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Commenti di Mauro Biani

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    Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Culture, Editoria Libera, Politiche di Rifondazione, Storia e Lotte — Dicembre 9, 2021 8:00 am

    I lavoratori e le lavoratrici di Gkn annunciano «un piano produttivo» autonomo che propone una nazionalizzazione di nuovo tipo, costituita da «un movimento dal basso, fatto di reti volontarie e professionali, militanti e accademiche»

    La classe dirigente

    Pubblicato da franco.cilenti

    «Chi lotta bene, pensa bene». Così intitolava su questa rivista Lorenzo Alfano il racconto della sua visita allo stabilimento Gkn di Campi Bisenzio, in un caldo lunedì di fine luglio, poche settimane dopo l’arrivo delle lettere di licenziamento e l’avvio di una lotta che possiamo già dire sia entrata nella storia delle relazioni industriali del nostro paese.

    Sei mesi dopo, in una fredda domenica di inizio dicembre, non si può non ripensare a quelle parole, e riconoscere l’estrema intelligenza collettiva dimostrata dal Collettivo di Fabbrica.  Dopo la sentenza del Tribunale di Firenze per condotta antisindacale, che ha di fatto bloccato la procedura di licenziamento aperta nel mese di luglio (cui è seguito il tentativo del fondo Melrose di riaprirla a fine novembre), si è aggiunta la discesa in campo di Francesco Borgomeo – l’advisor nominato da Melrose per trovare dei possibili compratori dello stabilimento di Campi Bisenzio. Da una cospicua messe di interviste, si apprende della sua candidatura a rilevare Gkn Driveline Firenze, con un piano di reindustrializzazione a dir poco ardito, e del quale non si conoscono ancora i dettagli, se non alcuni non meglio specificati riferimenti al settore delle energie rinnovabili e dei macchinari per l’industria farmaceutica; una serie di proposte di riconversione ancora vaghe che, come hanno commentato i delegati della Rsu, appaiono «incredibili», in quanto mai avvenute sinora in Italia, dove «salvataggi» ben meno ambiziosi si sono risolti nel prolungamento dell’agonia delle crisi industriali.

    Ma l’assemblea del 5 dicembre non è stata chiamata per riflettere su questo ulteriore elemento, che rende decisamente più complessa la partita attorno al futuro della fabbrica, né per validare nuovamente il «patto in difesa di Gkn» stretto tra Collettivo di Fabbrica e realtà solidali a convergere per insorgere – «fino a che ce ne sarà», come recita il coro del Collettivo. A rinsaldare questi legami ci aveva già pensato l’assemblea convocata il 19 novembre, con un appello diretto a proseguire il percorso verso lo sciopero generale e generalizzato, e alla mobilitazione di tutte le intelligenze e le professionalità solidali a dare il proprio contributo alla lotta. In una fase di grande stanchezza, quando la ripresa della procedura di licenziamento sembrava questione di giorni, e a fronte dell’assenza di qualsiasi apertura da parte di Melrose, dell’inazione delle istituzioni, e anche dell’evidente «problema sindacale» dettato dalla ritrosia da parte dei sindacati confederali a rompere con il governo, il Collettivo di Fabbrica della Gkn ha avuto di nuovo la lucidità e la forza di rilanciare; di mostrare che la radicalizzazione della vertenza non era un atto di massimalismo parolaio ma, al contrario, l’unica soluzione pragmatica per non farsi mettere all’angolo. 

    La risposta allo «stallo» è stata dunque cercata nell’elaborazione autonoma di «un piano produttivo di continuità occupazionale», che garantisca i livelli occupazionali e i diritti conquistati dai lavoratori e dalle lavoratrici; e dalla proposta di una nazionalizzazione, non «alla Ilva o alla Alitalia», pensata per tener buoni i lavoratori fin quando si spegne l’attenzione pubblica e licenziarli via via che l’azienda viene lasciata bollire. Al contrario, una nazionalizzazione di «un movimento dal basso, fatto di reti volontarie e professionali, militanti e accademiche». Il 5 dicembre, dunque, il Collettivo di Fabbrica ha invitato «tutti i soggetti in grado di contribuire», a partire dalle Università, per l’elaborazione di «un piano di ripresa della fabbrica, all’interno del piano per un polo pubblico della mobilità sostenibile».

    Sapevano di poter contare sulla risposta di molte e molti che, nelle università toscane e non, si sono attivati per sostenere la loro lotta – dagli appelli di accademici contro la chiusura dello stabilimento, e degli Ingegneri solidali a «immaginare delle proposte di riconversione della fabbrica, una riconversione pensata con le teste degli operai e non sulle teste degli operai», al «semplice» alternarsi nei turni notturni al presidio in fabbrica, fino al progetto di legge contro le delocalizzazioni redatto da un gruppo di giuristi, approvato dall’assemblea permanente delle lavoratrici e dei lavoratori Gkn e ora indiscussione in Parlamento.

    Un primo incontro si era peraltro svolto pochi giorni prima, alla Scuola Superiore Sant’Anna, dove l’Istituto di Economia ha dedicato un pomeriggio alla vicenda, e Dario Salvetti per la Rsu GKN aveva già anticipato questa prospettiva. Pochi giorni dopo, l’assemblea veniva rilanciata da un nuovo appello di «economisti solidali» che avevano organizzato l’incontro al Sant’Anna, per capire come mettere al servizio della lotta i saperi critici faticosamente tenuti in vita in un’università sempre più asservita a logiche di «produttività» accademica slegata da problemi sociali concreti. 

    L’appello, dopo aver riconosciuto nella vicenda Gkn «le classiche storture di un sistema economico fondato sulla totale libertà dell’impresa», lo definiva anche e soprattutto «un caso da manuale di imbarazzo della politica e di assenza dell’intervento dello stato». In un paese che vede «quasi 90 tavoli di crisi aziendali presso il ministero dello sviluppo economico, con centomila lavoratrici e lavoratori in gioco», latita infatti qualsiasi strategia di politica industriale in grado di porsi obiettivi di lungo periodo, che sappiano guardare alle dinamiche dell’innovazione, individuare e promuovere le produzioni strategiche, arginare lo sgretolamento di un tessuto produttivo logorato da decenni di delocalizzazioni e dismissioni». «In questi anni dallo stato sono arrivati solo interventi orizzontali, volti a correggere i presunti ‘fallimenti di mercato’: ma è un fallimento il fatto stesso che ci si affidi al mercato per affrontare sfide economiche ed ecologiche drammatiche come quelle che viviamo oggi». Tra il 19 novembre e il 5 dicembre, fino alle ultimissime ore precedenti l’assemblea, gli economisti del Sant’Anna si sono riuniti e hanno lavorato fianco a fianco con il Collettivo di Fabbrica, gli «ingegneri solidali», e tante e tanti che hanno trovato il modo di contribuire all’elaborazione di un piano che, in una forma ridotta, è stato distribuito ai partecipanti dell’assemblea e presentato dagli interventi della mattina, e in una forma più elaborata viene in queste ore emendato e affinato tenendo conto dei numerosi contributi arrivati dai partecipanti all’assemblea. 

    Partendo da un’analisi dell’evoluzione e dello stato attuale delle relazioni industriali nella fabbrica (a dimostrazione dell’importanza di una prospettiva storica e pienamente multidisciplinare nella ricerca accademica), il «piano» propone una «prospettiva multilivello, volta a garantire come ultimo scopo la stabilità occupazionale e reddituale di lavoratori e lavoratrici», basata su due proposte alternative: una più in continuità con la produzione attuale, all’interno di un «Polo pubblico della mobilità sostenibile»; e una più radicale di riconversione a produzioni diverse., Indica inoltre il coinvolgimento degli attori pubblici ancora in grado di operare, riconoscendo – a garanzia che la reindustrializzazione e l’eventuale nazionalizzazione non diventino una polpetta avvelenata – una «nuova forma di controllo e gestione della fabbrica con la valorizzazione del sapere operaio» e l’istituzionalizzazione di nuove e più virtuose relazioni tra la fabbrica e le università. Un «piano» che in linea con lo spirito della lotta del Collettivo di Fabbrica Gkn, individua in questo caso di crisi «un’opportunità concreta di rilancio del tessuto industriale del sistema-paese, tramite una proposta radicale di riconversione produttiva». Nel far questo, il «piano» cerca anche di inserirsi nel dibattito – assai scarso, a dire il vero – sugli usi e destini dei fondi del Pnrr evidenziando come esso dichiari obiettivi (transizione ecologica, mobilità sostenibile, coesione sociale) che non possono essere affidati a imprese poco o nulla regolate, e rivendicando questa come l’occasione di un intervento dello stato più intenso e lungimirante.

    I dettagli del «piano» verranno rivelati nei prossimi giorni, nei tempi e nei modi che l’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori Gkn riterrà opportuni. Ma ciò che già oggi è importante sottolineare, è come nel momento forse più difficile l’intelligenza collettiva di questa vertenza abbia saputo guardare lontano. Andando a vedere la sostanza dietro le manifestazioni di solidarietà, il Collettivo di Fabbrica ha trovato nelle università pubbliche del territorio – anche in quelle dove domina più che altrove la retorica dell’«eccellenza» – veri alleati in grado di contribuire, partendo soprattutto dalla valorizzazione del sapere operaio manifestato in tutte le fasi di questa lunga lotta. È stata la parte del lavoro ad avere i tempi giusti, e all’avvio di questa nuova fase di trattative il Collettivo di Fabbrica può contare su un piano da contrapporre e sulla base del quale verificare  i bluff delle controparti, tanto private quanto pubbliche. Le proposte contenute nel «piano» non sono radicalmente nuove, e non sono state «portate» da fuori, ma facevano già parte da tempo dell’elaborazione del Collettivo stesso: il contributo di ricercatori e ricercatrici è stato quello di spendere le proprie competenze per approfondirle e formalizzarle. Studenti, ricercatori e operai di nuovo insieme, sì, ma senza la pretesa di venire a insegnare, anzi, partendo dall’assunto di un sapere operaio da cui è l’università a poter imparare molto – a partire dalla tutela dei propri diritti.

    Come scrivono dalla loro pagina, gli operai e operaie della Gkn hanno dimostrato di essere davvero «classe dirigente». E con un’altra coincidenza, nelle stesse ore in cui scriviamo queste righe Cgil e la Uil dichiarano lo sciopero generale per il 16 dicembre. 

    Aveva ragione l’assemblea Gkn, e abbiamo una settimana per seguire la loro intuizione: generalizziamo questo sciopero, facciamo convergere le nostre intelligenze e le nostre lotte, insorgiamo e pretendiamo per tutti e tutte noi una nuova politica industriale in grado di garantirci un futuro, sia in termini di occupazione che di riconversione ecologica, un salario degno, tempi di lavoro rispettosi delle nostre vite. E tutto ciò che ci è stato tolto e non siamo ancora in grado di immaginare.

    Francesca Gabbriellini è dottoranda in Storia all’Università di Bologna.

    Giacomo Gabbuti è dottorando di storia economica all’Università di Oxford e assegnista di ricerca alla Scuola Superiore Sant’Anna.

    Questo articolo è stato scritto con la collaborazione degli Economisti solidali con il Collettivo di Fabbrica Gkn e l’assemblea permanente dei lavoratori Gkn.

    8/12/2021 https://jacobinitalia.it

    Tags: Classe dirigente Collettivo di Fabbrica di GKN Confindustria Dario Salvetti Fiom-Cgil Gkn Gkn di Campi Bisenzio governo Draghi Insorgiamo Lavoratori GKN lotte operaie Ministero del lavoro operai Operaie GKN Politiche industriali RSU Sciopero generale
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