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    Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali — Luglio 21, 2021 8:10 am

    Non usciremo dalla pandemia finché le politiche sanitarie non terranno conto della situazione nei paesi più poveri del mondo. Il Network italiano salute globale ci racconta perché è indispensabile guardare alle connessioni tra genere, salute e povertà

    La pandemia finisce dove finiscono le disuguaglianze

    Pubblicato da franco.cilenti

    La salute globale oltre l’emergenza è il titolo del nuovo rapporto curato dal Network Italiano Salute Globale – che raggruppa, fra le altre, le ong Aidos, Amref Health Africa, Medicus Mundi Italia e World Friends – per fare il punto sulle conseguenze che l’attuale pandemia ha comportato in termini di arresto dei progressi nel campo della salute e del benessere globale.

    Secondo quanto riportato dal documento, diffuso a giugno, al 28 aprile 2021 a livello globale risultavano somministrate 1.041.768.033 dosi di vaccino anti-Covid19. Mentre ad aver ricevuto la seconda dose erano 243.268.968 (il 3,13% della popolazione). Una percentuale che fa riflettere, se si considera che solamente in Africa alla stessa data si registravano 4.895.960 contagi e 131.323 decessi legai al Covid. Qui, come nel resto del mondo ma in modo più forte, l’impatto del Covid si è fatto sentire soprattutto su donne e ragazze, gruppi sociali emarginati, comunità vulnerabili.

    Squilibri di genere in pandemia

    Le pandemie, racconta a inGenere Stefania Burbo del Network Italiano Salute Globale “hanno spesso un differente impatto di genere, questo è accaduto anche nel caso del Covid19”. Il motivo è presto detto: “le donne e ragazze sono state colpite gravemente, in maniera così sproporzionata da questa pandemia, a causa di discriminazioni strutturali globali e della mancanza di strategie e politiche sanitarie (e non), costruite con le donne e per le donne in tutte le loro diversità. La pandemia ha provocato, infatti, una drastica riduzione dell’accesso ai servizi sanitari, compresi quelli per la salute sessuale e riproduttiva sia per motivi di contenimento, che hanno impedito a molte donne e ragazze di spostarsi da una città all’altra per trovare, ad esempio, un ospedale dove non vi fossero medici obiettori nei casi di interruzione volontaria di gravidanza, sia perché la salute sessuale e riproduttiva non è stata considerata un settore importante in ambito medico, contrariamente a quanto stabilito dall’Oms che considera tali servizi tra quelli essenziali”.

    Anche lo smart working non ha fatto che accrescere il peso del lavoro di cura che grava sulle spalle delle donne, visto che sono essenzialmente le donne ad assistere bambini, anziani e persone malate. “Le misure di lockdown” continua Burbo “hanno inoltre portato a un aumento esponenziale della violenza di genere, nello specifico nel contesto domestico, a dispetto dell’incessante promozione della retorica della casa come ambiente sicuro e confortevole a cui abbiamo assistito. I governi non hanno saputo prevedere le conseguenze di tali restrizioni né attuare delle strategie per contrastare la violenza domestica, poiché è mancata una prospettiva di genere nelle politiche globali”.

    C’è infine il dato secondo cui il personale infermieristico e ostetrico è per la gran parte costituito da donne, che in particolar modo nelle corsie sono state esposte principalmente a rischio di infezione e di morte. La pandemia ha dunque reso più nette le disuguaglianze e i limiti dei sistemi sanitari e delle politiche che li determinano. “Si rendono necessarie e non rimandabili” conclude Burbo “risposte fondate sull’equità, sul rispetto dei diritti umani, che siano gender transformative e che coinvolgano in maniera significativa le donne e le ragazze, oltre che i gruppi emarginati e le comunità vulnerabili”.

    Genere, salute e povertà

    In un paese come l’Africa, come nei paesi a basso reddito, è ancora forte il problema delle mancate vaccinazioni. Per tagliare il traguardo delle vaccinazioni al 60% della popolazione, corrispondente a circa 780 milioni di persone, ricorda il report, in Africa ci sarà bisogno di 1,5 miliardi di dosi di vaccino, per un costo stimato fra gli 8 e i 16 miliardi di dollari. Entro la fine del 2021 – secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità – si potrebbe riuscire a vaccinare appena il 20% della popolazione africana. E l’impatto del Covid è molto preoccupante.

    “La salute mentale, l’interruzione della didattica, la perdita di reddito e la violenza” ci spiega Roberta Rughetti di Amref Health Africa Italia “sono solo alcune delle conseguenze preoccupanti del Covid19, secondo i risultati di un recente studio internazionale intitolato Finding hope: lived experience of women, children and adolescents, in their own words” E aggiunge: “lo studio rivela che in Kenya il 60% delle donne in gravidanza di cinque contee del paese (Bungoma, Kiambu, Makueni, Murang’a e Nairobi) hanno riferito che il Covid19 ha impattato sulle loro decisioni relative alla ricerca di assistenza sanitaria”. Lo studio prova che “le donne e i bambini continuano a sostenere il peso maggiore della pandemia su tutti i fronti, che si tratti del loro benessere economico o sociale”. Le donne sarebbero inoltre sovrarappresentate in molti dei settori più duramente colpiti dal Covid19, come l’agricoltura, la ristorazione, la vendita al dettaglio e l’intrattenimento. “E non va trascurato che le donne rappresentano oltre il 70% della forza lavoro sanitaria, categoria ad alto rischio nella pandemia”, ricorda Rughetti.

    Il problema delle vaccinazioni in Africa e nei paesi a basso reddito è un problema tutto da affrontare. “Circa 20 milioni di bambini nel mondo (oltre 1 su 10) non risultano vaccinati contro malattie come morbillo, difterite e tetano” continua Rughetti. “Le coperture vaccinali contro difterite, tetano e pertosse a livello globale si sono arrestate all’86% circa dal 2010. Questa percentuale corrisponde a circa 116 milioni di bambini vaccinati nel mondo, ma non è sufficiente. È necessaria una copertura del 95%, in tutti i paesi e le comunità, per proteggere i bambini da malattie gravi, spesso mortali”. In Sud Sudan, per esempio, secondo l’Unicef meno del 50% dei bambini risultano vaccinati. “Circa il 29% dei decessi infantili (sotto i 5 anni) potrebbero essere prevenuti grazie a un vaccino” spiega Rughetti. “Si stima che questi decessi siano stati 1,5 milioni di bambini soltanto nel 2012”.

    Le questioni critiche che non rendono semplice la produzione dei vaccini in Africa sono parecchie, fra deficit di finanziamento, sistemi sanitari deboli, scarsa infrastruttura della catena di approvvigionamento, criteri di ammissibilità e criteri di priorità indefiniti per garantire che le popolazioni più vulnerabili ricevano il vaccino il prima possibile. 

    “Per garantire una adeguata preparazione ai vaccini anti Covid-19” conclude Rughetti “è necessario quindi in Africa risolvere le criticità determinando criteri chiari di investimento, sviluppando una solida strategia di distribuzione del vaccino, identificando dove verrà somministrato il vaccino e da chi, sviluppando un solido piano di approvvigionamento e distribuzione, e infine disponendo un piano di sostenibilità per garantire la disponibilità e l’accesso continui al vaccino Covid19, in attesa di sviluppare competenze, accordare deroghe ai brevetti, erogare finanziamenti adeguati per la produzione locale di vaccini”.

    La pandemia a Nairobi, in Brasile e in Giordania

    Oltre ai vaccini e alla copertura sanitaria, c’è naturalmente il dissesto economico prodotto dalla pandemia. In una città come Nairobi, per esempio, dove con il lockdown e la chiusura di attività non essenziali parte della popolazione si è spostata verso le aree rurali, con conseguente abbassamento del reddito delle famiglie degli slum, l’aumento della malnutrizione sta colpendo soprattutto bambini/e e donne in gravidanza.

    “È evidente come la grave situazione di Nairobi e del Kenya stia passando totalmente inosservata in Occidente” racconta a inGenere Gianfranco Morino, Responsabile di World Friends Kenya. “È sufficiente pensare alle forniture di vaccini assolutamente carenti, motivo per il quale al momento abbiamo potuto somministrare pochissime dosi. Intanto è stato da poco annunciato un nuovo lockdown nell’ovest del Kenya e questo significa ulteriori crisi economiche, mancato diritto allo studio e il rischio di aumento di violenze di genere e gravidanze precoci. La pandemia rivela un aumento delle diseguaglianze e un diritto alla salute totalmente negato in gran parte del sud del mondo”.

    La pandemia da Covid-19 ha rimarcato questioni sociali che vanno oltre il processo salute-malattia. In Brasile, ci dice Elivania Estrela Ayres, coordinatrice socio-sanitaria Medicus Mundi Italia in Brasile “ci sono migliaia di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà senza accesso a servizi di salute pubblica. Le donne sono le più vulnerabili, soprattutto le madri single, che devono sostenere e badare famiglie spesso molto numerose. La pandemia da Covid19 ha messo in luce l’urgenza di discutere di questioni sanitarie e la precarietà nella fornitura di servizi igienico-sanitari di base, il che ha ripercussioni sul diffondersi di patologie come la diarrea, l’epatite e la gastroenterite, tra le altre. Il peggioramento dell’accesso alle cure e la mancanza di igiene ha aggravato la diffusione dei contagi da Covid19 in tutto il paese”.

    Anche i problemi riscontrati in Giordania sono relativi a un peggioramento della salute delle donne e delle ragazze, della loro condizione socio-economica, nonché a un aumento della violenza di genere, in particolare, quella domestica.

    “Per poter assicurare l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva” dice Maria Grazia Panunzi, presidente di Aidos “occorre tenere ben presente e far rispettare le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che definiscono i servizi per la salute sessuale e riproduttiva servizi essenziali, quindi da garantire sempre, anche nei momenti critici di una pandemia; fare in modo, ad esempio, che i servizi per la salute sessuale e riproduttiva non vengano eliminati o convertiti in servizi Covid, o dedicati ad altre emergenze pandemiche”. E conclude: “occorre anche rafforzare il sistema sanitario del paese e quelle realtà che offrono servizi in questo ambito: le associazioni, le organizzazioni non governative, tutte quelle forme di assistenza sanitaria che derivano dall’implementazione di progetti. Inoltre vanno previsti fondi prevedibili e pluriennali, programmi dedicati alla salute sessuale e riproduttiva che sono l’unica possibilità, per donne e ragazze delle zone più povere e marginali, di curarsi e gestire il proprio benessere”. 

    Elena Paparelli

    19/7/2021 https://www.ingenere.it/

    Tags: Africa Covid-19 disuguaglianze inziativa dei cittadini europei lavoro donne Medicus Mundi Italia Pandemia sfruttamento lavoro donne smart working vaccini
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