La resistenza del popolo valsusino

Si son sprecate fin troppe parole intorno al termine Resistenza. Soprattutto oggi, nel momento in cui gli interessi imperialistici in gioco sui due fronti della guerra ucraina, cercano di mascherarsi in tal maniera. Eppure basterebbe scorrere anche solo le prime sequenze del bel documentario sulla lotta No Tav diretto da Carlo A. Bachschmid e con la bellissima fotografia di Stefano Barabino, La Scelta, per comprendere tutta la differenza che passa tra una resistenza popolare e una “inventata” a vantaggio degli interessi nazionalistici e geopolitici delle potenze (tante e non soltanto “locali”) in guerra.

E’ una forma e idea di resistenza che ci viene trasmessa, quando lo schermo è ancora nero e privo di immagini, dalle ultime parole di Luca Abbà comunicate col cellulare ai compagni prima di cadere fulminato dal traliccio su cui si era arrampicato a scopo dimostrativo nei primi mesi del 2012. E sono ancora le sue parole, lette dalla sua compagna all’assemblea del popolo No Tav, dell’aprile di quello stesso anno, scritte dal letto di ospedale, a darci l’idea della forza e dell’irriducibilità di una lotta che lo Stato italiano, da buon occupante coloniale, cerca da trent’anni di schiacciare e cancellare.

Come la Procura di Torino ha ancora una volta dimostrato nei giorni scorsi, con la richiesta di 22 provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di storici militanti della valle, accusati di aver partecipato ad una manifestazione “non autorizzata” convocata tramite il sito FB di Radio NoTa1v.

E sono i volti, scolpiti nella pietra delle montagne della Valsusa e allo stesso tempo dolci, di Nicoletta, Marisa e Paolo, mentre parlano nelle assemblee o discutono con gli “occupanti” oppure scrivono slogan con le bombolette spray sulle barriere del cantiere in Clarea, a rivelarci ancora quanta forza e quanta determinazione ci siano dietro a questa lotta.

Sono le immagini delle incursioni notturne dei folletti della Clarea, delle preghiere dei cattolici della valle in prossimità dello stesso cantiere (sempre accompagnate dal gusto ironico tipico del carattere locale), delle escursioni e delle osservazioni fatte con il binocolo per osservare la massa tumorale del TAV che cresce in quello che era stato un angolo di grande bellezza naturale, a rivelarci che un popolo aggredito sul suo territorio e nella sua vita più intima può decidere di resistere e non piegarsi.

Non contro un nemico esterno del proprio Stato, ma contro il proprio Stato e le sue assurde e inique “leggi”. Contro le sue forze del dis/ordine e quelle dell’esercito che come sempre, prima ancora che difendere i confini esterni della “nazione”, come vorrebbe la narrazione giuridica, son delegate a tracciare con autoritarismo e violenza quelli interni, di classe e di appartenenza sociale e territoriale.

E’ una bella testimonianza quella che il filmato, della durata di circa 80 minuti, ci presenta. Più di carattere impressionistico, e a tratti crepuscolare, che non cronologico-politico, anche se la sua realizzazione è durata circa dieci anni e ha visto coinvolti tanti compagni e tante compagne di quel territorio “liberato” dall’ipocrisia dello sviluppo capitalistico e dalle sue ideologie più banalizzanti. In cui la sicurezza degli abitanti non è affidata né alle milizie dello Stato, né all’audacia di qualche singola iniziativa individuale, ma all’azione collettiva e condivisa della comunità.

Iniziativa che ha la sua forza non tanto nella determinazione, che pur c’è e deve esserci, negli scontri scaturiti dalla repressione delle manifestazioni, ma soprattutto dall’idea condivisa di “partire e tornare tutti insieme”. Sempre, comunque, ovunque.
In valle tra i gas e i boschi, nelle assemblee pubbliche, nelle aule dei tribunali, fuori e dentro il carcere. Insieme, sempre, come solo un’autentica “associazione a resistere” può, deve e sa fare.

Sono immagini e parole importanti quelle che vengono trasmesse con efficacia agli spettatori.
Sono parole di lotta e di irriducibilità, di speranza e di dolore e spesso di intensa riflessione personale. Sia sui drammi e problemi esistenziali scaturiti dalle conseguenze famigliari o sociali della lotta, come nelle parole di Luca, oppure dall’esperienza della violenza e del suo utilizzo per una giusta causa, come in quelle sul Rojava del Davide Grasso di diverso tempo fa.

Chi conosce la lotta valsusina e i suoi protagonisti, vedendo il documentario, ne rivedrà i volti, riascolterà le voci e i toni, ripercorrerà i sentieri della speranza e della battaglia. Chi non conosce direttamente tutto ciò potrà trarne un utile insegnamento oppure una visione della stessa al di fuori della narrazione mainstream e nemica oppure soltanto ideologica.

Le riprese del documentario La scelta2 sono iniziate nel 2012, successivamente all’apertura del cantiere a Chiomonte (2011) e come affermano gli autori e produttori, Carlo A. Bachschmidt, Stefano Barabino, Michele Ruvioli:

È possibile essere militanti, fare politica, senza riprodurre nella lotta quegli stessi meccanismi ai quali ci si oppone? In questi dieci anni di lavorazione del film abbiamo vissuto nel movimento No Tav in una forte consonanza ideale con esso. Che cosa permette a questo movimento di continuare ad esistere nonostante la repressione di Stato nelle sue molteplici forme? Il film fa emergere una soggettività che dà senso a cosa significhi fare politica. […] Siamo stati abituati a delegare ad altri le scelte di fondo delle nostre vite. Raccontare la lotta No Tav per noi ha significato capovolgere questo assunto, partire dalle responsabilità che ciascun individuo assume verso se stesso.

Da qui la scelta del titolo, che rinvia a ciò che afferma Nicoletta Dosio i proposito:

La scelta: vivere significa scegliere. Questo film documenta con grande efficacia la forza e la dolcezza di una scelta individuale e, insieme, collettiva; la storia di un territorio che, per amore e dignità, ha deciso di opporsi alla grande mala opera e, insieme, al sistema che di oppressione e devastazione vive. La lotta contro il TAV è stata fin da subito punto di arrivo e, insieme, punto di partenza di storie, idee, esperienze diverse; le sue radici si sono ramificate ed hanno dato frutti di utopie concrete. […] Momenti che riemergono dal passato e ci riportano i boschi, i sentieri, le acque, le rocce di un paradiso perduto, sventrato dalle trivelle e dalle ruspe, trasformato in deserto di ferro e cemento. Un’opera bella e commovente, frutto dell’impegno lungo, attento e coraggioso di chi, tramite la cinepresa, ha scelto da che parte stare.

Carlo A. Bachschmidt è un documentarista nato a Genova nel 1965. In occasione del G8 del 2001 diviene responsabile della segreteria organizzativa del Genova Social Forum, il coordinamento delle organizzazioni no profit che espressero il proprio dissenso nei confronti del vertice. Nel 2002 viene nominato consulente tecnico di parte (CTP) dagli avvocati impegnati nei processi per la ricostruzione attraverso l’analisi della documentazione video-fotografica delle violenze verificatesi nei giorni del G8. Ha presentato presso i tribunali di Genova, Torino e Milano 24 consulenze tecniche che sono state acquisite agli atti dei processi e svolge tuttora tale professione. Tra il 2003 ed il 2009 realizza video indipendenti e nel 2011 scrive e dirige il documentario Black Block (menzione speciale alla sezione Controcampo della 68ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia) e lo spettacolo teatrale I giorni di Genova nell’ambito del Festival di Internazionale a Ferrara.

La sua esperienza si è dimostrata utilissima per testimoniare la guerra che lo Stato ha condotto contro i movimenti, dal 2001 ad oggi, e la Resistenza che questi, soprattutto in valle, hanno saputo opporgli, motivo per cui a lui e ai suoi collaboratori va il più sentito ringraziamento di chi scrive.

N. B.
Per richiedere una proiezione: lascelta.ilfilm@gmail.com

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  1. Ridotti, significativamente, ad uno solo dal GIP  
  2. Presentato in anteprima nazionale il 26 novembre 2022 al Torino Film Festival  

Sandro Moiso

4/12/2022 https://www.carmillaonline.com

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