LA COSTITUZIONE NATA DALLA RESISTENZA: LA VERITA’ SU GUASTATORI E MANOMISSIONI

La principale manomissione della Costituzione, risultato di un tentativo purtroppo andato a buon fine, è quella sponsorizzata dal Presidente Giorgio Napolitano e attivamente sostenuta, ai tempi del governo del professor Mario Monti, da Pierluigi Bersani ed Enrico Letta (rispettivamente Segretario e Vicesegretario del Partito Democratico, all’epoca dei fatti). Alludo all’inserimento del pareggio di bilancio nella Carta, operazione che ne stravolge e neutralizza l’impianto valoriale originario. La preminenza di principi e valori fondativi rispetto all’economia: questa fu la scelta dell’Assemblea Costituente italiana che, tra le macerie materiali e morali provocate da un conflitto bellico immane, seppe concepire il superamento del totalitarismo fascista non come semplice ripristino del sistema liberale ma come originale opzione strategica a valenza planetaria e trans epocale, cioè come affermazione di autonomia e superiorità di principi e valori fondamentali (rinuncia alla guerra, democrazia reale mediante partecipazione effettiva, volontà e sovranità popolare, finalità sociale, interesse pubblico, lavoro, persona umana, salute, paesaggio, ecc.) rispetto alla contingenza storica ed economica. Il professor Mario Monti, in veste di Presidente del Consiglio individuato e designato nel 2011 con procedure in buona misura extraparlamentari e quale sostanziale espressione della cosiddetta Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) completa nel 2012 l’operazione di revisione della Costituzione consistente, per l’appunto, nell’inserimento al suo interno del principio del pareggio di bilancio. L’operazione, portata a termine i pochi mesi e sostenuta da un’insistente propaganda politico-mediatica volta a mostrarne l’ineluttabilità, è basata sui seguenti assunti rivelatisi col tempo luoghi comuni destituiti di fondamento e tragicamente fuorvianti: la crisi finanziaria globale ha origine nell’economia reale (cittadini che, dagli Stati Uniti alla Grecia, vivono al di sopra delle reali possibilità, Stati che spendono troppo, ecc.) e l’austerità (consistente primariamente nel perseguimento ad ogni costo del pareggio di bilancio e nello smantellamento dello stato sociale) è la risposta alla crisi. 

Non solo qualche premio Nobel in economia ma qualsiasi studente universitario mediamente versato nella materia è in grado di dire oggi che i suddetti assunti sono errati, confutati da dati empirici e dalle best practice governative planetarie andate fortunatamente in tutt’altra direzione. Rimangono purtroppo diversi reperti di quel predominio momentaneo di verità dogmatiche e conformismo politico-mediatico, oltre che di opportunismo politico combinato in taluni casi con vanità e supponenza personali. Tra questi reperti, spicca l’allineamento del dettato costituzionale italiano alle richieste pressanti della tecnostruttura e degli organismi politici comunitari in sintonia col sistema finanziario -bancario internazionale, soggetti diffidenti nei confronti dell’originalità del sistema istituzionale italiano. Infatti, l’inserimento in Costituzione del principio del pareggio di bilancio rappresenta un rilevante e insidioso tentativo di neutralizzazione e rimozione, nei contenuti e nell’approccio, dell’imprinting costituente originario che invece, proprio  per il primato della dimensione valoriale e la noncuranza della sfasatura rispetto alle situazioni contingenti, rimane valido, vitale ed esemplare. 

Sul piano specificamente economico, il paradigma contabile tende erroneamente a ridurre il valore di un asset o di una prestazione e dello stesso individuo al suo costo e a confondere la generazione di valore con la compressione dei costi di produzione. Le implicazioni dei suddetti assunti sono notevoli: sul piano concettuale, è negata la funzione chiave del lavoro nella creazione di valore aggiunto, all’interno di un’organizzazione appropriata; sul piano pratico, viene spesso e gravemente compromesso lo sviluppo delle forze produttive, che è principalmente funzione della combinazione creativa dei fattori produttivi e non risultato automatico della riduzione dei costi.Il primato del paradigma contabile è sostanzialmente incompatibile con quello del lavoro, della persona umana, della salvaguardia di ambiente e biodiversità, della partecipazione democratica. Peraltro, l’elevamento dell’acribia ragionieristica (la ricerca spasmodica della quadratura contabile) a principio base è il risultato di un’interpretazione regressiva e distorta del liberalismo, storicamente avverso a condizionamenti dirigistici e focalizzato sulla produzione della ricchezza sociale all’interno di un’economia di mercato.La teoria e la pratica della gestione dell’impresa, oltre che la testimonianza operativa di qualunque imprenditore, dimostrano che il vincolo del pareggio di bilancio è l’approccio idoneo a trasformare un eventuale problema economico (strategia competitiva errata, produttività bassa, innovazione insufficiente, ecc.) in un sicuro disastro. 

Dunque, abbiamo inquinato la Costituzione con limitazioni ispirate a un’ideologia dell’austerità che si è rivelata fallimentare (come autorevoli e premiati economisti hanno concordemente evidenziato) e dalla quale le azioni positive dei governi (degli USA, in primis) si sono drasticamente allontanate, proprio per affrontare efficacemente la crisi finanziaria in corso. Insomma, mentre il capitalismo più avanzato, per sopravvivere e svilupparsi, si discosta dalla dottrina dell’austerità contabile, ritenendola parte del problema piuttosto che della soluzione, noi la inseriamo nella Carta, in conformità con l’indirizzo erroneo prevalente a livello di tecnostruttura e organismi politici comunitari. Si deve notare, per inciso, che proprio in base a questa dottrina, la famigerata Troika provvede, nello stesso periodo, con la partecipazione qualificata della BCE, a “spezzare le reni alla Grecia” (mediante diktat, estorsioni e usura), con conseguenze tragiche per le condizioni di vita del popolo greco e con due risultati concreti: far rientrare le banche tedesche dei crediti incautamente concessi e ammonire i governi europei refrattari sull’ineluttabilità dell’austerity.Tornando alla situazione italiana, le responsabilità del premier Monti, di dirigenti e scienziati politici della sinistra di governo e dell’allora Presidente della BCE Mario Draghi nell’istruzione e nel perfezionamento dell’operazione culminata nella legge costituzionale 1/2012 sono state veramente rilevanti e non si può omettere di ricordarle. 

Nell’occasione, è stato ritenuto superfluo il referendum confermativo, nonostante la gravità e le implicazioni della decisione, in termini di smantellamento costituzionalmente legittimato dello Stato sociale: tagli e disinvestimenti nel sistema sanitario nazionale, riforma del sistema pensionistico e blocco rivalutazione pensioni, blocco rinnovo contratti pubblici, ecc.. Nel corso della revisione e poi con la copertura ideologica e giuridica della stessa, la sinistra ministerialista assume definitivamente il ruolo di principale interprete, nel Paese, degli interessi del sistema finanziario – bancario nazionale e internazionale, dilatandone a dismisura (anche con legislazione ad hoc) l’influenza nei rapporti economico-sociali: intermediazione bancaria obbligatoria nei pagamenti (caso eccezionale, nelle società ad economia di mercato); promozione dell’indebitamento privato; incremento (a beneficio degli istituti di credito, a detrimento dell’erario e a svantaggio di consumatori e imprese) della deducibilità fiscale e quindi della convenienza delle sofferenze bancarie; facilitazione delle cessioni (mediante cartolarizzazione) dei crediti (deteriorati e non) quale strumento speculativo di generazione di liquidità; fluidificazione a connotazione marcatamente gangsteristica (estorsione più o meno legale, in concorrenza con la malavita organizzata) su input della BCE e personalmente del suo Presidente del recupero dei crediti bancari (a fronte di eventuali insoluti), ecc.. 

L’Italia, dunque, diventa esperienza pilota di finanziarizzazione universale e forzosa, vale a dire terreno elettivo di rafforzamento e legittimazione della presenza invasiva, di dubbia utilità economico-sistemica e in taluni casi talmente predatoria da risultare socialmente pericolosa, del sistema bancario – finanziario in ogni ambito della vita sociale. In materia di attività predatorie svolte dal predetto sistema (con protezione statale), assume rilievo la fenomenologia seguente: prestiti personali, credito al consumo, carte di credito revolving, cessione del quinto di stipendio o pensione, per arrivare alle anticipazioni bancarie di liquidità a seguito di cessione di credito previste dai famigerati bonus (110%, 60%, ecc.) inventati con lo scopo principale di trasferire surrettiziamente e in misura abnorme risorse finanziarie pubbliche alle istituzioni finanziarie private.

Privilegiando in vari modi il sistema finanziario, avversando i ceti produttivi e in particolare le attività economiche indipendenti (mediante tassazione, burocrazia e infine gestione discriminatoria della pandemia), incrementando il peso della tassazione indiretta (aumento dell’IVA, incidenza spropositata delle accise, appesantimento della bolletta energetica con oneri impropri, estensione della tassazione occulta rappresentata esemplarmente da multe per infrazioni varie), privatizzando di fatto a beneficio della media borghesia l’uso delle città pubbliche amministrate (ticket d’accesso ai centri storici, parcheggi costosi, sanzioni ad incremento esponenziale nel tempo per mancato pagamento delle gabelle, ecc.); facendo queste e consimili cose, il Partito Democratico è diventato il principale agente politico italiano di disuguaglianza sociale. Taluni killer dell’articolo 1, conclusa l’operazione di riforma costituzionale trattata in precedenza, hanno assunto addirittura la denominazione della vittima, secondo una precisa inclinazione trattata dall’antropologia criminale. 

Sempre in materia di manomissioni della Costituzione, il successivo tentativo (proposta di riforma costituzionale Renzi-Boschi approvata dal Parlamento il 12 aprile  2016), fortunatamente non andata in porto per il pronunciamento degli elettori nel referendum del 5 dicembre 2016, non è stato contrastato dalla nomenclatura del PD, Bersani incluso. Il popolo ha sopperito, essendogliene stata data l’opportunità, alla negligenza e all’opportunismo della politica. Per quanto riguarda la recente riforma del numero dei parlamentari, cioè la proposta diventata legge il 21 ottobre 2020 (dopo le approvazioni parlamentari di rito e referendum confermativo), essa riflette l’antiparlamentarismo genetico del Movimento 5 Stelle, sottende un diciannovismo anti istituzionale d’ascendenza reazionaria (piuttosto che rivoluzionaria) e s’accompagna all’idea auto contraddittoria della democrazia diretta da qualcuno. La sinistra ministerialista ha nel complesso assecondato, per opportunismo e conformismo demagogico, questa deriva, nonostante le fondate riserve sulle sue implicazioni in termini di rappresentanza democratica e di funzionalità del sistema parlamentare.

Se aggiungiamo alla lista delle manomissioni la malfatta riforma delle autonomie regionali in chiave federalista (revisione titolo V del 2001), possiamo dire su base storica che il maggiore pericolo per la Costituzione scaturita dalla Resistenza è la sinistra ministerialista (PDS-DS-PD, con cespugli e diramazioni o associazioni). Ai fini della difesa, della valorizzazione e dell’attuazione della Carta, una nuova sconfitta elettorale di questa pseudo sinistra non è quindi un problema. Anzi.L’occupazione dello Stato e l’amministrazione del potere come fine: ecco il principio inscritto nel codice genetico del Partito Democratico, quello veramente identificativo perché concretamente emergente da decisioni e azioni.  La dimensione ideale e culturale, nonché l’occasionale richiamo di valori ed esperienze storiche sono puramente strumentali al perseguimento della finalità primaria. Sotto quest’aspetto specifico, la presunta continuità con la tradizione comunista italiana è solo un clamoroso equivoco. Questa possedeva, nel bene o nel male, una solida base politico-culturale i cui influssi erano riscontrabili nell’azione politica del Partito e nella vita stessa della comunità di iscritti e simpatizzanti; il Partito Democratico, invece, può evocare i riferimenti più svariati, in funzione di situazioni e opportunità mutevoli, senza che nessuno di questi sia realmente identificativo: l’unico ascendente sempre riconoscibile nella sua azione è il perseguimento della finalità primaria.

Lo scrivente coltiva e afferma da tempo, vox clamantis in deserto, un disegno utopico di rigenerazione della sinistra italiana. Auspica la rinascita di una sinistra articolata in due componenti distinte e dialoganti, entrambe capaci di confrontarsi col mondo contemporaneo: una riformista, prevalentemente e seriamente focalizzata sul cambiamento migliorativo della società; una radicale, prevalentemente e seriamente focalizzata sul cambiamento del sistema. Si tratta di un disegno irrealizzabile e insensato, fin quando non sarà politicamente cancellato l’intero gruppo dirigente della sinistra ministerialista: Letta, Bersani, D’Alema, Renzi, Speranza e compagnia cantante. La disarticolazione organizzativa della pseudo sinistra e la dispersione-cancellazione politica di questo gruppo che detesta la progettazione basata sull’intelligenza critica ed eccelle nella gestione degli apparati con finalità di mantenimento del potere, sono precondizioni necessarie della ripresa politica di una prospettiva veramente riformatrice e di una dialettica politica effettivamente democratica.La Costituzione nata dalla Resistenza, nonostante i suoi limiti originari e le  oltraggiose manomissioni subite, è ancora una valida base di riferimento. Contro guastatori e nemici.

Carlo De Filippis

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