La sanità dimenticata nella Legge di bilancio

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Lo Stato è diventato «il primo cliente della sanità privata: il SSN acquista infatti il 60 per cento delle sue prestazioni, per un valore di 41 miliardi di euro».
Ma questa riflessione non ci impedisce di sottolineare che nel «decennio 2010-2019 tra tagli e definanziamenti al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi e il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato di soli € 8,8 miliardi».

Il declino del SSN è iniziato con la svolta neoliberista quella decisa soprattutto dal PDS (poi DS e quindi PD) nel ’99 (senza più la presenza nel governo di Rifondazione Comunista che la impediva. NdR) con la ministra Bindi è confermata nonostante la pandemia come una scelta politica incontrovertibile.

Il SSN era fondato sui principi di universalismo ed equità. Tuttavia, tra la riorganizzazione e il risanamento dopo la crisi del 2008, il SSN ha subito un evidente contraccolpo, soprattutto in termini di dotazione strutturale e di personale. Quest’ultimo, in particolare, dal 2009 al 2017 ha subito una riduzione costante, pari al 5,2% annuo (Ragioneria Generale dello Stato, 2019). Nel 2005, il 15,9% dei medici di medicina generale superava la soglia massima consentita di 1.500 assistiti, che nel 2018 si attestava al 34% (ISTAT, BES 2020).

Ma ci sono anche altri fattori da considerare. Si è assistito ad una fuga progressiva del personale dal sistema pubblico a quello privato, è cresciuto il ricorso ai contratti a tempo determinato e alle consulenze (Corte dei conti, 2019), e le assunzioni a tempo indeterminato non sono state sbloccate, tanto che alla fine del 2018 il personale era inferiore a quello del 2012 (Corte dei Conti, 2022). Non stupisce, quindi, che il SSN si dimostri sempre meno attrattivo (La Colla, 2019), e infatti si stima che almeno 1000 medici all’anno lascino il paese (Sumai, 2019). Tirando le somme, si prevede che tra due anni vi saranno complessivamente quarantamila medici in meno (Anaoo Assomed, 2022).

Domandarsi le ragioni dell’attuale dissesto comporta un lungo e retrospettivo stato d’accusa, (che coinvolge la totalità delle maggiori forze politiche. NdR). L’arringa potrebbe inziare dalla mancata programmazione pluriennale tra posti in medicina e borse di specializzazione da calibrare in base alle uscite e ai reali fabbisogni, sostituito ora da fantasiose ipotesi di accesso indiscriminato; il mantenimento di un tetto di spesa per il personale, in atto da oltre 15 anni; il mancato cambiamento del rapporto con i medici di famiglia, per seguire pedissequamente le istanze del loro sindacato maggioritario; la riduzione continua dei finanziamenti alla sanità; la mancata creazione di un’azienda pubblica, a livello nazionale ed europeo, per la produzione dei farmaci e vaccini; il ridotto finanziamento alla ricerca.

C’è chi spera nel PNRR senza capire è di fatto l’esatta proiezione ortogonale del progetto contro-riformatore della Bindi, ma nello stesso tempo è indubbiamente una sua espansione e estensione, si pensi al ruolo quasi surrogatorio previsto per il terzo settore, si pensi alle condizioni favorevoli create per privatizzare l’assistenza di base, si pensi che solo la riconferma dell’ospedale minimo (DM 70) di fatto diventa il più formidabile incentivo per ricorrere alla spedalità privata. E’ elementare dedurre che per attuare il PNRR di dovrà ricorrere al privato appaltando la maggior parte delle cose a cooperative terzo settore, fondi vari ecc.

Da quando la Bindi ((forse inconsapevole NdR) nel ‘99 ha ammesso tra le prestazioni da erogare privativamente anche quelle già previste nei lea la sanità cosiddetta integrativa di fatto è diventata totalmente sostitutiva. Quindi in competizione con il pubblico. Ora esaminiamo sinteticamente la Legge di Bilancio di questo governo.

Sulla legge di bilancio 2023 il giudizio è di un finanziamento inadeguato e di una scarsa consapevolezza della gravità dei problemi. Per preservare il suo potere d’acquisto il finanziamento per il 2023 dovrebbe essere di almeno 130,6 miliardi, +1,2 miliardi rispetto a quelli stanziati. Inoltre la legge di bilancio 2023 non ha affrontato i più gravi problemi della sanità: rimuovere il tetto di spesa del personale per poter assumere soprattutto infermieri, intervenire presto sul disagio dei medici e dei dipendenti del SSN, definire il nuovo elenco delle prestazioni essenziali, ridurre le liste d’attesa, definire e sottoscrivere con le regioni il nuovo Patto per la salute 2022-24.

Per via del Patto di stabilità (L 191/09), le assunzioni di personale sono state bloccate dal 2010 al livello di spesa del 2004 meno l’1,4%, con la conseguenza che tra il 2009 e il 2018 si sono perse 45 mila unità di personale (di cui 7 mila medici e 35 mila tra infermieri e altri sanitari). Il divieto è stato mitigato nel 2019 e nel 2020-21 si sono fatte 17.000 assunzioni in deroga, per l’emergenza Covid (con pochissime stabilizzazioni realmente, avvenute solo su pressioni sindcali come in Piemonte. NdR) ma il blocco (o meglio, il tetto di spesa) è tuttora in vigore.

Quelli che nei giorni della pandemia erano acclamati come angeli o eroi attendono ancora il rinnovo del contratto nazionale o della convenzione per la medicina di base. Ad aggravare il quadro, circolano previsioni allarmanti su una prossima carenza medici e di infermieri. Le liste d’attesa per visite e esami sono sempre più lunghe. Nel 2020 si erano persi 1,3 milioni di ricoveri e 19 milioni di visite specialistiche. Pazienti sempre più rivendicativi, spesso non vaccinati contro il Covid o l’influenza, sovraccaricano i PS, arrivando ad aggredire il personale sanitario per i ritardi nei Pronto Soccorso e le lunghe attese per i ricoveri.

Le risorse aggiuntive per il 2023 sono pari a 2.800 milioni (commi 535 e 536) e sono finanziate a debito, anche nel prossimo biennio, come indicato nel Prospetto riepilogativo del disegno di legge (pag. 381 e segg.). Le altre misure non prevedono nuove risorse, perché sono “a valere” sul Fondo sanitario (nel gergo burocratico: sul “finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato”) e figurano tra parentesi in tavola 1. Da ultimo occorre ricordare che la legge di bilancio 2022 aveva aggiunto 200 milioni per il fondo farmaci innovativi e 319 milioni per le borse di formazione specifica in medicina generale (tav. 1). In conclusione, il FSN per il 2023 ammonta a 129.380 milioni di euro (+ 3.400 milioni), ma esclusi i finanziamenti “a valere” e quelli con finalità particolari (es. borse di studio), il finanziamento ordinario si riduce a 127.666 milioni (penultima riga di tav. 1). Saranno sufficienti?

È palese che le risorse stanziate non sono sufficienti a preservare il potere d’acquisto del SSN. Il deflatore del Pil, previsto dalla NADEF per il 2023, è infatti del 4,2% e quello dei consumi del 5,9% (pag. 9), mentre il tasso di inflazione registrato dall’Istat a dicembre è del 4,1%, al netto dei prodotti energetici. In termini assoluti e pro-capite si verificherebbe dunque una variazione negativa della capacità di spesa.

Finanziamento e spesa del SSN. Anni 2019-25 (milioni di euro)

                2019     2020     2021     2022     2023     2024     2025
Finanziamto SSN 114.474  121.957  122.060  125.980  129.380  131.658  132.036
Incidenza % Pil	6,4	 7,3	  6,8	   6,6	    6,5	     6,3      5,9
Spesa  (NADEF)	127.834	 133.998  131.724  128.708  129.428
Variaz.Pil reale 3,7	  0,3	    1,8	     1,5
Variazione deflatore Pil (NADEF)	  
                 3,0	  4,2	    2,5	     2,0
Popolazione (al 31.12) Istat 	                     
              59.641,5  59.236,2  59.030,1 58.841,7  58.653,2 58.464,7 58.276,3
Finanziamento pro-capite (euro)	  
                2.068	 2.141    2.206    2.252     2.266
Fonte: NADEF di novembre, Istat

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