La realtà virtuale ha gioco facile sul disagio post-pandemico

A metà febbraio il Centre for disease control and prevention (Cdc) ha pubblicato un rapporto dal quale emergono dati inquietanti sull’onda montante di tristezza e di infelicità che avvolge gli adolescenti americani, in particolare le ragazze. Nel 2021 queste hanno registrato livelli record di violenza, solitudine e pulsioni suicide, in percentuali doppie rispetto ai coetanei maschi. Siamo di fronte a una crisi di salute mentale colossale, resa più ingestibile dall’effetto combinato del trauma del Covid-19 e di un sistema sanitario inadatto ad affrontare queste sfide. I dati americani confermano del resto uno scenario noto anche tra gli adolescenti italiani.
Condotta nell’autunno 2021, l’indagine del Cdc è la prima a illuminare l’impatto della pandemia sulle giovani generazioni negli Stati Uniti, con uno sguardo particolare al loro benessere e alla salute mentale, ai comportamenti sessuali, all’uso di sostanze e ad altri aspetti rilevanti della loro vita. Lo studio è anche il primo a prendere in considerazione i determinanti sociali della salute dei ragazzi, la loro situazione abitativa, il contesto di protezione familiare o lo stato di relazioni nell’ambito della vita scolastica.
Anche se risentono inevitabilmente di un deficit di risposta, soprattutto per quanto attiene all’abuso fisico o emotivo tra le mura di casa, i risultati lanciano un chiaro segnale di allarme: gli adolescenti testimoniano stati di vulnerabilità molto preoccupanti. Lo scenario si complica nel caso delle ragazze: quasi tre su cinque dichiarano di aver sofferto di persistente tristezza o disperazione nel 2021, in uno stato esistenziale peggiore dei loro coetanei su quasi ogni aspetto di vita preso in esame dall’indagine, e con indici di sofferenza più che raddoppiati rispetto al decennio precedente.
I problemi di salute mentale più significativi seguiti al Covid-19 -incluse le propensioni suicide- non hanno colpito gli adolescenti in ugual misura. Sintomatologie più gravi sono emerse tra omosessuali, bisessuali e tra gli studenti non bianchi. Circa il 70% degli studenti LGBTQI+ ha rivelato sintomi di profondo malessere negli anni della pandemia. Questa onda di infelicità è merce rara per l’industria dei dati, anche perché la salute mentale -un terreno perlopiù relegato ai servizi sanitari privati- ha trovato nella tecnologia digitale degli smartphone innumerevoli applicazioni di supporto fai-da-te. La crisi post-Covid-19 ha generato negli Stati Uniti più di 20mila app sulla salute mentale, di cui solo il 2,08% sono suffragate da evidenza scientifica.
Una su cinque. È la quota di studentesse adolescenti che nel 2021 ha subito violenza sessuale negli Stati Uniti, con un incremento del 20% dal 2017. Il 30% ha seriamente considerato il suicidio, registrando un aumento del 60% rispetto al 2011
Il report curato dal Duke’s Technology policy lab pubblicato a febbraio, con un focus sul marketing dei dati sulle condizioni di salute mentale dei cittadini americani, rivela come informazioni estremamente sensibili relativi a depressione, insonnia, ansia, Adhd o sindromi bipolari siano messe in commercio con controlli minimi e criteri di utilizzo del tutto inappropriati. I prezzi sul mercato variano dai 275 dollari per una transazione su 5mila profili di salute mentale ai 75-100mila dollari per una licenza di accesso annuale a dati che includono informazioni sulle condizioni di numeri imprecisati di individui.
Visto poi che stiamo parlando di adolescenti, è il ruolo di TikTok a suscitare particolare timore fra gli operatori clinici. Crescono i dubbi sull’etica degli influencer nel settore della salute mentale, con effetti del tutto indesiderati, preoccupano l’estrema approssimazione dei consigli somministrati sulla piattaforma e le auto-diagnosi cui sono indotti i giovani, senza alcuna verifica clinica. La realtà virtuale ha facile gioco sul disagio post-pandemico, ma una sana critica della ragione artificiale deve imporsi per avere la meglio sulla salute delle future generazioni.
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici senza frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development
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