite).

I dati del Dossier Statistico Immigrazione 2016 del Centro Studi e Ricerche IDOS, rileva Sergio Bontempelli, «ci restituiscono il quadro di una nazione in larga parte “diasporica”, fatta di emigrati, immigrati, ex migranti, figli o nipoti di migranti: un’Italia immersa da sempre nella circolazione globale di idee e persone, i cui “confini” sono di difficile definizione (e certamente vanno al di là delle “frontiere” amministrative dello Stivale). In questo quadro, i 160.000 profughi giunti via mare e accolti dal nostro paese sono, davvero, un piccolo tassello in un mosaico ben più ampio: solo un immaginario neo-nazionalista può dipingerli come una “insostenibile marea”».

I numeri dell’asilo in Italia
Negli ultimi anni la pressione migratoria in Italia è diminuita, come in tutta Europa, mentre è aumentata in maniera esponenziale quella dei richiedenti asilo, anche perché la richiesta di asilo o di qualsiasi forma di protezione umanitaria è il solo modo per poter entrare in Europa. Nel 2016 in Italia sono state presentate 123.600 domande di asilo, con una crescita percentuale netta rispetto agli anni precedenti, quando la prosecuzione del viaggio verso il Nord Europa era meno difficile. Secondo i dati del Viminale, erano state 26mila nel 2013, 64.000 del 2014, 83.000 nel 2015. I dati di gennaio 2017 indicano un ulteriore aumento del 41% rispetto allo stesso mese del 2016. Delle 123.600 domande di asilo del 2016, 11.656 sono state presentate da minori.

A gestire le istanze sono state 20 commissioni territoriali per l’asilo, cui si sono aggiunte 28 sezioni, solo 6 delle quali con presidente a tempo pieno. Ogni commissione costa 314.000 euro l’anno.
I tempi medi di esame delle richieste nel periodo 2014-2016 sono stati di 257 giorni, «con una tendenza all’accelerazione» che ha portato dai 347 giorni del 2014 ai 261 del 2015 e ai 163 del 2016, facendo diventare l’Italia «il secondo paese europeo, dopo la Germania, per numero di pratiche esaminate».
A conclusione dell’iter, lo status di rifugiato è stato concesso per il 5% delle domande esaminate. Al 14% dei richiedenti è stata accordata la protezione sussidiaria, e al 21% la protezione umanitaria. Per quasi il 60% dei cittadini richiedenti c’è stato il diniego.

Quali sono i criteri in base ai quali le commissioni prendono decisioni da cui dipendono le sorti, le speranze, la vita stessa di esseri umani non è dato di sapere; chiara invece la difficoltà in cui si trova il richiedente asilo, specie se poco acculturato e con scarsa o nulla conoscenza dell’inglese (cioè proprio il più debole, che avrebbe bisogno di maggiore protezione), di fronte a questionari da compilare e a colloqui da sostenere, spesso in una lingua non sua, e la difficoltà ancora maggiore, di fronte a un diniego, per chi non conosce il paese, non conosce la lingua, non ha amici, di trovare un avvocato e presentare un ricorso .
E’ ovvio che la crescita dei dinieghi, che vuol dire esporre i richiedenti asilo al respingimento verso il paese da cui sono fuggiti o la discesa nell’irregolarità, comporta una parallela crescita dei ricorsi.
Dal 2014 al 2016 sono stati presentati 53.000 ricorsi contro il diniego dello status, il 18% definiti (con un 70% di ricorsi accolti) e l’81% pendenti.
E proprio quel 70% di ricorsi accolti getta un’ombra sull’opera delle commissioni, apparentemente preoccupate di “proteggere” lo Stato italiano più che esseri umani in fuga dalla guerra e dalla fame.

Il 7 gennaio 2017 è stata resa pubblica la Relazione del ministero di Giustizia contro le impugnazioni. Secondo il ministro Orlando, le impugnazioni in sede giurisdizionale contro i dinieghi delle domande d’asilo delle Commissioni territoriali amministrative sono troppi e in crescita esponenziale.
Di fronte a questa situazione, anziché prendere provvedimenti per migliorare la funzionalità del sistema di asilo e di accoglienza, il nuovo governo, per bocca dell’appena insediato ministro dell’Interno Marco Minniti, ha parlato della riduzione a uno dei gradi di ricorso e appello contro la decisione della commissione territoriale di negare lo status di protezione internazionale.
Il dovere di rendere giustizia lascia il posto alla preoccupazione per l’intasamento delle Corti d’appello e, più ancora, alla necessità di mostrare risultati in termini di rimpatri e riammissioni alle istituzioni europee e a un’opinione pubblica sempre più sottoposta a sollecitazioni xenofobe.

Piano Minniti per la migrazione
La risposta contenuta nel piano presentato (non ancora ufficialmente in parlamento) dal ministro dell’Interno Marco Minniti, anziché andare nella direzione di un miglioramento del sistema dell’asilo e dell’accoglienza, prevede la riforma in senso restrittivo delle norme sul diritto di asilo, con l’eliminazione del secondo grado di giudizio, il raddoppio dei centri di espulsione (che saranno ribattezzati Centri di permanenza per i rimpatri), rastrellamenti e rimpatrio forzato degli “irregolari”, accordi bilaterali di riammissione con i paesi di origine e transito.
Il 30 dicembre 2016, Franco Gabrielli, capo del Dipartimento di PS, ha diramato una circolare urgente in cui si chiede alla Polizia di effettuare «attività di controllo straordinario per un’azione di prevenzione e contrasto a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce».
«Appare necessario – si legge – conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, in particolare attraverso una specifica attività di controllo delle diverse Forze di Polizia. […] La Direzione Centrale per l’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere curerà il necessario raccordo con gli Uffici Immigrazione delle Questure per una pianificazione più specifica di tale attività di controllo straordinaria della presenza straniera in territorio nazionale, con riguardo, in particolare, all’assegnazione dei posti nei CIE. Analogo raccordo, per i profili di rispettiva competenza, avranno cura di assicurare gli Uffici dipartimentali interessati al fine di consentire alle iniziative assunte a livello territoriale di dispiegare piena efficacia tenuto anche conto della complessità e articolazione del dispositivo che, anche in ragione dell’eventuale numero degli stranieri rintracciati, può rivelarsi complesso e delicato sotto il profilo organizzativo e per i conseguenti riflessi sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica. Si confida nella consueta fattiva collaborazione».
Nel frattempo Minniti cuciva i rapporti tra Libia e Malta, nell’imminenza del vertice che si è tenuto il 3 febbraio a La Valletta. Le mosse italiane, maltesi, della Commissione europea e del Consiglio sembrano convergere su un’unica strategia perseguita passo passo: poiché non è fattibile l’assenso del Consiglio di sicurezza dell’ONU all’ingresso in acque libiche previsto nella seconda e terza fase dell’operazione Eunavfor Med, si addestra la Guardia costiera libica per operazioni staffetta. Le navi europee pattugliano il Canale di Sicilia fino alle acque libiche, dove la Guardia costiera libica prende in consegna i migranti e li riporta in Libia. A terra, i confini con Sudan e Ciad saranno pattugliati con l’aiuto italiano grazie al Memorandum d’intesa tra Italia e Tripoli. L’Italia sta facendo da apripista – in continuazione del processo di Rabat e Khartoum e del Forum dei paesi africani tenuto a Roma sotto il governo Renzi – alle politiche di esternalizzazione del respingimento e agli accordi europei con i paesi da cui i profughi cercano – a rischio della vita – di fuggire, dittature comprese.

Il ruolo dell’Italia nella politica di respingimento europea
Di fronte alle spinte nazionaliste e xenofobe e in vista delle numerose scadenze elettorali europee, la stretta delle politiche europee sui migranti è sempre più ferrea e si avvale della collaborazione dei due paesi più ricattabili a causa della situazione di bilancio, oltre che della posizione geografica: Grecia e Italia. Alla Grecia è stato fatto accettare obtorto collo l’accordo UE-Turchia, secondo il quale – in cambio di 6 miliardi di euro e della cancellazione dei visti d’ingresso nell’Unione – Ankara si impegna a fermare le partenze verso le isole dell’Egeo e a riprendere i migranti che arriveranno in Grecia. Più volonterosa l’Italia, anche in considerazione delle mire geopolitiche ed economiche del governo Renzi in Libia, e comunque sottoposta alla doppia pressione dovuta all’inasprimento dei controlli alle frontiere interne europee – con la sospensione di fatto della libertà di circolazione prevista dal Regolamento Schengen – e con l’imposizione dell’identificazione forzata dei migranti al fine di mantenere l’iniquo dispositivo del Regolamento di Dublino. L’Italia si è conquistata il ruolo di capofila negli accordi di riammissione con i paesi terzi che, in cambio di denaro e aiuti allo sviluppo, devono impegnarsi a bloccare la partenza dei migranti e a riprendere i propri cittadini, a costo di normalizzare le relazioni con quelle stesse dittature da cui migliaia di profughi fuggono ogni anno, spesso a rischio della vita. Ruolo svolto con solerzia dal governo Renzi durante il semestre di presidenza europeo dell’Unione con il processo di Khartoum, il Migration compact e i Memorandum d’intesa. Poco più di tre mesi dopo l’accordo UE-Turchia, la cui applicazione comporta la violazione della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati, il governo italiano ha infatti presentato all’Unione una proposta che cerca di riprodurre la stessa collaborazione con i principali paesi africani di origine e transito dei migranti (a cominciare da Tunisia, Senegal, Ghana, Niger, Egitto e Costa d’Avorio) coniugandola a un programma di sviluppo per l’Africa (collaborazione che spesso si traduce in accresciute sofferenze per i migranti e guadagni per le élites al potere).

A governare gli accordi con i paesi terzi per conto dell’Unione sarà Frontex, recentemente sdoppiata e rifinanziata nel nuovo organismo denominato Guardia costiera e di frontiere europea. Stiamo parlando dell’agenzia che ha sparato contro le imbarcazioni di migranti nell’Egeo, «agendo in base alle regole d’ingaggio della Marina e della Polizia greca»; dell’agenzia presente negli hotspot italiani dove, secondo il rapporto pubblicato da Amnesty International il 3 novembre 2016 si verificano episodi di violenza e persino tortura per forzare migranti e rifugiati e rilasciare le impronte digitali; dell’agenzia che presenzia al trattenimento di migranti nell’hotspot di Lampedusa «senza che di tale trattenimento sia dato avviso alcuno all’autorità giudiziaria», dove «alcuni minori presenti da quasi un mese» riferiscono «di non aver ricevuto neanche un cambio di vestiti né sapone per poter lavare quelli già loro distribuiti» e dove «gli ospiti, anche minori, vivono in condizioni di promiscuità senza alcun controllo, per periodi prolungati, dai 25 ai 40-50 giorni e questa situazione addirittura si prolunga per i minori stranieri non accompagnati». Questa agenzia ha il mandato di coordinare con gli Stati membri il rimpatrio di cittadini afghani, anche minori non accompagnati, senza alcun accenno al loro superiore interesse, previsto in un accordo negoziato segretamente a settembre 2016.
Numerosi episodi dicono di una pericolosa militarizzazione nel Mediterraneo, un mare dove è presente la NATO ed è scomparso il soccorso umanitario, mentre le operazioni di ricerca e soccorso sono compiute con crescenti difficoltà dalle ONG e (ancora) dalla Guardia costiera italiana.

Daniela Padoan

6/2/2017 www.rifondazione.it

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