La legge “Biagi”: la demonizzzione della Cgil e le bugie di Pietro Ichino

Come da consolidata prassi, anche quest’anno Pietro Ichino ha inteso adeguatamente onorare la memoria di Marco Biagi.
Lo ha fatto, in occasione del ventennale della scomparsa del giuslavorista bolognese assassinato dalle Br il 18 marzo del 2002, anche attraverso un breve articolo pubblicato sul suo blog:”La campagna di fake news sulla legge Biagi”.
Al riguardo – ferma restando la dura condanna di un atto terroristico assolutamente ingiustificabile, cui non può essere riconosciuta alcuna attenuante né motivazione di carattere politico – ritengo necessario rilevare che le modalità attraverso le quali Ichino ha inteso commemorare l’amico e collega confermano, tra l’altro, l’ incomprensibile dose di acredine che, sistematicamente (1), l’ex Senatore Pd dimostra nei confronti della Cgil.

Infatti, il “J’accuse” nei confronti della Cgil, subito additata quale acerrima nemica della legge-delega 14 febbraio 2003, nr. 30 – che Pietro Ichino, con reiterata ostinazione, continua a richiamare quale legge Biagi (2) – costituisce, non a caso, l’incipit dell’articolo pubblicato il 17 c.m.

In ossequio a tale versione, l’autore tenta (subito) di accreditare la tesi secondo la quale gli attacchi e le critiche alla legge rappresentarono la reazione della Cgil al mancato coinvolgimento nella definizione della normativa di merito.
Così come avvenne”, scrive Ichino, con il c.d. ” Accordo (3) di San Valentino” e allora PCI e Cgil avevano tentato di sventare l’oltraggio promuovendo il referendum abrogativo”!
Ma ciò, in realtà, non è vero. E, poiché non è credibile che Pietro Ichino non sappia di cosa parli, egli mente (spudoratamente); ben sapendo di mentire!

Tutti sanno, infatti, che il referendum abrogativo della legge 12 giugno 1984, nr. 219 (di trasformazione del decreto legge che aveva tagliato 3 punti di contingenza) fu promosso dal Pci e da Democrazia Proletaria (che avevano iniziato la raccolta delle firme sin dal marzo 1984).

La Cgil, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dal giuslavorista milanese, non aveva promosso il referendum il cui esito, l’anno successivo. rappresentò una sonora sconfitta per il Pci e Dp.
Tra l’altro, a plateale conferma della non veridicità di ciò che sostiene Ichino, è sufficiente ricordare due importanti particolari:
a) la componente socialista della Cgil era favorevole al decreto e, quindi, contraria alla consultazione referendaria;
b) la componente comunista della stessa Cgil, pur contraria alla decisione adottata dall’inviso governo Craxi, sul referendum promosso dal Pci aveva assunto una posizione “attendista”.

Qualche anno dopo, così si sarebbe espresso (4) Luciano Lama, il Segretario generale Cgil dell’epoca: “ Io ricordo le discussioni appassionanti che ci furono su questa questione, all’interno della Cgil e nel mio Partito, e quelle più dolorose furono per me senz’altro quelle all’interno del Partito……. Ma perderemo – rispondevo io – perché la gente ragiona sulle cose, e capisce che se rimane questo meccanismo che appiattisce i salari e gli stipendi, esso si traduce poi in conseguenze negative sul terreno economico generale. Ma non ci fu niente da fare e il mio Partito decise che bisognava fare il referendum – allora le cose andavano così – e io dissi: “Va bene, facciamolo; lo perderemo ma facciamolo”.
Scrivere, quindi, che la Cgil fu promotrice del referendum abrogativo del decreto di San Valentino rappresenta un atto di assoluta malafede e manifesta disonestà intellettuale!
E non solo questo.

Continuando nella sua campagna di “demonizzazione” di chiunque abbia ritenuto di criticare i contenuti del Decreto legislativo 10 settembre 2003, nr. 276 (che, in sostanza, aveva trasformato in norme di legge i principi e gli orientamenti previsti dalla legge-delega 30/2003), il giuslavorista milanese continua a sostenere – anche se ampiamente smentito dalla realtà dei fatti – che la legge (impropriamente) Biagi (5) non abbia prodotto ulteriore precarietà nel mercato del lavoro italiano, anzi, si sarebbe limitata a “perfezionare” la disciplina relativa alla somministrazione di lavoro e ad “apportare marginali ritocchi” al part-time.

Personalmente, ho già avuto occasione di confrontarmi (6) con lo stesso Prof. Ichino dimostrando, invece, che il decreto legislativo 276/2003 era pesantemente intervenuto su numerose tipologie contrattuali al fine di aumentarne il grado di flessibilità e di renderne più “agile” il ricorso; producendo, in definitiva, ulteriore precarietà.
Superfluo, quindi, approfittare (anche) di quest’occasione per confutare, punto per punto, i contenuti del decreto 276/2003 e dimostrare – attraverso l’illustrazione delle modifiche (peggiorative) apportate alle previgenti discipline – che l’ex Senatore Pd afferma cose non corrispondenti alla verità.

Piuttosto, reputo opportuno rilevare la gravità delle affermazioni di Pietro Ichino quando insiste nel lasciare quasi intendere un comportamento di carattere criminale, da parte della Cgil (7), perché impegnata in un’opera di “disinformazione di massa” – rispetto a una legge – capace, addirittura, di rappresentare il motivo scatenante della furia brigatista!
In questo senso, non meno censurabili e, direi, perfino “intimidatorie”, le affermazioni di Umberto Sacconi – all’epoca sottosegretario al Ministero del lavoro – autore di un vero e proprio anatema nei confronti di chiunque avesse osato esprimere l’intenzione di una pur minima critica nei confronti della suddetta legge.
Rappresentava quindi motivo di grande soddisfazione personale scoprire – rispetto alle critiche avanzate nei confronti della 30/2003 – di essere in numerosa e, soprattutto, ben qualificata compagnia; per nulla intimorita da eventuali “scomuniche”.
Da Massimo Roccella (già professore di Diritto del lavoro a Torino), convinto sostenitore dell’idea secondo la quale il decreto 276/2003 avesse apportato un’ulteriore dose di precarietà, a Mauro Gallegati (professore di Macroeconomia presso l’Università Politecnica delle Marche), secondo il quale (8);” Se qualcuno ha voluto chiamare la legge 30/2003, è lui che sta insultando la memoria di Marco Biagi, non chi si batte contro la precarietà”.

Altrettanto drastico (e impietoso) il giudizio di un altro illustre e notissimo personaggio che parlò di “lavoro in frantumi”.
Alludo al mai sufficientemente compianto Luciano Gallino (già prestigioso docente di Sociologia del lavoro presso l’Università di Torino, Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia e socio dell’Accademia Europea) che, rispetto alla legge 30/2003 – in assoluta antitesi rispetto a Pietro Ichino – così si esprimeva: a) “Una legge (9) che dà una forma giuridica istituzionale a diversi tipi di lavoro precario, che altrimenti si potrebbe definire poco dignitoso o povero di contenuti ”; b) “ A me, sinceramente, sembra senz’alcun dubbio una legge (10) neoliberista, moltiplicare i contratti atipici significa infatti aumentare il costo umano della flessibilità”; c) “Ebbene si, queste nuove norme intorbidano (11) l’intero mercato del lavoro”!

Concludo, e per onorare la memoria dell’illustre studioso e maestro, riporto ancora che lo stesso Luciano Gallino non condivideva che si parlasse della legge 30/2003 associandola al nome di Marco Biagi; scriveva infatti: “Dare alla legge il nome di uno studioso assassinato dalle Br è stato un tentativo abbastanza inverecondo di metterla al riparo da qualsiasi critica”!

NOTE

1) E’ davvero inspiegabile l’astioso atteggiamento che l’ex Senatore Pd mantiene nei confronti della Cgil. Eppure, agli inizi della sua carriera professionale, ne fu collaboratore presso l’ufficio legale della Fiom milanese. Sarebbe interessante conoscere la causa scatenante di tanto risentimento.
2) Personalmente, ho sempre ritenuto che fare riferimento a tale legge affiancandole il nome di Marco Biagi avesse un carattere strumentale.
3) Il provvedimento con cui il Governo Craxi, nel febbraio 1984, intervenne sulla dinamica della scala mobile: l’automatismo che collegava la retribuzione all’incremento del costo della vita e che, oggettivamente, era una componente essenziale dell’inflazione, il cui tasso allora viaggiava a due cifre. L’intervento consisteva in un taglio di quattro punti (che poi si ridussero a tre in sede di conversione del decreto) di quelli previsti nell’anno.
4) Fonte: “Ecco cosa accadde con il decreto di San Valentino”; articolo di Ilaria Romeo pubblicato, in data 14 febbraio 2020, su “Collettiva”, giornale web della Cgil nazionale.
5) La legge-delega 30/2003 fu promulgata ben 11 mesi dopo l’assassinio di Marco Biagi. Il D.Lgs. 276/2003, che ne normava i principi e gli indirizzi, ben 18 mesi dopo.
6) Risale all’ottobre 2010 un serrato confronto, ospitato dalla nota rivista “Micromega”, tra lo scrivente e il Prof. Pietro Ichino.
7) Sergio Cofferati, l’allora Segretario generale della Cgil nazionale, che aveva avuto l’ardire di definire “paludosa” la sostanza delle norme che Ichino insiste nel chiamare “legge Biagi”, fu quasi additato quale cinico “mandante” del brutale assassinio del Prof. Marco Biagi.
8) Fonte: dal blog di Beppe Grillo che ospitò, in data 27 settembre 2007, il Prof. Gallegati.
9) Fonte: intervista rilasciata a Oreste Pivetta (de “L’Unità”); in data 1 agosto 2003.
10) Fonte: intervista rilasciata a Davide Orecchio (de “Rassegna.it”); in data 29 aprile 2004.
11) Fonte: colloquio con Paolo Forcellini (sito web della Flc/Cgil); in data 28 agosto 2004.

di Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

24/3/2022

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