La frastagliata nebulosa di «expat», tra emergenza abitativa e ricerca di lavoro

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Indagini «On the road again», un volume di Marco Grispigni e Pietro Lunetto per Futura edizioni. I nuovi flussi disegnano una diaspora «di rimbalzo», prima verso Nord per studiare o lavorare, poi all’estero per smarcarsi dalla crisi economica senza fine e dai frutti avvelenati dell’austerità. Per la prima volta chi emigra già conosce il paese d’arrivo perché c’era già stato in vacanza o a studiare, la cosiddetta generazione Erasmus «Vi sarà ancora lavoro e di che tipo? Sarà possibile una emigrazione che prevede numerosi ritorni a casa? Cosa succederà di una migrazione che prevede lavori precari in più Paesi in successione?». Una buona ricerca non finisce mai se non ponendo ulteriori domande. È il caso di questo volume curato da Pietro Lunetto e Marco Grispigni sulla nuova emigrazione italiana: On the road again (Futura edizioni, pp. 120, euro 13), prefazione del sociologo Enrico Pugliese e postfazione dello storico Matteo Sanfilippo che conferma l’esigenza di approfondire linee di tendenza per la compilazione di una cartografia mobile. Gli italiani iscritti all’Aire erano 3 milioni nel 2006 e quasi 5 e mezzo nel 2020 ma in molti non si iscrivono all’anagrafe degli italiani all’estero, o ai registri locali, o perché lo spazio lavorativo dell’Ue è unico, o perché sono clandestini.

LA PANDEMIA sta complicando ulteriormente un quadro che mostrava, tra gli scarti radicali rispetto al passato, proprio l’irruzione sulla scena del trasporto low cost. Al tempo di Flixbus e Ryanair si torna (si tornava?) spesso a casa e i legami con l’Italia si mantengono anche grazie alle molteplici possibilità del web.
749 questionari anonimi – diffusi on line tramite associazioni e gruppi social di emigrati italiani in Belgio, Lussemburgo, Barcellona, Francoforte sul Meno, Svizzera Occidentale e Ile de France – restituiscono in presa diretta un quadro della terza ondata di emigrazione, dopo quelle del primo Novecento e del secondo dopoguerra, troppo sbrigativamente compressa nella narrazione dei «cervelli in fuga».

La percentuale di laureati expat, in realtà, è simile alla percentuale che resta in Italia. In appendice, un focus di quaranta interviste prova a misurare i primi effetti della pandemia sui progetti migratori a cui, stando all’Istat, la fine del lockdown e lo sblocco dei licenziamenti hanno dato ulteriore impulso. I dati più aggiornati sono quelli Istat relativi al 2020, anno in cui gli espatri degli italiani sono calati solo dello 0,9%. Sono 980 mila gli italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni. Gli emigrati di nuova generazione sanno di essere forza lavoro mobile, assuefatta alla precarietà, cosciente che la ricerca di un salario continuativo determina la mobilità tra differenti paesi. L’Europa della libera circolazione della manodopera è un continente dei lavoretti, degli immigrati destinati alla fascia secondaria e instabile del mercato del lavoro.
DEMIZENS, o semi-citizens, mezzi cittadini, che si attivano sempre più in rete invece che con l’associazionismo tradizionale anche se i social non forniscono né rappresentanza né tutele. La rappresentanza dell’emigrazione, di contro, è ancora tarata su parametri antecedenti a facebook e ai voli low cost. Per questo le sue componenti più lungimiranti si stanno attivando con ricerche come questa.

I nuovi flussi disegnano una diaspora «di rimbalzo», prima verso Nord per studiare o lavorare, poi all’estero per smarcarsi dalla crisi economica senza fine e dai frutti avvelenati dell’austerità. Per la prima volta chi emigra già conosce il paese d’arrivo perché c’era già stato in vacanza o a studiare, la cosiddetta generazione Erasmus. Si va via dal Sud, certo, ma anche da Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna dove il declino dei distretti industriali ha determinato la disoccupazione degli adulti e la disoccupazione preventiva dei giovani che non potranno sostituire i genitori in quel posto da operaio.
Il flusso in uscita è una nebulosa che comprende sia giovani laureati sia una componente cosmopolita, alcuni sono free movers in cerca di stili di vita alternativi, o anche pensionati in cerca di luoghi nei quali la vita e l’assistenza medica siano più a buon mercato. Ma sono molti di più quelli che vanno a faticare punto e basta. E se gli intervistati spesso si definiscono expat, espatriati, è quasi sempre per pudore di fronte al flusso ancora più disperato che, dal Mediterraneo, cerca di entrare nella Fortezza Europa.
Grispigni e Lunetto hanno dato la parola agli emigranti per illuminare zone altrimenti in ombra: condizione abitativa, costo della vita, differenze sistemiche, socialità, sistemi scolastici classisti e discriminatori, burocrazia e un razzismo che cresce in parallelo con le limitazioni dell’accoglienza e i rigurgiti sovranisti. I poveri sono stranieri ovunque.

Checchino Antonini

4/2/2022 http://www.rifondazione.it

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