La Corte Costituzione abdica al pareggio di bilancio.

Se qualcuno voleva una dimostrazione del carattere tecnicamente eversivo dell’introduzione dell’obbligo “pareggio di bilancio” all’interno della Costituzione (art. 81) ora cel’ha.

La Corte Costituzionale, infatti, ieri ha emesso la sentenza sul pluriennale blocco della contrattazione nel publico impiego. Da oltre cinque anni, infatti, i lavoratori dello Stato non hanno avuto più un rinnovo contrattuale, quindi nessun adeguamento degli stipendi. Per effetto dell’inflazione, il loro assegno medio mensile ha così perso circa il 10% del potere d’acquisto.

La sentenza è molto sintetica – appena sei righe – e per le motivazioni, come sempre, bisognerà attendere qualche mese. Ma una cosa è stata chiarissima a tutti gli osservatori.

Andiamo con ordine.

«La Corte Costituzionale in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze R.O. n. 76/2014 e R.O. n. 125/2014, ha dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato. La Corte ha respinto le restanti censure proposte».

Il significato tecnico va sciolto. In pratica la Consulta ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale del blocco, ma senza effetti per il periodo fin qui intercorso. Al massimo, per il governo, si pone il problema di dover effettuare il rinnovo contrattuale nel 2016. Per i dipendenti pubblici, però, non c’è alcun arretrato di pretendere.

A prima vista potrebbe sembrare che la sentenza sia illogica, perché non si può comprendere come una decisione governativa illegittima durata oltre cinque anni sia comunque priva di conseguenze pratiche. Una volta ammesso questo doppio regime, infatti, nulla vieta ai futuri governi di fare altrettanto con qualsiasi norma: prendo una decisione che viola la Costituzione, quando poi la Corte dirà che non potevo farlo, e saranno passati anni, non succederà nulla.

In realtà, la Corte ha questa volta tenuto conto – come le veniva “consigliato” fin dalla sentenza con cui aveva bocciato il mancato adeguamento delle pensioni – anche del famigerato art. 81 voluto dalla Troika e votato senza discussione da un Parlamento di nominati, incompetenti, ricattati. Un articolo altrettanto “costituzionale” che ha però il potere di invalidare tutti gli altri. E l’effetto immediato è chiarissimo: i dipendeti pubblici “avrebbero” un diritto costituzionale al rinnovo del contratto di lavoro, ma se questo comporta una maggiore spesa pubblica, tale da rendere difficile il pareggio di bilancio, allora quel diritto cede il passo.

E non c’è dubbio che, se quel diritto fosse stato fatto valere anche su piano pratico, per i conti pubblici si sarebbe aperto un grosso problema, quantificato nell’arringa dell’avvocato dello Stato, Vincenzo Rago, in non meno di «35 miliardi», con «effetto strutturale di circa 13 miliardi» annui dal 2016. A tanto ammonta infatti il “risparmio” accumulato dai governi degli ultimi cinque anni.

Ma se i diritti costituzionali sono ora tutti subordinati, quanto all’efficacia, all’eventualità che siano anche contabilmente “sostenibili”, secondo i criteri decisi dal governo ma “corretti” dall’Unione Europea anno dopo anno, ecco che la Costituzione italiana “nata dalla Resistenza” cessa di esistere. O meglio, resta in vigore solo per quelle parti che non hanno peso economico (dalle “unioni civili” in giù).

Insoma: non è più una Costituzione, ma un manuale di ragioneria.

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Il comunicato del sindacato Usb

PUBBLICO IMPIEGO: FIORENTINI (USB P.I.), SENTENZA CONSULTA ATTESTA  CHE L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SUL PAREGGIO DI BILANCIO

Continueremo a lottare contro disegni di darwinismo sociale targati FMI e BCE

La sentenza della Corte Costituzionale sul blocco stipendi dei lavoratori pubblici conferma che ormai l’Italia è una Repubblica fondata sul pareggio di bilancio ed i diritti dei lavoratori possono tranquillamente essere sacrificati”, è il duro commento di Cristiano Fiorentini, dell’Esecutivo Nazionale USB Pubblico Impiego.

Infatti – prosegue Fiorentini – nel momento in cui si dichiara illegittimo il blocco dei contratti ma non lo si considera retroattivo, si conferma che siamo di fronte ad una sentenza fortemente condizionata dalle pressioni del Governo tese ad evitare l’onere di miliardi di arretrati ”.

La buona notizia è che adesso il Governo sarà costretto a riaprire i contratti – evidenzia il dirigente USB – ma sia chiaro che dovrà stanziare le risorse utili a recuperare la perdita del potere di acquisto dal 2009, data dell’ultimo aumento, fino ad oggi. Rimane in ogni caso il fatto che i dipendenti pubblici sono stati danneggiati illegittimamente per 6 anni consecutivi e non saranno risarciti del danno subìto che, tra salario e contributi, si aggira sui 7mila euro pro capite”.

Aggiunge il sindacalista: “Dopo le pensioni, ora anche i contratti pubblici sono a dimostrare che questa Europa è una macchina schiaccia-diritti, che si muove al di fuori di qualsiasi regola e che troverà altri modi per attaccare i diritti dei lavoratori e smantellare un settore pubblico già ridotto all’osso. Ma l’USB continuerà ad organizzare le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici contro un disegno di darwinismo sociale che ci vorrebbe vittime predestinate dei predatori FMI e Banca Centrale Europea”, conclude Fiorentini.

25/6/2015 www.ontropiano. org

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