La guerra alla cannabis colpisce anche chi non fuma

Un pomeriggio di marzo di cinque anni fa Marco (nome di fantasia) entra da un antiquario sotto casa per incontrare un operaio che dovrebbe sistemargli dei mobili d’epoca. Esce diverse ore dopo circondato da quattro carabinieri. Gli agenti, che tenevano d’occhio il negozio al centro di Roma, fanno un blitz mentre lui, l’antiquario, l’operaio e un’altra persona sono all’interno. Dagli scaffali vengono fuori dei barattoli con alcuni grammi di marijuana. Per tutti gli avventori scatta la perquisizione domiciliare.

«Avevo quattro piante di erba», racconta l’uomo, 63 anni e un passato in Egitto al servizio del governo italiano. Gli agenti trovano delle piante in una seconda casa e nelle altre modiche quantità di sostanze, per un totale di circa 130 grammi. Per tutti scattano gli arresti domiciliari e il giorno seguente la direttissima. La sentenza di primo grado li condanna a 2 anni e 9 mesi per spaccio in concorso. «Ho coltivato per non alimentare il mercato criminale e ora dicono che sono uno spacciatore. Questi processi ti rovinano la vita, ti fanno diventare impresentabile: nel mondo del lavoro, della politica, davanti ai figli», dice Marco.

A ROBERTO i carabinieri entrano in casa il 14 marzo scorso, sempre a Roma su via Prenestina. «Qualcuno li aveva avvertiti della presenza di uno strano odore che si sentiva dalla strada», racconta il ragazzo, 36 anni, cuoco e antropologo. Nella sua stanza scoprono 28 grammi di marijuana e hashish sul tavolo e quattro piante appese a seccare in un armadio. Dopo una notte in cella finisce dritto in tribunale.

«I carabinieri erano mortificati. Al giudice hanno detto che non avevano notato alcun via vai di gente dalla mia abitazione, che i soldi trovati in casa non provenivano da attività di spaccio e che ero stato molto collaborativo», ricorda. Nelle piante, però, risulta un contenuto di Thc molto alto e per una strana equazione sono equiparate a 2.200 dosi. Roberto rifiuta il patteggiamento. «Rischio tra 3 e 8 anni di carcere, ma voglio dimostrare di essere innocente. Ho coltivato per uso personale – afferma – Mi chiedo soltanto quanto avrà speso lo Stato tra pedinamenti, arresto e processo alla fine di tutta questa storia. Per quattro piante».

FILIPPO BLENGINO la sua piantina l’ha fatta crescere in diretta Facebook. 21 anni, è il segretario dei Radicali italiani di Cuneo. Il primo settembre si è ripreso in un video vicino ai rami ormai fioriti per annunciare un corso di autocoltivazione di cannabis, organizzato in piazza Foro Boario il 18 del mese. «È venuta la digos e mi ha portato in questura. Sono stato denunciato per istigazione a delinquere e all’uso di droghe. Il mio è stato un gesto di disobbedienza civile contro una legge assurda», dichiara.

Quelle di Marco, Roberto e Filippo sono le storie delle migliaia di persone che subiscono direttamente gli effetti della guerra alla droga e più nello specifico della guerra alla cannabis. Nel 2020 il 74% dei 32.879 segnalati per detenzione di sostanze psicotrope e il 43% dei 31.355 denunciati per reati droga-correlati avevano a che fare con hashish e marijuana. Dal 1990 sono state fatte 1.312.180 segnalazioni per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale, di cui quasi un milione (il 73,28%) per derivati della cannabis.

SONO I NUMERI che si leggono nell’ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia e nel dodicesimo Libro bianco sulle droghe. Cifre che restituiscono la dimensione sociale della criminalizzazione della cannabis e mostrano come i problemi causati dal proibizionismo non riguardino solo i consumatori.

Oltre al tempo e alle risorse impiegate da forze dell’ordine e tribunali per vicende che nella maggior parte dei casi ruotano intorno a poche piante o modiche quantità di prodotto, questi studi sollevano, da prospettive diverse, almeno altri due temi: i profitti realizzati dalla criminalità organizzata e il sovraffollamento delle carceri. Dei 16,2 miliardi in cui viene stimato il business degli stupefacenti in Italia, il 39% è attribuibile alla cannabis e ai suoi derivati. Soldi che la legalizzazione potrebbe indirizzare nelle casse pubbliche, magari a sostegno di sanità e politiche sociali.

AL 31 DICEMBRE 2020 dei 53.364 detenuti presenti nelle carceri italiane 12.143 lo erano in virtù di un solo articolo di una singola legge dello Stato: il 73 del Testo unico sulle droghe (sostanzialmente per detenzione ai fini di spaccio). Altri 5.616 erano dietro le sbarre per il combinato degli articoli 73 e 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti), mentre 938 solo per il 74. In pratica il 35% dei detenuti sono dentro per reati di droga. Con una spesa per la carcerazione che si aggira intorno al miliardo di euro l’anno.

«Il sovraffollamento carcerario ha un’origine precisa: non è un effetto collaterale, ma il risultato della criminalizzazione delle persone e dei consumatori», ha dichiarato Franco Corleone, del comitato scientifico della Società della ragione, nella conferenza stampa alla Camera con cui il 24 giugno scorso è stato presentato il Libro bianco sulle droghe.

LA PUBBLICAZIONE è intitolata War on Drugs. 60 anni di epic fail. La Convenzione unica sugli stupefacenti, infatti, risale al 1961. L’accordo che ha imposto su scala globale il regime proibizionista, poi rinforzato a livello internazionale e dai singoli Stati, si proponeva l’obiettivo di eliminare le produzioni illegali di oppio entro il 1984 e quelle di cannabis e coca entro il 1989.

Un «fallimento epico» visto che nulla di tutto ciò è mai avvenuto, mentre hanno acquisito sempre più potere politico ed economico organizzazioni mafiose e criminali e sono cresciuti perfino dei veri e propri narcostati. Per questo gli estensori del Libro bianco sostengono l’urgenza di «decriminalizzare il consumo di tutte le sostanze, legalizzare la canapa e valorizzare le buone prassi della riduzione del danno».

A LIVELLO GLOBALE il vento sembra aver cambiato direzione: sempre più paesi stanno depenalizzando l’utilizzo di sostanze psicoattive, mentre Uruguay e Canada hanno legalizzato la marijuana. Altrettanto è avvenuto in nove stati Usa, cioè nell’epicentro mondiale delle politiche proibizioniste.

Il referendum per la depenalizzazione della cannabis, che ha superato in pochi giorni le 550mila firme e presto sarà sottoposto al vaglio di Cassazione e Corte costituzionale, può essere l’occasione per voltare pagina anche in Italia.

Giansandro Merli

22/9/2021 https://ilmanifesto.it

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