La pessima aria che alimenta il coronavirus

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In questi giorni di emergenza coronavirus la priorità è salvare le persone contagiate in grave difficoltà respiratoria predisponendo strutture sanitarie adeguate, tutelare i lavoratori del sistema sanitario e dei servizi essenziali, mentre ognuno di noi restando a casa deve contribuire a ridurre l’espandersi del contagio.

Seguendo il dibattito pubblico e la comunicazione, molti esperti si interrogano sul fenomeno, sulle cause scatenanti, emergono studi che parlano di pandemia annunciata, di come la globalizzazione e il trasporto veloce di lunga distanza abbiano accelerato il contagio globale, facendoci trovare completamente impreparati. Si ragiona di nuovi farmaci e vaccini, di ricerca e lavoro, del rapporto antropocentrico uomo e animali da rivedere profondamente, sulla popolazione e il loro stato di salute, sui tagli alla sanità che mostrano gli effetti nefasti sui livelli di assistenza quando ben pochi tra istituzioni e politica si sono opposti. Si ragiona anche sulle diseguaglianze che contagio, assistenza, crisi economica e lavoro possono produrre ulteriormente sul sistema italiano, già così fortemente diseguale.

E si ragiona infine su come la riduzione della biodiversità e i mutamenti climatici abbiano alterato gli equilibri sul pianeta terra ormai abitato da 8 miliardi di persone, aumentando rischi e fragilità, come ben motivato nel rapporto WWF Italia “Pandemia, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”.

È una dura lezione per tutti/e che costringe ad aggiornare l’agenda, rivalutare il ruolo della sanità pubblica, ripensare alle politiche di prevenzione per l’ambiente e la salute. Dove molte cose sul contagio coronavirus sono ancora da studiare, comprendere e mettere in correlazione per darci indicazioni motivate e rigorose sulle politiche per il futuro.

Polveri sottili come tappeto volante per il coronavirus nella Pianura Padana?

Un Position Paper pubblicato in questi giorni dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) redatto in collaborazione alle Università di Bari e di Bologna (scaricabile alla fine di questo articolo), ha esaminato i dati sulle emissioni di PM10 e PM2,5 delle Agenzie Regionali per la protezione ambientale, incrociandoli con i casi di contagio riportati dalla Protezione Civile. Il lavoro di ricerca – intitolato “Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione” – è frutto di uno studio no-profit che vede insieme ricercatori ed esperti provenienti da diversi gruppi di ricerca italiani, ed è indirizzato in particolar modo ai decisori pubblici.

Lo Studio parte dal richiamare diverse ricerche scientifiche che descrivono il ruolo del particolato atmosferico come “carrier”, cioè come vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Questa è una teoria generale piuttosto consolidata per chi studia i problemi di emissioni inquinanti e qualità dell’aria.

Nello Studio si legge: “Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza.”

Il rapporto tra concentrazioni di particolato atmosferico e diffusione dei virus era stato già indagato: nel 2010 si era visto che l’influenza aviaria poteva essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportavano il virus. I ricercatori avevano dimostrato che c’è una correlazione di tipo esponenziale tra le quantità di casi di infezione e le concentrazioni di polveri sottili. Nel 2016 era stata osservata una relazione tra la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano nei bambini e le concentrazioni di particolato. Questo virus causa polmoniti nei bambini e viene veicolato attraverso il particolato in profondità nei polmoni e la velocità di diffusione del contagio è correlata alla concentrazione di PM10 e PM2,5.

Sulla base di questi studi pregressi i ricercatori italiani hanno esaminato i dati delle centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, registrando il numero di episodi di superamento dei limiti di legge del PM10 (50 microg/m3 di concentrazione media giornaliera) nelle province italiane. Parallelamente, sono stati analizzati i casi di contagio da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile. Dall’analisi è emersa una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo, considerando quindi il tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta dalle persone.

Secondo il Position Paper, nella Pianura Padana si sono osservate le curve di espansione dell’infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in coincidenza, a distanza di due settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico, che hanno esercitato un’azione di “boost”, cioè di incremento alla diffusione virulenta dell’epidemia. Secondo i ricercatori, quindi, “le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno prodotto un’accelerazione alla diffusione del Covid-19. L’effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai”.

Ma sono gli stessi ricercatori, per voce del presidente della SIMA Alessandro Miani, a sottolineare che “in attesa del consolidarsi di evidenze a favore di questa ipotesi presentata nel nostro Position Paper, in ogni caso la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o ‘marker’ indiretto della virulenza dell’epidemia da Covid-19. Inoltre, in base ai risultati dello studio in corso l’attuale distanza considerata di sicurezza potrebbe non essere sufficiente, soprattutto quando le concentrazioni di particolato atmosferico sono elevate”.

Il Position Paper chiude richiedendo alle istituzioni pubbliche misure restrittive per il contenimento dell’inquinamento, come azione di prevenzione a tutela della salute e dell’ambiente in cui viviamo.

Sembra evidente che questa ipotesi di correlazione andrà approfondita ed estesa sulla base di dati e indagini di lungo periodo, insieme a molte altre ricerche che andranno svolte su quanto sta accadendo a livello mondiale e locale con la pandemia da coronavirus, per fornire motivazioni e soluzioni alla crisi che stiamo vivendo.

Di certo già sappiamo che l’inquinamento dell’aria provoca numerosi morti premature in Europa, molto spesso nell’indifferenza generale, in particolare della comunicazione e delle istituzioni, come ci dice il “Rapporto sulla qualità dell’aria 2019” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. Secondo il Rapporto, il particolato fine PM2,5 da solo ha causato circa 412.000 decessi prematuri di persone in 41 paesi europei nel 2016, di cui circa 374.000 di questi decessi si sono verificati in Europa a 28.

L’Italia ha il valore più alto dell’Ue di decessi prematuri per biossido di azoto (NO2, 14.600 persone), seguita da Germania (11.900 persone) e Regno Unito (11.800 persone). E il nostro paese è primo anche per le conseguenze da esposizione all’ozono O3: 3.000 morti premature, contro 2.400 della Germania e 1.400 della Francia. Mentre per il PM2,5 è secondo con 58.600 morti premature, dopo la Germania che ne ha 59.600.

Rispetto ai dati degli anni precedenti vi sono segni di miglioramento, ma siamo ancora ben lontani da una tutela efficace della salute umana e questo ha enormi conseguenze sulla vita e il benessere delle persone, sui costi sociali, sanitari e ambientali di questo degrado.

Serve il Green Deal per sostenere lavoro e servizi

In questi giorni di #iorestoacasa come misura fondamentale per prevenire il contagio – che dobbiamo giustamente rispettare – il traffico veicolare è diminuito, così come sono stati ridotti i treni, il trasporto pubblico, il trasporto aereo e marittimo, e anche la mobilità a piedi, in bicicletta e scooters delle persone. Il trasporto delle merci su strada (tanto) e su ferrovia (poco) prosegue le sue attività, ma ancora non sono stati resi noti i dati dei flussi: certamente anche questi, a causa della chiusura di molte attività, avranno subito una contrazione.

Ne consegue che, come abbiamo già visto in Cina, si riduce la congestione e l’incidentalità stradale, la qualità dell’aria migliora e anche le emissioni di C02 potrebbero momentaneamente ridursi. Già si affacciano i primi studi che indicano come si sono ridotti i flussi di traffico e i chilometri percorsi.

Voglio sottolineare che mobilità sostenibile non equivale a “stare fermi”, ma a muoversi con mezzi a basso o zero impatto, eliminando gli spostamenti inutili e dando la preferenza a soluzioni smart. Camminare, usare la bicicletta e la sharing mobility, utilizzare il treno, un autobus, scooters, auto e micromobilità elettrica, usare un veicolo commerciale elettrico per la consegna delle merci, affollare strade, piazze e spazi pubblici, è la visione per la città del futuro.

Di questi tempi lo smart working è diventato una realtà per lavorare da remoto per molti cittadini/e con Skype, Zoom, MTeams e altre piattaforme che funzionano davvero. Una soluzione innovativa che c’è da augurarsi prosegua anche dopo l’emergenza, eliminando gli spostamenti inutili. Certo, anche qui è apparso in tutta la sua evidenza il digital divide, avere o non avere una connessione wifi e un computer a casa, saper maneggiare le nuove tecnologie, avere l’alfabeto giusto per stare nella rete e in collegamento con il mondo, misurare l’efficienza della pubblica amministrazione e delle imprese. Basta guardare la giusta protesta di piccoli comuni, comunità montane e aree interne scarsamente connessi e quindi oggi in maggiore difficolta a garantire servizi e coesione sociale per la popolazione.

Un altro effetto dell’emergenza coronavirus è la crescita dell’e-commerce e delle consegne a casa mediante furgoni e riders, anche se da prime valutazioni sembrerebbe che non ci sia un boom delle consegne in bicicletta a causa della chiusura di molte attività (anche su questo vedremo i dati). Un sistema logistico per l’e-commerce che stava già crescendo vistosamente e che adesso è esploso, tant’è che se provate a ordinare online a Roma, in diverse catene di supermercati propongono consegne dopo una decina di giorni (esperienza personale). Del resto, per chi effettua le consegne in questo momento vi sono condizioni ottimali, con le strade liberate dal traffico e tutte le persone ferme a casa in attesa delle consegne – come mi ha fatto notare con un po’ di ironia un esperto di logistica.

Se in questo frangente è certamente una soluzione non dobbiamo dimenticare che c’è un intero sistema logistico che ha bisogno di regole serie, per imporre diritti dei lavoratori, per far pagare i costi esterni che questo traffico genera con i suoi impatti ambientali e sociali (che ci fanno credere siano gratis), per introdurre maggiore sicurezza e utilizzare veicoli elettrici.

Avrete anche notato che per rilanciare l’economia, causata dalla grave crisi dell’emergenza coronavirus che sarà purtroppo pesante, si ripropongono nel dibattito pubblico vecchie ricette che non hanno mai funzionato, come grandi opere, commissari straordinari, sospensione del codice appalti per fare presto. Misure che non hanno mai portato soluzioni efficaci, in genere hanno aumentato il debito pubblico, limitato ricerca e innovazione, quasi sempre portato a grandi inchieste della magistratura per corruzione.

C’è da augurarsi che questa non sia la strada che il Governo percorrerà nei prossimi decreti e diventi invece una opportunità reale per cambiare strada, anche snellendo le procedure se serve. È necessario puntare sui lavori legati al Green Deal, l’economia circolare, le rinnovabili, contro il dissesto e la rigenerazione del territorio, per la mobilità sostenibile e la decarbonizzazione dei trasporti. Un piano per il potenziamento di un efficace sistema sanitario pubblico, per potenziare ricerca, formazione e sistema scolastico, per rigenerare le città, riqualificare l’edilizia anche contro il pericolo sismico, per il risanamento dei siti inquinanti e la riconversione e innovazione industriale.

In questi tempi di pandemia in molti dicono che niente sarà come prima. Ma non diamo per scontato che possano emergere solo soluzioni smart, innovative, eque e sostenibili, perché il vecchio e l’inerzia del passato sono sempre in agguato. Quindi anche ora servono, idee innovative, impegno e confronto pubblico per le scelte del nostro Paese.

Anna Donati

19/3/2020 sbilanciamoci.info

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Scarica qui la ricerca “Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione”

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