L’ illusione dei Centri per l’Impiego e del reddito di cittadinanza

Immagine di profilo di eva zenith

I Centri per l’impiego (Cpi) sono strutture pubbliche, coordinate dalle Regioni, che favoriscono sul territorio l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e attuano iniziative e interventi di politiche attive del lavoro. I Centri per l’impiego sono stati istituiti con il d. lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, attuativo della legge 59/1997, e destinati ad essere regolati da apposita legge regionale.

Dal 1997 ad oggi si sono succeduti al Ministero del Lavoro: Tiziano Treu (1995-1998); Antonio Bassolino (1998-1999); Cesare Salvi (1999-2001); Roberto Maroni (2001-2006); Cesare Damiano (2006-2008); Maurizio Sacconi (2008-2011); Elsa Fornero (2011-2013); Enrico Giovannini (2013-2014); Giuliano Poletti (2016-2018). Nove Ministri in 13 governi: Dini, Prodi1, D’Alema1, D’Alema2, Amato2, Berlusconi2, Berlusconi3, Prodi2, Berlusconi4, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni.
Cosa ci hanno lasciato tutti questi politici? Una spesa di 600 milioni di euro l’anno, distribuita tra i 556 Cpi sparsi sul territorio, con 8 mila dipendenti (va ricordato che In Germania ci sono 115mila persone dedicate ai centri per l’impiego).
Due milioni di richieste e 37 mila posti trovati. Solo il 3% dei disoccupati che si rivolge agli uffici di collocamento riesce a trovare un impiego. C’è chi è iscritto a un Cpi da dieci anni senza avere mai avuto un’offerta di lavoro. Scarso coordinamento interregionale, strumenti informatici obsoleti, basso livello di competenza degli operatori.

1. Intermediazione fra domanda e offerta di lavoro: ma dove è l’offerta ?
I Cpi italiani sono un costoso disastro, ed anche una patetica illusione. Per intermediare la domanda e offerta di lavoro è indispensabile che esista un lavoro. In Italia il lavoro vero è relativamente modesto, e lo sarà sempre di più in futuro. L’Italia è, e continuerà ad essere, il Paese del lavoro nero e dei “lavoretti” temporanei, sottopagati, privi di senso.

Tra il 2009 e il 2016 sono fallite in Italia 100mila imprese. Dal 2000 ad oggi, si è avuto un incremento di più del 950% dei fallimenti. Sono 26 le società con ricavi di almeno un milione di euro che da inizio 2018 hanno deliberato scioglimento e liquidazione o hanno depositato istanza di apertura di una procedura concorsuale o di fallimento. Nel 2017 sono state 171. Più di 700 imprenditori si sono suicidati dal 2012 al 2017.

Il lavoro vero è quello a tempo indeterminato, tutelato, ben pagato, salubre, sicuro e magari anche sensato. E’ questo il lavoro che in Italia sta scomparendo. Il fenomeno ha due cause attive ed una passiva. Le cause attive sono la l’informatizzazione e la globalizzazione. La causa passiva è la mancata riconversione del sistema produttivo italiano, che doveva iniziare circa 30 anni fa.

1.1. Le cause attive
a- Ogni computer elimina decine di posti di lavoro. Certe professioni e imprese sono sparite del tutto o sono in via di sparizione grazie agli strumenti informatici: dattilografi e stenografi, librai e librerie, agenti e agenzie di turismo, postini, fotografi e negozi di sviluppo, sale cinematografiche. Le banche riducono gli addetti con la telematica; e molto commercio fa a meno del personale, passando alle vendite online. L’elenco dei posti di lavoro persi grazie o per colpa dell’info-telematica è sterminato, e destinato a crescere.
b- La globalizzazione si esprime con la delocalizzazione della produzione verso Paesi più redditizi. Ogni delocalizzazione implica la perdita di posti di lavoro per gli italiani, e il paradosso è che questa non avviene solo verso i Paesi dell’ex Terzo Mondo, ma anche verso i Paesi dell’Unione Europea. Siamo membri di una Unione che ci sottrae posti di lavoro, con lavoratori meno retribuiti e garantiti, e con legislazioni e burocrazie più malleabili.
c- La globalizzazione si alimenta anche con l’importazione di forza lavoro largamente più economica. Gli immigrati sono soggetti di sfruttamento quasi schiavistico, e nel contempo sono competitori della forza lavoro nazionale.
d- Infine, la globalizzazione si esprime anche con l’emigrazione di risorse giovanili qualificate, preparate a spese dell’Italia e utilizzate da altri Paesi. Questa emigrazione non toglie posti di lavoro, ma sottrae energìe che potrebbero tradursi in una crescita dell’occupazione.

1.2. La causa passiva
L’informatizzazione e la globalizzazione sono processi di lunga durata, da decenni attivi sotto la traccia della cronaca. Possiamo però indicare una data simbolica di svolta: il 1990. Intorno a quell’anno nasce la Rete e muore la Guerra Fredda. Con questi due avvenimenti, l’informatizzazione e la globalizzazione iniziano un frenetico sviluppo progressivo. In quel periodo crolla anche la Prima Repubblica (ormai bolsa e appannata) e l’Italia passa nelle mani di una nuova classe dominante, potenzialmente più sensibile alle nuove ondate della storia.
Dal 1992 ad oggi si sono susseguiti in Italia ben 17 governi di ogni orientamento possibile. Nessuno dei quali ha avviato un processo di riconversione del sistema produttivo dal materiale e locale all’immateriale e globale. Per affiancare l’onda storica e salvaguardare l’occupazione avremmo dovuto gradualmente sostituire il sistema produttivo basato sui beni materiali (manifattura generica) con uno basato sui beni immateriali (natura e cultura, alta tecnologia, istruzione e servizi alla persona). Avremmo dovuto ostacolare le delocalizzazioni, regolare l’immigrazione, aumentare i salari e migliorare le condizioni di lavoro, favorire le imprese produttrici di beni immateriali.
Nessuno l’ha pensato nè fatto, ed ora ci troviamo con trenta anni di ritardo. Se cominciassimo oggi, riavremmo una buona e seria occupazione nel 2050.

2. Il nostro destino: èlites, sotto-proletariato e mendicanti
Lumpenproletariat, cioè “proletariato straccione”. Così Marx designò il sottoproletariato non inserito nel lavoro di fabbrica, senza inquadramento sindacale e senza coscienza politica, contrapponendolo all’autentico proletariato organizzato e composto dalle masse operaie. Secondo questa definizione, oggi il proletariato è praticamente estinto. Vive solo in poche grandi aziende sopravvissute al tornado della crisi.

Anche la classe media, che ha decretato il trionfo del capitalismo del Novecento, è oggi in via di estinzione (grazie a disoccupazione, precarizzazione e tassazione) e sta ingrossando le file del lumpenproletariat. Sono milioni gli ex proletari e gli ex membri della classe media che vivono di beneficienza ed elemosine. Gli ultimi dati indicano che abbiamo 6 milioni di cittadini in stato di povertà assoluta, cioè privi dei beni di prima necessità. E sono 6 milioni i cittadini in stato di povertà relativa, cioè con un reddito inferiore alla media del territorio in cui vivono. Dodici milioni è una cifra che equivale al 20% della popolazione italiana. Per avere un’idea della drammaticità della situazione, ricordiamo che in India la pecentuale di “dalit” (detti anche parìa o intoccabili) è inferiore al 20% della popolazione.

Dire che l’Italia è più vicina al vecchio Terzo Mondo che all’Europa non è un’assurdità. Secondo l’analisi marxiana, il lumpenproletariat è privo di coscienza politica e quindi incapace di promuovere un vero cambiamento politico. Il che è sotto gli occhi di tutti.

Gli italiani sono troppo disperati per pensare alla politica, e sono troppo distratti dal calcio, dai (finti) reality shows, dal pettegolezzo. I dibattiti televisi non sono dibattiti ma monologhi pro o contro il governo. Le notizie di politica internazionale sono ridicole (i matrimoni reali) o vistosamente false. I TG non danno più notizie significative ma solo pettegolezzi, ripetizioni infinite, commemorazioni, markette.

Appena il 19,8% del totale degli italiani ha un classico contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato: si tratta, cioè, di solo di 11 milioni e 973 mila persone. Tutti gli altri occupati hanno contratti diversi: 2 milioni e 632 mila sono a tempo parziale (4,4%); 1 milione 669 mila lo hanno a tempo pieno, ma a termine (2,8%); altri 714 mila ce l’hanno a termine e a tempo parziale (1,2%)

Su una popolazione sopra i 15 anni (52 milioni circa) gli occupati “veri e falsi” sono 20.500.000, gli inattivi sono 26.000.000 (pensionati e disoccupati), i sotto-occupati sono circa 6.000.000. Su 10 pensionati, 6 hanno una pensione sotto i 750 euro mensili.

3. Conclusioni
Nel Paese dei “lavoretti” temporanei, sottopagati, privi di senso i Centri per l’Impiego non saranno altro che nuovi carrozzoni burocratici, inutili quanto costosi. L’ennesima illusione degli italiani. Ecco perchè il reddito di cittadinanza dovrebbe essere dato a chiunque vive con meno di 1000 euro al mese.

Eva Zenith

18/2/2019 www.miogiornale.com

 

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