La Legge sulla concorrenza. Servizi pubblici dati in gestione agli usurai

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Quando tutto sarà privato, saremo privati di tutto

Con l’approvazione da parte del governo Draghi dell’art. 6 del Ddl Concorrenza, si sono sottratti al Popolo anche gli ultimi beni di proprietà collettiva demaniale per farli passare nelle mani di prenditori e speculatori della finanza a cui sono stati serviti su di un piatto d’argento, con la complicità di tutti, o quasi, i partiti presenti in Parlamento.

Con l’art. 6, divenuto l’articolo 8 della delibera di approvazione del Senato, il governo ha così spogliato l’Italia delle sue ultime fonti di produzione di “lavoro” e di “ricchezza nazionale”. Tali disposizioni, infatti, impongono la collocazione sul mercato interno europeo, inscindibilmente legato al mercato generale, di beni e gestione di servizi pubblici che fanno parte del demanio costituzionale, che ha come fine il perseguimento di interessi generali e pertanto non possono essere ceduti o gestiti da privati e S.p.A. private, cioè che devono perseguire gli interessi di privati.

Esemplificativo di questa operazione, che alcuni definiscono Agenda Draghi, è Il cosiddetto ‘Patto per Napoli’, le cui clausole sono imposte dallo Stato e che il Comune ha solo firmato per accettazione. Un atto, che senza alcuna discussione pubblica, vincolerà le generazioni future per i prossimi venti anni e che, nella sostanza, prevede un incremento delle tasse comunali, l’alienazione del patrimonio immobiliare e dei servizi pubblici locali, attraverso l’attuazione di un piano da presentare entro il primo settembre 2022 e che prevede l’ulteriore aumento della tassazione dei cittadini, già tra le più alte in Italia, e tiene aperta la porta alla svendita del patrimonio immobiliare e alle privatizzazioni dei servizi pubblici.

Di contro, a fronte dei tanti proclami fatti in campagna elettorale, arriveranno soltanto 1 miliardo e 231 milioni di euro spalmati nei prossimi 20 anni, cifra insufficiente se messa a confronto con gli enormi tagli fatti in questi anni al Comune e che comporteranno l’aumento anche di tasse come l’Irpef.
Si procede quindi con una ricetta liberista, che comporta il rischio, per non dire la certezza, che a pagare la privatizzazione dei servizi possano essere le fasce più deboli della popolazione, già gravate dall’aumento indiscriminato dei prezzi, delle bollette e dall’inflazione.

Misure come questa cedono alla speculazione dei privati ciò che resta del pubblico, come l’acqua, un tentativo questo mal celato di eliminare definitivamente l’anomalia meridionale della gestione pubblica dell’acqua a cominciare appunto da Napoli, che grazie all’azione incisiva dell’ex sindaco Luigi de Magistris ha dato forza all’Azienda speciale Abc (Acqua bene comune), facendo così di Napoli l’unica metropoli italiana a rispettare ed applicare il risultato del referendum popolare del 2011, funzionando anche come stimolo ed esempio per tanti piccoli Comuni che ancora oggi gestiscono “in house” le loro reti idriche nell’interesse dei loro cittadini.
Non a caso la mappa del tipo di gestione di questo preziosissimo bene comune si riflette in una ben precisa distribuzione territoriale. Infatti, per ora, la cessione delle fonti pubbliche alle multiutility nazionali e internazionali non è riuscita a attecchire con forza oltre il Sud Pontino.

Non bisogna poi dimenticare a supporto di questa spinta verso le privatizzazioni il Pnrr, che è in gran parte un prestito che bisognerà restituire alla Ue nei prossimi decenni e che vincola il nostro Paese ad ambiti di investimento decisi all’estero e soprattutto alle solite “riforme” (privatizzazioni) imposte da Bruxelles. E così il governo Draghi prosegue lo smantellamento dei beni comuni e, tramite il Pnrr, mira a collocare sul mercato, a favore delle multinazionali l’acqua pubblica e i servizi pubblici essenziali.
Inoltre nessuno delle decine di obiettivi del Pnrr prevede la riduzione degli squilibri territoriali, malgrado le raccomandazioni europee.

Procede così il lavoro di Draghi per chiudere le “zombie firms” (piccole e medie imprese), come programmato dal documento ‘Reviging and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid’, a doppia firma di Mario Draghi e di Raghuram Rajan, pubblicato a dicembre 2020 dal Gruppo dei 30. Cioè la codifica della macelleria sociali di stampo greco. Un documento che si trova in rete e che tutti possono (e potevano) leggere, anche i partiti che hanno sostenuto Draghi in Parlamento. Se c’è una cosa che non si può imputare a Draghi è la mancanza di chiarezza, tutto è spiegato nero su bianco e pubblicamente.

I Paesi “frugali” del Nord Europa, i veri padroni della Ue, sono così pronti a spolpare l’Italia, prima della sua balcanizzazione grazie all’Autonomia differenziata.

Dopo le privatizzazioni delle aziende di Stato iniziate a fine anni ‘90, ora le famiglie italiane rappresentano con il loro risparmio, investito soprattutto nella casa, la principale ricchezza d’Italia. Questa distruzione di ricchezza a favore della finanza internazionale è forse la vera missione di Draghi, che sta, come da programma, demolendo le piccole attività, le zombie firms appunto, anche queste a conduzione famigliare.

In questa direzione predatoria non a caso va anche quanto scritto nel Pnrr, volto a velocizzare le procedure di pignoramento immobiliare a danno di famiglie alle prese con nuove e vecchie povertà, acuite nell’ultimo anno dal Covid. Famiglie o singoli a cui casomai è venuto a mancare del tutto il lavoro o che presto verrà a mancare, visto che non c’è più nessun blocco dei licenziamenti. Famiglie che già oggi fanno fatica a pagare le bollette o non riescono a pagare il mutuo e nemmeno a curarsi viste le privatizzazioni sempre più pervasive anche in campo sanitario.

Ciliegina sulla torta gli aumenti di luce, gas, benzina, generi alimentari ecc. che i politicanti addebitano alla guerra in Ucraina, ma che vedono in realtà il loro inizio più di un anno fa, generando abnormi extraprofitti utili solo ad ingrassare ulteriormente le grandi imprese energetiche italiane e straniere a danno di cittadini e aziende, stanno accelerando questo travaso di ricchezza.
Eppure nessuno interviene, tantomeno il governo, mentre questa “nuova tassa” colpisce indistintamente e senza nessun criterio di progressività tutti i cittadini. Aumenti che trovano la loro radice nelle scellerate scelte europee degli ultimi anni, a partire dalla liberalizzazione del settore energetico, al passaggio dai contratti a lungo termine al mercato spot e solo più recentemente alle sanzioni verso la Russia, tutte misure acriticamente recepite dai nostri politicanti in nome del “ce lo chiede l’Europa.

Doveroso ricordare che questo governo, di cui fanno parte sia che il centrosinistra che il centrodestra, si guarda bene da interviene sugli extraprofitti generati da questa “colossale truffa”, come dichiarato dal Ministro Cingolani. Extraprofitti che se fossimo in un Paese normale sarebbero da tassare al 90%, con finalità redistributive verso gli utenti, a partire da quelli meno abbienti.

Così il governo, mentre i diritti delle famiglie e i sudati risparmi vanno lentamente in fumo, avanza con le sole parole d’ordine della competitività e delle privatizzazioni, sempre a favore di potentati e multinazionali.
Infine la domanda che dobbiamo farci è: dove si trovano le maggiori sacche di povertà in Italia? Ovviamente al Sud!
Campania e Sicilia sono infatti secondo i dati Eurostat le Regioni più povere non solo d’Italia, ma addirittura d’Europa. Ecco che tutto torna in attesa della prossima fine dell’unità nazionale, spolpare il Sud mandandogli meno fondi possibile e impoverirlo prima dei saluti finali.
Eppure non solo i media a supporto osannano Draghi come salvatore della patria, ma anche i partiti e parlamentari a supporto dopo averlo eletto Presidente del Consiglio continuano anche in campagna elettorale a dichiarare di volerne seguire “l’agenda”.

In questo quadro, come in un gioco di scatole cinesi, si innesta non a caso il programma economico della destra volto tramite la Flat Tax a sottrarre ulteriori risorse alle classi più deboli a livello nazionale, a partire dai cittadini del Mezzogiorno, a favore delle classi più ricche che si trovano principalmente al Nord del Paese.
Infatti l’aliquota proposta dalla Lega del 23% già si applica a a 18,3 milioni di contribuenti italiani con reddito fino a 15.000€. Ovviamente questi non avranno alcun beneficio da una riforma fiscale così come promessa dalla Lega.

I circa 6 milioni di contribuenti con reddito fra 29 e 50mila € avrebbero un beneficio medio di circa 2.500€, mentre i circa 2 milioni di contribuenti con reddito oltre i 50mila €, i più ricchi, otterrebbero un risparmio di ben 13mila €. Quindi solo il 20% dei contribuenti e dell’elettorato, i più ricchi, avrebbero un grande vantaggio da questa riforma.

Come detto questo segmento si trova in larghissima parte ad avere residenza al Nord. Dunque la Flat Tax redistribuisce le risorse a favore dei più ricchi, del Nord, a danno dei più poveri, concentrati al Sud. Infatti è stato calcolato che questa riforma trasferirebbe dal Sud (poveri) al Nord (ricchi) 50 Miliardi di €.

Ovviamente in questa guerra alle classi popolari la simulazione è possibile farla anche all’interno dei territori del Nord, non trattandosi esclusivamente di una lotta imposta dal razzismo di Stato contro il Sud, ma anche di una lotta di classe a livello nazionale da parte delle classi “digerenti” della destra liberale.
Secondo l’Istat, infatti il reddito medio in Italia è pari a 21.570 euro all’anno e la città di Milano ha un reddito medio pro capite di quasi 34mila euro all’anno. Ma, secondo la CGIL e basandosi sui numeri dell’Agenzia delle Entrate, il 27,7% del reddito prodotto è nelle mani del solo 2,4% della popolazione. Alla voce “deboli”, secondo la CIGL, ci sono i lavoratori part time, sia a tempo determinato che indeterminato: operai e impiegati che, avendo chiesto il tempo pieno ma senza risultato, portano a casa poco più di 12 mila euro all’anno. A questi si aggiungono tutti i lavoratori a chiamata: il loro reddito medio annuo si attesta sotto gli 8 mila euro.
A queste fasce si aggiunge quella fetta pari a circa il 40-50% dei 23mila nuclei familiari che percepiscono il Reddito di Cittadinanza a Milano. Secondo il Comune questa parte di percettori sono lavoratori che percepiscono in media 500 euro al mese, quindi 6 mila euro all’anno.

In questa guerra ai poveri non è quindi un caso che Meloni, Renzi, Calenda, Salvini, vogliano abolire il Reddito di Cittadinanza, così come richiedono da tempo quei prenditori, del Nord come del Sud, che han più difficoltà a trovare salariati da sfruttare. Il Reddito di Cittadinanza, per la prima volta in Italia, ha determinato un diritto dei poveri al welfare, senza chiedere un favore ai potenti di turno. Forse è questa anomalia che alcuni politici vogliono cancellare.
L’agenda Draghi (cioè l’agenda Ue) serve esattamente a questo scopo: dividere i tantissimi sommersi dai pochissimi salvati.

E’ l’agenda del partito consociativo della guerra, delle privatizzazioni, della precarizzazione del lavoro e dell’Autonomia differenziata.
Lo schema seguito, visto che l’Italia è un grande boccone, è stato dapprima quello di trasferire e concentrare la ricchezza al Nord (Teoria della Locomotiva), per poi apprestarsi, ora, al passaggio di questa ricchezza dal Nord Italia a chi gestisce la grande finanza internazionale, soprattutto del Nord Europa, e ai quei pochissimi oligarchi italiani che reggono da sempre il gioco ai potentati internazionali. Il tutto ovviamente in barba alla Costituzione. Una vicenda questa che pochi anni fa, su scala più piccola, si è già vista in Grecia, anche lì, guarda caso, gestita in prima persona da Draghi quando era Presidente BCE.

L’Italia è così un Paese sempre più disuguale e povero e sarebbe ora che le classi popolari riuscissero a far blocco esprimendo una propria rappresentanza politica nazionale, per impedire e contrastare, entrando in Parlamento, l’attacco portato dalla destra liberale che ha nell’ultimo trentennio quasi sempre fatto sponda con il cosiddetto centrosinistra del “voto utile”. Un voto che è poi sempre stato utilizzato contro gli interessi delle classi popolari, dimostrandosi così un voto del tutto inutile. Le elezioni però arrivano in leggero anticipo rispetto alla grande crisi economica prevista dagli osservatori per l’autunno. E’forse questo il vero motivo della repentina, inattesa, caduta del Governo Draghi e la decisione di chiudere la Legislatura e di stabilire le Elezioni il 25 settembre 2022, per poter così definire anticipatamente un Parlamento ancora più appiattito sull’asse NATO-UE-USA-DRAGHI e per evitare, con l’acuirsi della crisi economica, una risposta popolare nelle urne contraria allo status quo.

La sinistra non deve avere paura di ricordare che meno tasse, e soprattutto meno tasse per i ricchi (la flat tax appunto), significano una scuola peggiore, un sistema sanitario peggiore, trasporti peggiori, maggiori diseguaglianze territoriali. Bisogna poi interrogarsi se chi dichiara da “sinistra” di voler continuare a seguire l’Agenda Draghi possa ancora continuare a definirsi di “sinistra” o se, come appare da tempo evidente, è semplicemente il più pericoloso e insidioso nemico delle classi popolari.

Basta rileggere il Gramsci dei Quaderni dal carcere per chiarirsi subito le idee: «La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe ben altro significato, per l’effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva a quella che passivamente si adatta alla «fatalità», o rafforzarla se già esiste)».

Anche per porre fine a questo infingimento da parte di quella “sinistra” che da un trentennio ci ammorba con il racconto della Lega “costola della sinistra” e che non a caso vede il Pd pronto a far da sponda alla richiesta di autonomia differenziata presentate dalle regioni leghiste, che si è formata e opera Unione Popolare: sosteniamola!

Natale Cuccurese

Presidente del Partito del Sud
Candidato al Parlamento per Unione Popolare

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