La Francia e l’Italia, il sindacato e la politica.

In un’intervista di ieri all’Huffington Post, Maurizio Landini risponde ad una delle domande che gli eventi degli ultimi mesi hanno squadernato sotto i nostri occhi: perché in Francia sì e qui no? Perché contro la Loi Travail un movimento che dura ormai da oltre tre mesi sta andando avanti tra scioperi di settore e generali, blocchi e occupazioni, con un livello di mobilitazione incomparabile con quello che c’è stato nel nostro paese?

Landini fa giustamente riferimento alla diversa storia francese, al valore maggiore che ha la legge rispetto al contratto e al carattere complessivo dell’attacco che viene portato in Francia. In Italia in sostanza il processo di aggressione ai diritti del lavoro è andato avanti con diversi provvedimenti “spalmati” nel tempo, in Francia in un colpo solo si attacca il contratto collettivo nazionale, la legge sulle 35 ore, la normativa sui licenziamenti.

Si può aggiungere che la Francia non ha sin qui conosciuto i livelli di frammentazione del mondo del lavoro che connotano la situazione italiana: le leggi della precarietà che dal pacchetto Treu alla legge 30 fino al Jobs Act hanno portato la moltiplicazione delle tipologie contrattuali ad un livello parossistico, indebolendo enormemente la possibilità di costruire un fronte comune del mondo del lavoro.

L’analisi potrebbe andare avanti, ma quello che qui interessa è la riflessione su quello che è accaduto a cavallo della fine di Berlusconi e dell’insediamento del governo Monti.

Dice Landini: “penso che l’errore più grande lo abbiamo fatto quando è caduto Berlusconi. Allora abbiamo accettato che un governo come quello di Monti desse applicazione alla lettera della Bce compiendo il primo attacco all’articolo 18 e alle pensioni. Abbiamo accettato senza batter ciglio l’introduzione del pareggio di bilancio in costituzione e abbiamo accettato che, caduto Berlusconi, si instaurasse un governo che ha dato applicazione all’austerity. Abbiamo fatto solo tre ore di sciopero e basta. Quello che è arrivato dopo è una conseguenza: Renzi ha agito su un terreno già arato… Ora gli errori di cinque anni fa hanno danneggiato la credibilità dei sindacati. Ancora oggi ci imputano di non aver fatto la battaglia sulle pensioni. Quegli errori hanno determinato conseguenze anche sull’attuale quadro politico. Con Renzi siamo arrivati allo sciopero generale, ma il governo ha messo il voto di fiducia ed è andato avanti come se nulla fosse successo. E anche sulla scuola il governo è andato avanti uguale. Ma io penso che in Italia la partita non sia ancora chiusa.”

Crediamo che Landini abbia ragione e che quello che è accaduto in quel passaggio abbia determinato molte delle vicende successive di questi anni, sul terreno sindacale e politico.

nomonti_12maggioLa controriforma delle pensioni fu un passaggio decisivo, uno dei provvedimenti più violenti per gli effetti sulla vita materiale delle persone della storia di tutta la repubblica, approvato quasi senza opposizione. Dopo le pensioni a dicembre 2011, fu la volta della controriforma all’articolo 18 e della riduzione degli ammortizzatori sociali definitivamente approvati nel luglio del 2012, 7 mesi dopo la controriforma delle pensioni. Nel mezzo, ad aprile c’era stata l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, mentre a fine luglio l’Italia ratificò il Fiscal Compact.

8 mesi che hanno cambiato il paese, la condizione materiale, i rapporti di forza nella società: mentre si rendeva infinitamente più dura la vita delle persone e più ricattabile la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, mentre si trasformavano in legge i dettami folli dell’austerità e del neoliberismo, il livello del conflitto sociale nel nostro paese era tra i più bassi.

Quel passaggio ha avuto conseguenze da più punti di vista. Ha eroso significativamente la credibilità delle organizzazioni sindacali determinando la crisi nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori – con l’eccezione forse proprio della Fiom che ha dovuto e saputo fronteggiare gli accordi separati, Marchionne, la cacciata dalle fabbriche.. Ha inciso fortemente nella formazione del senso comune contribuendo non poco all’affermazione di una lettura semplificata e distorta delle responsabilità, dove spariva il segno di classe di quell’attacco, le politiche neoliberiste e l’elitès economiche e finanziarie che di quelle politiche erano gli artefici e restava solo la “casta” e i “ladri” (che ci sono tutti, sia chiaro) contro cui indirizzare la propria incazzatura.

Sia chiaro che non scriviamo per polemica e condividiamo anzi la valutazione di Landini per cui, se Renzi a partire da quel “terreno arato” è poi andato avanti con la volontà esplicita di cancellare il sindacato, quello che sta accadendo in questi mesi, con la novità dei referendum sul lavoro, con lo schieramento sociale ampio che si è costruito sulla scuola tra i diversi sindacati, come con la ripresa delle mobilitazioni sulle pensioni,  segnano il tentativo di riaprire la partita.

Ma quegli anni sono stati davvero anni costituenti.

nomontiday_prc Aggiungiamo solo un’ultima cosa. Con tutti i nostri limiti ed errori, noi quell’analisi l’avevamo fatto ed avevamo pure provato a mettere in campo qualche risposta.

Dicemmo fin dall’inizio che il governo Monti sarebbe stato un governo “costituente” e che la festa per l’addio di Berlusconi non poteva diventare in nessun modo la festa per l’avvento di Monti.

Raccogliemmo 80.000 firme sulla petizione contro la liquidazione dell’articolo 18, volantinammo davanti e dentro il Parlamento contro l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e contro la ratifica del Fiscal Compact. Scendemmo in piazza promuovendo una grande manifestazione a Roma contro il governo Monti il 12 giugno 2012 nel silenzio dei media e tornammo in piazza il 27 ottobre dello stesso anno per il No Monti Day.

Promuovemmo un referendum sulle pensioni alla prima occasione utile nell’ottobre del 2012, accanto a quelli sugli articoli 8 e 18 della Fornero, con una raccolta di firme che fu poi vanificata dallo scioglimento delle camere da parte di Napolitano.

E dicemmo fin da allora, mentre in molti a sinistra continuavano a cercare l’accordo con il PD, mentre la Federazione della Sinistra si rompeva sull’accordo con il PD, che quella storia era finita.

Sappiamo bene che le comuniste e i comunisti non possono accontentarsi in nessun modo del  “noi l’avevamo detto”, che il problema è sempre quello di come si riescono a determinare altri rapporti di forza e che questo problema è intatto di fronte a noi, ma ogni tanto è pure giusto ricordare che qualche ragione l’abbiamo avuta.

 

Roberta Fantozzi

segreteria nazionale PRC-SE, responsabile lavoro ed economia

15/6/2016 www.rifondazione.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *