L’8 marzo lo sciopero femminista dentro e oltre la pandemia

Foto di Silvia Cleri

L’8 marzo sarà sciopero femminista e transfemminista. Per il secondo anno si svolgerà nel contesto dell’emergenza pandemica. È stato proprio nei giorni dello scorso 8 marzo infatti che l’Italia è entrata in lockdown: cosa ha significato l’emergenza sanitaria per le donne lo restituiscono con precisione i dati allarmanti della violenza domestica e dei femminicidi (già 15 da gennaio a oggi, il solo reato in aumento nei mesi della pandemia); quelli relativi al crollo dell’occupazione nel 2020 che riguardano per lo più donne (il 70% per il 2020, il 98% per il solo dicembre 2021); i numeri del contagio nei servizi essenziali (il 74% riguarda le donne), quelli più femminilizzati, appunto.

Non misurabile rimane la quantità di lavoro di cura nelle case, aumentato con la chiusura delle scuole, sovrapposto al lavoro trasferito in casa con l’intensificarsi di forme di telelavoro, didattica a distanza e smartworking. La pandemia infatti ha reso evidente la centralità e insieme la crisi della riproduzione sociale, scaricata sulle donne, e quella del welfare pubblico stremato da austerity, precarizzazione e aziendalizzazione. Ha approfondito il conflitto tra sopravvivenza e profitti – come viene evidenziato anche dalla gestione del piano di vaccinazione – e tra lavoro e salute: le condizioni della sanità e della scuola ne sono l’esempio più lampante.

Il passaggio avvenuto nel quadro politico italiano con il governo Draghi, nel segno dell’uomo forte al comando, autorevole ed esperto, ha segnato la definitiva “depoliticizzazione” della gestione della pandemia e del post pandemia. L’8 marzo ci troveremo alla vigilia dello sblocco dei licenziamenti e nel pieno della definizione europea del Recovery Plan. I 209 miliardi per la “ricostruzione” arriveranno in Italia, ma ciò che è spacciato per competenza tecnica è espressione della volontà di mantenere l’impalcatura neoliberale e patriarcale anche nel post pandemia.

Il Recovery Plan si definisce ancora una volta come terreno di lotta cruciale non chiuso ma da riaprire.

La pandemia impone di rimettere al centro la cura e la riproduzione come dispositivo sociale e collettivo e di ripensare la produzione e il consumo in un quadro di giustizia ecosistemica, disvelando l’accaparramento di corpi e territori con operazioni di green e pink washing feroci. Al di là di ogni falsa retorica sull’inclusione lavorativa e sulle politiche di conciliazione vita-lavoro, saranno le donne, le migranti e le soggettività lgbtqia+ a pagare il prezzo più alto.

Foto di Vittorio Giannitelli

È questo dunque il contesto in cui si rilancia il piano femminista e transfemminista dentro e oltre la pandemia: ridistribuzione della ricchezza, un reddito per l’autodeterminazione e libertà di movimento non condizionate per fuoriuscire dalla violenza e dal ricatto, salari degni, socializzazione della cura e welfare pubblico universale e non familistico. Ripensamento delle istituzioni della cura e della scuola a partire dai bisogni e dai desideri, diritto alla salute come tema pubblico e sociale e strumento di autodeterminazione, salute ecosistemica per mettere in questione produzione, consumo e riproduzione sociale.

Il piano femminista per il post pandemia tiene al centro il tema della democratizzazione del welfare e della lotta alla violenza di genere ed è ben riassunto nello slogan che lo lancia: «Essenziali sono le nostre vite, essenziale è il nostro sciopero».

L’emergenza ha significato anche ripensare completamente le forme dell’organizzazione politica del movimento femminista, e ripensarle a partire dall’assenza dei corpi e contemporaneamente dalla necessità di rinsaldare i legami di solidarietà per rompere il pericoloso isolamento imposto, provando a sperimentare forme differenti e ibride di presa di parola, di solidarietà, mutualismo e autoinchiesta, attivismo sui social e nelle piazze.

Dalla campagna social #iorestoacasama alle piazze della settimana del 25 novembre al grido di «se ci fermiamo noi si ferma il mondo» la sfida si rinnova con lo sciopero femminista e transfemminista del prossimo 8 marzo.

Sfida più che mai ardua quanto urgente: già a partire dal marzo dello scorso anno e con l’accordo del 2 dicembre 2020, infatti, sono state introdotte ulteriori limitazioni al diritto di sciopero. L’esclusione del comparto scuola ne è un effetto. Eppure in questi mesi duri molti sono stati gli scioperi e grande il protagonismo delle donne. Non Una Di Meno ha predisposto un vademecum e una mail per supportare le lavoratrici che vogliono scioperare a poterlo fare e a non subire ritorsioni o abusi.

L’avanzare della terza ondata frammenta di nuovo il paese in misure di contenimento a diverse intensità, escludendo province e intere regioni. Malgrado ciò, sono 37 al momento le città che organizzeranno azioni, flashmob, piazze dello sciopero.

A Roma l’appuntamento è alle 10,30 al Ministero dell’Economia e Finanze per un flash mob sui dati della crisi, inoltre diverse saranno le articolazioni e le azioni nelle scuole e nelle università, l’appuntamento cittadino è a piazza Esquilino a partire dalle 16 per un’azione performativa ecofemminista e dalle 17 per dare vita alla Zona Fuxia, spazio di riconoscimento, lotta e riappropriazione di tempo, spazio e autonomia.

A Milano l’appuntamento è in Piazza Affari dove convergeranno anche le studenti di nuovo in Dad per denunciare come la scuola si ferma, mentre i profitti no. Poi pedalata femminista verso piazza Duomo dove l’appuntamento è per le 18.

Foto di Non Una Di Meno

A Piacenza l’8 marzo si terrà l’udienza del processo per il femminicidio di Elisa Pomarelli e Non Una Di Meno organizza un presidio di supporto alla famiglia di Elisa e per denunciare la giustizia patriarcale che disconosce l’aggravante per femminicidio e consente il patteggiamento al suo assassino. Il tema della violenza istituzionale rimane campo di battaglia fondamentale anche nel giorno dello sciopero femminista.

Ma come moltiplicare e innovare le pratiche dello sciopero dentro e oltre le limitazioni imposte al lavoro essenziale e nell’intensificarsi di forme di lavoro a distanza? Le lavoratrici in smart working lanciano lo sciopero dalla connessione, dando indicazioni per visibilizzarlo, condividendo una mail di risposta automatica e una grafica, per rompere la frammentazione e la solitudine imposta da questa specifica forma lavorativa.

Lo sciopero femminista si conferma un processo in divenire, uno strumento di lotta da reinventare e un terreno di conflitto, un laboratorio politico dentro e oltre la pandemia per costruire parole d’ordine condivise, pratiche comuni, mappatura, alleanze per le sfide politiche che ci attendono.

Redazione https://www.dinamopress.it

7/3/2021

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