Italpizza, 2018-2020

11 dicembre 2019: forze dell’ordine, personale del Comune di Modena e dell’azienda Italpizza rimuovono l’installazione del collettivo Nomissis intitolata «Ci sono pizze indigeribili». L’opera mostra un lavoratore incatenato a una margherita, tra acide foglie di basilico.

[A poche decine di chilometri dalla città in cui viviamo, attivamente sostenuta anche da compagne e compagni che conosciamo, è in corso da tempo una delle più radicali ed emblematiche lotte di questi anni: quella delle lavoratrici e dei lavoratori di Italpizza, top player nel settore delle pizze surgelate.
Per le caratteristiche della working class che ne è protagonista – in gran parte donne immigrate da varie parti del mondo – e per gli aspetti toccati dalle sue molte diramazioni – razzismo, violenza contro i migranti, violenza di genere, «decoro», consumo di suolo ecc. –, quest’intricata vertenza è una lotta più «intersezionale» che mai.
Pietro è un compagno di Modena e gestisce il blog miitantduquotidien, dove fa inchiesta e smonta i meccanismi e le retoriche del capitalismo «all’emiliana». Gli abbiamo chiesto di raccontare la storia della vertenza Italpizza dal 2018 a pochi giorni fa. Leggere l’intera sequenza è rivelatore, e permette di comprendere alcuni caratteri della lotta di classe nell’Italia del post-Covid. Buona lettura. WM]

di Pietro – militantduquotidien *

«Giungere ad un punto che è l’ABC dei diritti dei lavoratori, dopo una tale conflittualità, che è stata posta in essere fin dall’inizio dalle aziende in questa città, è un elemento che giudichiamo pericoloso.»
Eleonora Bortolato, sindacalista, 11 dicembre 2018

Se c’è stato un elemento irrinunciabile per gli affari e per gran parte del sistema produttivo del Paese a cavallo fra gli anni Dieci e gli anni Venti del nuovo secolo, è stato senza dubbio il silenzio. Dal caporalato bracciantile nei campi di mezza Italia, passando da Saluzzo a Borgo Mezzanone, dalle morti di Soumaila Sacko e Adnan Siddique, fino ai distretti industriali del Nord, la geografia economica del paese sembra aver seguito grosso modo lo stesso pattern, quello di una filiera agroalimentare di cui si conosce poco o nulla e che sguazza nell’opacità, scaricando tutto il peso della concorrenza sulle spalle dei lavoratori.

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