La peste suina africana in Italia minaccia la sopravvivenza dei piccoli allevatori e agricoltori

La peste suina africana

Per i maiali, come per altri animali, ci sono malattie incurabili, come la peste suina africana (PSA) e la sindrome riproduttiva e respiratoria porcina (SRRP). La peste suina africana è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. Altamente contagiosa e spesso letale per gli animali (caratterizzata da lesioni emorragiche della cute e dei parenchimi, ossia degli organi interni), non è, invece, trasmissibile agli esseri umani. È stata descritta per la prima volta nel 1921, in Kenya, mentre nel 1957 è stata segnalata in Portogallo, proveniente dall’Africa (dove viene considerata endemica in oltre 20 Paesi subsahariani) mediante rifiuti alimentari trasportati per via aerea, e poi si è diffusa nell’intera penisola Iberica. Nel 1978 ha fatto la sua comparsa in Sardegna e nel 2007 in Georgia, da dove poi si è diffusa in tutta l’Europa orientale e centrale per arrivare in Piemonte e Liguria nel gennaio 2022.

Si tratta di una malattia che si trasmette attraverso delle spore assai resistenti1 che possono essere trasportate da qualsiasi cosa, comprese scarpe e abiti degli agricoltori, i secchi e i mangimi contaminati, le pulci e i veicoli di trasporto, ma che le autorità ritengono venga trasmessa soprattutto dai cinghiali che vivono allo stato brado (per questo il governo polacco ha deciso di abbatterne 200 mila, quasi l’intera popolazione di cinghiali del Paese, dove l’epidemia si è diffusa a partire dal 2014). I mangimi possono essere un vettore del virus perché composti da semi di soia geneticamente modificati, cereali, proteine in polvere che spesso sono derivate dai maiali e rifiuti alimentari trattati che spesso contengono carne di maiale. Gli scienziati hanno scoperto che il virus può sopravvivere per un mese nei salami, per 140 giorni nel jamón ibérico e per 399 giorni nei prosciutti di Parma.

Per questa malattia non esiste un vaccino perché gli scienziati non sono ancora riusciti a superare le difficoltà dovute al grande e complesso DNA del virus che ha circa 170 geni e 80 proteine, molte dei quali si sono specializzati nell’eludere diversi aspetti del sistema immunitario dei maiali. La peste causa emorragie interne e la morte dell’animale, ma non è trasmissibile agli umani.

Nel 2014 è esplosa un’epidemia di PSA in alcuni Paesi dell’Est della UE. Da allora la malattia si è diffusa in altri Stati membri, tra cui Belgio e Germania, mentre in ambito internazionale è presente in Cina, India, Filippine e in diverse aree del Sud-Est asiatico, raggiungendo anche l’Oceania (Papua Nuova Guinea).

La PSA in Italia

Il 7 gennaio 2022 è stato confermata la positività in un cinghiale trovato morto in Piemonte, nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria. Si tratta del cosiddetto “cinghiale zero” che ha riguardato poi il contagio riscontrato nelle aree tra Piemonte e Liguria. Da allora, in tutto, sono stati individuati 33 cinghiali positivi, di cui 16 in Piemonte e 17 in Liguria. Ad oggi, comunque, nessun suino domestico è stato colpito dalla PSA.

Precedentemente in Italia la malattia era presente unicamente in Sardegna (dal 1978) sia nella popolazione di maiali domestici, allevati per lo piu allo stato brado o semibrado (spesso in modo clandestino), sia nel cinghiale, soprattutto in Barbagia, Baronia e Ogliastra. A seguito di un insieme di programmi ed interventi messi in campo in modo coordinato da Regione, Comuni, ASL (servizi veterinari), Corpo Forestale, e allevatori, in Sardegna si è registrato un costante e netto miglioramento della situazione epidemiologica negli ultimi anni. Da quattro anni non si registrano focolai e ora la suinicoltura sarda (circa 14 mila aziende per un totale di circa 180 mila capi2) chiede di rientrare nell’ambito del mercato comunitario e internazionale (l’embargo esiste dal novembre 2011). In particolare, è stato creato un gruppo di intervento veterinario specializzato privo di legami col territorio, è stata svolta sul campo un’azione di educazione igienico-sanitaria degli allevatori (su requisiti di biosicurezza, benessere animale, tracciabilità della filiera), cacciatori e popolazione, con attività di ispezione e follow up svolte con continuità nei territori ad alto rischio, e vi è stata una gestione dei focolai in maniera tempestiva con rapido svincolo dei territori sottoposti a restrizione3.

Il virus riscontrato in Piemonte è geneticamente diverso dal quello circolante in Sardegna, e corrisponde a quello circolante in Europa (in particolare, nei Balcani) da alcuni anni. Attualmente, l’area considerata infetta comprende 114 Comuni tra Liguria e Piemonte. Il 13 gennaio i ministri Speranza (Sanità) e Patuanelli (Agricoltura) hanno firmato un’ordinanza per cercare di frenare l’epidemia: in 114 comuni del Piemonte e della Liguria per i prossimi sei mesi non si potrà fare trekking, andare in mountain bike, raccogliere funghi e tartufi, pescare, cacciare. La zona interdetta comprende l’ovadese, l’acquese, Sassello, Albisola e Varazze, Gavi e Busalla – tanto per citare qualche comune – ed è evidente e intuitiva la portata di una “mazzata” per luoghi che vivono di turismo e che ora, improvvisamente, si trovano a dover impedire ai loro ospiti di muoversi liberamente tra sentieri e boschi. Ma, evidenti e intuitive sono anche le privazioni per gli abitanti di un vasto territorio a cui viene vietato di interagire con la natura.

I vertici delle principali organizzazioni di rappresentanza degli interessi agricoli (Coldiretti, Confagricoltura, CIA) hanno sottolineato, vista la situazione, la volontà degli allevatori di adottare tutte le azioni necessarie per assicurare la piena ripresa delle attività produttive, che in Italia rappresentano un volume di 100 mila suini macellati alla settimana. Per il Piemonte si tratta un settore molto rilevante per l’economia agricola che conta su oltre 1,3 milioni di suini, allevati prevalentemente in provincia di Cuneo. Proprio i numeri degli allevamenti cuneesi fanno sì che sia molto importante evitare che l’epidemia si estenda. Per proteggere gli allevamenti cuneesi, autorità e rappresentanze hanno concordato sulla necessità di procedere speditamente all’abbattimento forzoso (e allo smaltimento) di tutti i suini allevati nell’area infetta in provincia di Alessandria. Intanto, il 26 gennaio il ministero dell’Agricoltura cinese ha sospeso le importazioni di carne di maiale dall’Italia.

Ma, l’Associazione Rurale italiana (ARI), membro del Coordinamento Europeo Via Campesina, si domanda quale sarà il destino dei piccoli allevamenti contadini dell’Appenino ligure e piemontese che fanno della qualità e dell’allevamento allo stato semibrado un fiore all’occhiello e l’unica vera alternativa ai grandi allevamenti intensivi, dove gli animali sono stipati in gran numero in capannoni bui, antigienici e inquinanti (nitrati e ammoniaca), dove i “vizi” cannibalistici come mordersi la coda sostituiscono il normale comportamento dei maiali e dove si fa un largo utilizzo di antibiotici di importanza critica per la salute umana4? Sono allevamenti fondamentali nella costruzione del reddito familiare in aziende collocate in condizioni difficili, in territori fortemente colpiti dai fenomeni dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione. Il rischio è che con una diffusione della PSA sul territorio italiano, i piccoli allevamenti soccombano alla pressione, lasciando che il mercato sia totalmente monopolizzato dai grandi allevamenti industriali.

L’ARI considera impressionante e intollerabile la mancanza di armonizzazione fra le normative che si stanno abbattendo sulle aziende che ricadono su un territorio a cavallo fra 2 regioni (tocca 78 comuni nella provincia di Alessandria e 36 in Liguria). Mentre nella zona rossa genovese gli allevatori hanno già ricevuto l’ordinanza di abbattere i capi di maiali allevati (assolutamente sani), ma non sanno come fare perché i macelli sono tutti in Piemonte, nell’alessandrino le notizie provenienti dagli organi competenti sono contraddittorie e si fa fatica a capire quale sia la strategia di contenimento del virus. Le due Regioni (Piemonte e Liguria) dovrebbero stabilire dei parametri identici volti alla difesa della salute pubblica e alla salvaguardia delle aziende agricole.

Inoltre, l’ARI sostiene che per poter permettere di continuare ad esistere agli allevamenti del territorio interessato serve sia una valutazione seria del valore dei suini, se dovessero essere costretti a macellare anzitempo o abbattere, che vista la qualità e la tipicità del modello zootecnico applicato non può essere quella indicata dai prezzi del mercato di carne suina all’ingrosso (al momento molto bassi, a causa di una forte contrazione dei consumi), ma va calibrata sul valore medio che negli anni gli allevatori hanno spuntato per il prodotto finito o trasformato in loco. Poiché i danni della diffusione del virus sono già effettivi, per consentire una possibile ripresa degli allevamenti, l’ARI chiede che alcune misure del PSR ancora in vigore, ad esempio la 21 per i ristori agli allevatori e alle imprese forestali e la 8 per gli interventi forestali, prevedano esplicite priorità per il finanziamento agli enti locali e alle imprese localizzati nella zona infetta, di iniziative finalizzate al miglioramento del livello qualitativo dei piccoli allevamenti zootecnici sia da latte sia da carne (già alto), fornendo loro le strutture a livello comprensoriale adeguate alle loro esigenze. Per dare sollievo immediato ai disagi provocati alle aziende coinvolte è indispensabile prevedere, oltre ai ristori, anche agevolazioni fiscali e stanziamenti con mutui agevolati.

Dal 2020 l’Italia, in considerazione dell’epidemia europea e in base a quanto previsto nell’ambito della strategia comunitaria di prevenzione e controllo della malattia, ha elaborato un Piano di Sorveglianza nazionale, che contempla anche una parte dedicata alla sola Sardegna relativamente alle misure volte al raggiungimento dell’eradicazione. Il Piano è presentato annualmente alla Commissione Europea per l’approvazione e il cofinanziamento.

Come previsto dalle norme comunitarie, dalla conferma della positività del cinghiale/maiale lo Stato membro interessato ha 90 giorni di tempo per presentare alla Commissione Europea uno specifico Piano di eradicazione. Il Ministero della Salute ha emesso in proposito una circolare che raccomanda che in tutto il territorio nazionale sia rinforzata l’attività di sorveglianza negli allevamenti suini, e soprattutto si compia ogni sforzo per rintracciare e testare le carcasse di cinghiali come previsto dal piano nazionale di sorveglianza. Nelle prossime settimane arriveranno in Piemonte e Liguria i funzionari incaricati dall’Unione Europea per la verifica della gestione dell’emergenza legata alla PSA.

La PSA nel resto d’Europa

In Europa, la PSA è arrivata per la prima volta in Portogallo nella seconda meta degli anni ‘50, si presume attraverso scarti alimentari provenienti dall’Africa, per espandersi poi in tutta la penisola iberica, dalla quale è stata eradicata negli anni ’905. Ma, nel 2007, la malattia è sbarcata in un porto del Mar Nero in Georgia, anche in questo caso si sospetta attraverso rifiuti alimentari trasportati su una nave partita dall’Africa sudorientale. In breve tempo si è allargata agli allevamenti di tutto il Caucaso per colpire poi la Russia, l’Ucraina, la Bielorussia ed entrare nell’UE dalla Lituania e la Polonia a partire dal 2014, seguiti Lettonia ed Estonia6. Nei tre Stati baltici e in Polonia la malattia è diventata endemica nella popolazione dei cinghiali, mentre i focolai sporadici che si verificano nei suini domestici sono stati efficacemente controllati prevenendo un’estesa diffusione secondaria. Poi, la malattia si è diffusa in altri Stati membri, tra cui Repubblica Ceca, Belgio e Germania. Durante l’estate 2018, la Romania ha registrato quasi 800 focolai e la PSA si è diffusa soprattutto nelle aree del delta del Danubio dove c’è un’ampia diffusione di piccoli allevamenti semibradi e dove il controllo sanitario è a volte difficile. Sono stati abbattuti almeno 250 mila animali infettati.

Focolai di PSA sono stati confermati anche in molti Paesi dell’UE – in modo grave in Estonia, Polonia, Lettonia, Grecia, Ungheria, Cechia, Belgio e Lituania -, mentre focolai sono stati confermati anche in Russia, Ucraina e Moldova. Però, nelle zone infette come Polonia, Ungheria, Romania si può addirittura cacciare liberamente con il serio e concreto rischio di esportare il virus. Gli stati tedeschi di Brandeburgo e Sassonia hanno costruito delle recinzioni lungo il confine con la Polonia per impedire l’ingresso di cinghiali7. Anche la Danimarca ha deciso di costruire una rete di recinzione elettrificata e munita di telecamere alta un metro e mezzo lungo i 70 chilometri di confine con la Germania (che alleva 26 milioni di suini) per impedire le migrazioni dei cinghiali e tenere fuori la peste suina africana, nonostante il suo vicino meridionale non avesse ancora registrato alcun caso. In Danimarca il numero dei suini supera di quasi cinque volte quello delle persone – ospita circa 28 milioni di maiali in 3 mila allevamenti, contro una popolazione umana di 5,7 milioni – e le esportazioni di carne suina (15 milioni di capi nel 2017) valgono oltre 3 miliardi di euro all’anno.

In Germania il virus è arrivato nel settembre 2020 nello Stato orientale del Brandeburgo (individuato in un cinghiale morto vicino al confine con la Polonia), nonostante dell’erezione della recinzione elettrica per pascoli lunga 120 km, seminando ansia nel Paese maggiore produttore e consumatore d’Europa e principale esportatore europeo in Cina. Per cercare di bloccare il passaggio dei cinghiali attraverso il confine sono stati utilizzati anche cani e droni.

La PSA in Cina e nel resto dell’Asia

La Cina, il più grande produttore di suini al mondo con la metà dei capi, è stata colpita, per la prima volta nella sua storia, dalla malattia dall’agosto 2018 e oltre un milione di capi sono stati abbattuti in pochi mesi8. Il contagio si è diffuso in tutto il Paese, ha attraversato i confini con Mongolia, Laos, Vietnam, Myanmar, Hong Kong, Nord Korea, Thailandia e Cambogia. Ha colpito anche la Corea del Sud, India e le Filippine (agosto 2019), raggiungendo anche l’Oceania. Le filippine sono l’ottavo maggiore produttore di carne di maiale al mondo e la carne di maiale costituisce il 60% del consumo totale di carne. In Vietnam in pochi mesi sono stati abbattuti oltre 5 milioni di maiali, ovvero il 15% del totale, una cifra destinata ad aumentare rapidamente. L’impatto economico e sociale è stato enorme per il Vietnam, dove il maiale rappresenta il 75% di tutta la carne consumata nel Paese ed è un settore che vale circa 40 milioni di euro. Nel complesso, il settore agricolo in Vietnam impiega quasi il 50% della forza lavoro, con una parte significativa impegnata nell’allevamento di suini.

Anche in Cina, dei 26 milioni di allevamenti attivi, quelli più vulnerabili al virus sono stati i più piccoli a gestione familiare che producevano meno di 500 maiali da macello all’anno e rappresentavano circa il 40% della produzione cinese, ovvero circa 280 milioni di suini all’anno, dove i controlli sanitari e veterinari erano minimi. L’epidemia di peste suina africana ha contribuito ad accelerare i cambiamenti in un’industria che già si stava spostando verso allevamenti sempre più intensivi ed industrializzati, in particolare nel nord del Paese9. Le misure governative messe in atto per contrastare l’epidemia hanno favorito fortemente le aziende più grandi considerate più capaci di prevenire la diffusione di malattie con standard igienici più elevati. In ogni caso, si stima che a seguito dell’epidemia, tra il 2018 e il 2020, la produzione interna di carne di maiale si sia ridotta di oltre il 40% (200 milioni di maiali, pari quasi all’intera produzione americana ed europea annuale, ma alcuni osservatori hanno stimato una riduzione di oltre 300 milioni, ossia di oltre il 50%), compensata da un aumento delle importazioni del 44% e dei prezzi – del 70% – della carne suina in Cina, contribuendo a far salire l’inflazione interna al 3% e a far aumentare il prezzo della carne di maiale anche nel resto del mondo10. Per contenere l’aumento dei prezzi, il governo ha messo sul mercato parte delle riserve strategiche di carne di maiale congelata. La carne di maiale rappresenta oltre il 60% del consumo cinese di carne e la carenza di carne di maiale a buon mercato ha riportato la carne di cane e coniglio nel menù delle comunità rurali e dei ceti sociali meno abbienti.

Per ricostituire i suoi allevamenti di maiali, la Cina ha importato per via aerea decine di migliaia di scrofe da riproduzione da Francia, Olanda ed altri Paesi nel 2020. Capi geneticamente selezionati dall’azienda francese Axiom e dalla olandese Topigs Norsvin con caratteristiche quali l’alta produttività, l’alta qualità della carne e l’alto numero di suinetti che sono in grado di partorire (fino a 16).

Alessandro Scassellati

9/2/2022 https://transform-italia.it

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