Sanità Lombardia. La banalità (pericolosa) dell’incompetenza da superare con un “comitato di salute pubblica”

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Sta facendo scalpore l’ultima proposta della Assessora lombarda Letizia Moratti sulla introduzione dei “viceinfermieri”, nuova figura di operatore sanitario con 300 ore di formazione, da utilizzare nelle strutture socio-sanitarie. Arriva dopo la proposta di caricare gli infermieri di funzioni proprie dei Medici di Medici Generale (MMG): dei “vice medici”. Retrocedendo di questo passo si arriverà a dare un ruolo anche ai cultori del gioco “L’allegro chirurgo”. Battute a parte queste proposte (“sperimentali” e che avrebbero avuto un primo assenso del Ministro della Salute) confermano lo stato di crisi della sanità lombarda, dall’allungamento dei tempi di attesa alla insufficienza di operatori, in particolare di MMG.

Il fallimento totale (per i cittadini, per i profitti è un altro affare) della “equivalenza” pubblico-privato fa arrampicare sui vetri i responsabili di questa situazione. Dopo aver scientemente e metodicamente distrutto la sanità pubblica in Lombardia ci si sorprende della sua crisi a partire dalla difficoltà di arruolare MMG e altri operatori sanitari.

Per analogia, solo di fronte ai morsi della siccità si comincia a pensare ad usare in modo parsimonioso e attento la risorsa acqua, anch’essa ampliamente privatizza nonostante la volontà popolare.

Pochi mesi fa la stessa assessore riconduceva il problema del calante numero di MMG a una questione di inadeguato impegno orario dei medici trovando recentemente una sponda nel Ministro della Salute che nel DM 71 propone il “dimezzamento” del tempo degli MMG tra studio e case di comunità, con probabili effetti alla “visconte dimezzato” di Calvino. Sul tema, vi era stato un prologo lombardo da cinque anni, con le “delibere sui cronici” ove ad essere “dimezzati” (tra patologie croniche e non) erano i cittadini dati in pasto all’ennesima fase di privatizzazione.

Tutto ciò conferma la preoccupazione espressa dalla Tesoreria dello Stato quando, esaminando l’ultima versione della normativa regionale, chiedeva come fosse possibile garantire con le risorse disponibili la preminenza del pubblico con le ulteriori scelte di sbilanciamento verso il privato, con il prevedibile drenaggio anche di gran parte delle risorse del PNRR verso quest’ultimo.

Non abbiamo dubbi che l’ulteriore impoverimento e difficoltà della sanità pubblica saranno “giocati” per motivare ulteriori sbilanciamenti sul privato.

Sia chiaro, non è una questione di “statalisti” contro “liberisti”, quello che è in gioco è la sanità quale bene comune e la salute come diritto costituzionale, individuale e collettivo. Il primo effetto pratico che subiscono da tempo i lombardi è una sempre maggiore discriminazione nell’accesso ai servizi : chi può pagare ottiene prestazioni in tempi veloci, chi non può si mette in fila per mesi. In mezzo chi ha a disposizione strumenti integrativi (mutue, assicurazioni, “welfare aziendale”). Una prospettiva “americana” che si avvicina sempre più ribaltando il principio dell’accesso universale ai servizi di prevenzione, cura e riabilitazione ancora alla base del Servizio sanitario sanitario. Non si vede nemmeno una inversione di rotta del sindacato : con il rinnovo del contratto della sanità pubblica è stato confermata la previsione, con la contrattazione locale, della sanità integrativa. E’ una esplicita scelta verso la sanità privata, l’autodafè di un tragico Tafazzi mentre non si solleva la richiesta sempre più pressante dei lavoratori per un unico contratto collettivo nazionale della sanità per superare le differenze di trattamento nello stesso comparto e i minori diritti dei lavoratori del privato (su cui incombe maggiormente il “vincolo fiduciario” con il datore di lavoro che zittisce ogni possibile denuncia di criticità nei servizi).

La incompetenza dell’assessora segue quella dei suoi predecessori che hanno ridotto  programmazione e verifica degli obiettivi ad una questione di numeri da rendicontare. Gli MMG lamentano fondatamente l’aggravio nelle attività amministrative ma questa condizione è estesa a tutti gli operatori. Nel campo nel quale ho diretta competenza (dipartimento di prevenzione) da anni, pur a fronte della riduzione dei tecnici della prevenzione, le attività svolte sarebbero in costante aumento ma è solo una illusione ottica del “dare i numeri” cui la regione (e non solo) ci obbligato per dimostrare il raggiungimento di obiettivi a tavolino ove la qualità e l’efficacia degli interventi non costituiscono un criterio di valutazione. Così controlli cartacei vengono considerati. per rimanere al mio campo, al pari dei sopralluoghi nei luoghi di lavoro, con il beneplacito di tutte le parti sociali.

Una visione distorta delle attività che determina anche un “imprinting” avvelenato nei confronti dei giovani assunti.

Che fare ? Le elezioni regionali del 2023 decideranno se la distruzione della sanità pubblica ed un approfondimento delle diseguaglianze andrà a definitivo compimento o se, con il cambio della maggioranza, si aprirà la possibilità di una inversione di tendenza radicale. Molte realtà associative hanno indicato i contenuti e percorso una strada di manifestazioni e incontri, pressando chi si pone come alternativa a mettere la sanità/salute tra i punti fondanti le proposte (parliamo del 75/80 % del bilancio regionale). Necessita letteralmente un “comitato di salute pubblica” ove dare spazio alle realtà sociali e a chi le ha rappresentate in particolare negli ultimi due anni. Le associazioni bussano alla porta del centrosinistra, qualcuno aprirà la porta?

Marco Caldiroli

Presidente Medicina Democratica – Tecnico della Prevenzione

24/6/2022 www.medicinademocratica.org

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