La sanità nella legge di bilancio. La strategia del nulla

sanità crepata

Il disegno di legge di bilancio per il 2018, ora in discussione in Parlamento, dà attuazione alle indicazioni già anticipate nella Nota di aggiornamento del DEF (Documento Economia e Finanza) di fine settembre: la scelta del Governo è quella di rallentare il percorso di miglioramento del saldo strutturale e di rientro del debito allo scopo di privilegiare lo stimolo alla crescita e all’occupazione. Una scelta che richiederà un attento monitoraggio nel prossimo futuro, anche perché, come sostiene l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (organismo indipendente con il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni del Governo e assicurare l’affidabilità dei conti pubblici), «il quadro di finanza pubblica evidenzia una programmazione di “corto respiro” che inficia la trasparenza dei conti pubblici nonché la prevedibilità del quadro macroeconomico»[1]. Per il 2018, la manovra è di 22,5 miliardi. L’intervento più rilevante riguarda il rinvio delle clausole di salvaguardia: 15,8 miliardi sono impegnati per evitare il previsto aumento dell’Iva e delle accise, anche se la misura è solo rinviata al prossimo anno. Le risorse rimanenti (6,7 miliardi) sono distribuite su un numero elevato di interventi e settori, rafforzando per lo più le scelte assunte nel recente passato.

Il ddl non interviene sulla sanità, una scelta che potrebbe essere considerata una buona notizia (non sono previsti ulteriori tagli) ma è in realtà una cattiva notizia (perché lascia irrisolti tutti i nodi). Si interviene solo su alcuni aspetti (pur importanti) di aggiustamento di malfunzionamenti sulla farmaceutica (payback degli ultimi 4 anni) e si prevedono piccoli interventi a favore di singoli enti o agenzie.

Manca una visione d’insieme. Mancano segnali di attenzione a temi strategici per il rilancio del sistema, come il personale e gli investimenti. Nulla si dice sul finanziamento del Ssn, che resta fermo a quanto previsto un anno fa, nonostante la ripresa economica (di cui la sanità non beneficia) e nonostante l’impegno formalmente assunto dal Governo in Parlamento a invertire la rotta. Solo 6 mesi fa infatti, in occasione dell’approvazione del DEF, il Governo si era impegnato a prevedere “interventi volti ad allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto al Pil a quella media europea”[2]. E invece, il ddl di Bilancio non solo non prevede alcun riallineamento ma va esattamente nella direzione opposta. Una scelta imbarazzante e mai seriamente argomentata dal Governo, anche perché difficilmente giustificabile. Non solo. Il ddl non fissa neppure il finanziamento per l’anno 2020 (ultimo anno del triennio di Bilancio), quasi che il Governo avesse timore a pronunciarsi su un tema caldo.

Per il 2018 il finanziamento è pari a 114 miliardi di euro, 1 mld in più rispetto al 2017. L’aumento di 1 miliardo è sbandierato dal Governo come segno di attenzione alla sanità, ma si tratta di una cifra inferiore alle maggiori spese già imposte alle regioni: il rinnovo dei contratti e delle convenzioni è stimato valere circa 1,3 miliardi, cui si aggiunge il taglio di 604 milioni per coprire il gran rifiuto delle regioni a statuto speciale a partecipare al risanamento della finanza pubblica. Restano inoltre da quantificare i mancati introiti per le procedure transattive sul pay back farmaceutico a causa del contenzioso in atto. La strategia è quindi chiara: i tagli o i maggiori oneri sono decisi fuori dalla manovra di Bilancio, cosicché la manovra può essere dichiarata priva di tagli. E così continua il processo di erosione delle risorse messe a disposizione del Ssn.

Per la verità, le regioni a statuto ordinario dovranno affrontare anche altre restrizioni: dovranno infatti garantire un concorso alla riduzione del debito di 2,2 miliardi e una riduzione delle spese per 300 milioni (che potrebbe, fra l’altro, interessare il Fondo per la non autosufficienza e il Fondo per le politiche sociali[3]). Misure che non dovrebbero, in teoria, riguardare il comparto sanità ma che sono certamente difficili da realizzare in regioni con bilanci ormai estremamente rigidi, dopo anni dispending.

La tabella seguente riporta la sequenza di restrizioni imposte al finanziamento del Ssn nel corso degli anni (in grassetto le disponibilità finali).

Finanziamento cui concorre lo Stato per il fabbisogno del SSN
2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
PATTO SALUTE 2014-2016     109.928     112.062     115.444
DL 78/2015     109.715     113.097
L 208/2015 e Intesa 11.2.2016     111.000     113.063     114.998
L 232/2016 c.392     113.000     114.000     115.000 nd
Contributo RSO x RSS            423            604            604

Un approfondimento a sé merita il contributo imposto alla sanità a causa della mancata partecipazione delle regioni a statuto speciale (RSS) al risanamento della finanza pubblica (ultima riga della tabella). Nella manovra per il 2016 erano annunciati tagli che: a) per la quota a carico delle regioni a statuto ordinario (RSO) sono stati scontati sul finanziamento complessivo per la sanità, mentre b) per la quota a carico delle RSS sono stati rinviati alla sottoscrizione di accordi bilaterali fra lo Stato e le singole RSS. Nel timore che tali accordi non andassero a buon fine, il Governo si è cautelato con una clausola di salvaguardia che prevede, in caso di mancato accordo, la riduzione del finanziamento per il Ssn delle RSO. Così è stabilito infatti nell’intesa sottoscritta, in gran silenzio, in Conferenza Stato Regioni l’11 febbraio del 2016[4]. E poiché gli accordi non sono mai stati sottoscritti, lo Stato riduce il finanziamento per il Ssn di 423 milioni nel 2017 e di 604 mln a decorrere dal 2018. Una vicenda paradossale che mostra la debolezza di una strategia che rinvia le manovre ad accordi (quasi) impossibili e scarica sulla sanità gli eventuali insuccessi. Una vicenda ignota ai più, e verosimilmente poco chiara persino alle RSO che hanno peraltro accettato la decurtazione a causa del rifiuto delle RSS[5].

Il ddl di Bilancio per il 2018 non dice nulla neanche sul personale, sul quale gravano vincoli e regole che pregiudicano in molte parti del Paese il buon funzionamento dei servizi. Bastano pochi numeri per mostrare come la situazione sia prossima al collasso. Dal 2010 al 2016, la spesa per il personale dipendente del Ssn si è ridotta di 2,3 miliardi di euro[6]. Nel 2015 risultavano impiegate nel Ssn oltre 35 mila persone in meno rispetto al 2009, un impoverimento che supera del 50% quello registrato nel resto della PA[7]. Nei prossimi 10 anni, la sanità pubblica perderà in media 2 medici al giorno, tra pensionamenti, blocco del turnover, imbuto formativo e vincoli di bilancio, senza che la loro esperienza possa essere trasmessa alle nuove generazioni di professionisti. Nei prossimi 6 anni andranno in pensione 21.700 medici di famiglia, a fronte di circa 6.000 nuovi medici che usciranno dai Corsi di Formazione Specifica in Medicina Generale. Per gli infermieri si stima che, per rispettare le direttive europee sui turni di lavoro, manchino circa 15 mila unità. L’età media degli infermieri dipendenti è di 48 anni mentre quella dei medici in servizio è intorno ai 54 anni. Una situazione che non può continuare ad essere ignorata. Eppure nessun ascolto è stato posto alle richieste di allentamento dei vincoli alla spesa per il personale (pur nel rispetto degli equilibri di bilancio); le stesse regioni si sono limitate a proporre emendamenti che non incidono sulle cause del problema. Perché? Un settore ad alta intensità di lavoro non può continuare a trascurare il lavoro, il principale fattore produttivo. Ancora una volta non si può che denunciare il diffuso disimpegno di tutti i livelli di governo sulle politiche per il personale del Servizio sanitario nazionale.

Al disimpegno nei confronti del personale dedicato all’assistenza si contrappone l’attenzione del Governo al personale degli enti centrali. Numerosi sono gli interventi adottati in questi anni: aumento dei dipendenti del Ministero della salute di 20 unità (l. 119/2017), assunzione di 100 unità di personale all’Agenas (emendamento approvato al ddl di Bilancio 2018), assunzioni di 240 persone all’Aifa (l. 125/2015), sblocco delle assunzioni per 230 precari dell’ISS (l. 19/2017). Si tratta di provvedimenti in gran parte indispensabili, ma non certo meno indispensabili di quelli che potrebbero essere adottati, anche a parità di spesa, a favore del personale che quotidianamente accoglie e presta assistenza a milioni di cittadini.

Altrettanto deludente è la questione ticket, rispetto alla quale il Governo avrebbe dovuto proporre una revisione entro il 2014[8], ma nulla è stato fatto. Come noto i ticket necessitano di un intervento complessivo a correzione delle iniquità e delle inefficienze da più parti denunciate. E in attesa della loro revisione, sarebbe quantomeno necessario intervenire sul superticket, che ostacola l’accesso ai servizi pubblici e consegna al mercato privato interi settori della diagnostica[9]. L’emendamento approvato dopo lungo dibattito in Senato non è che un piccolo palliativo. Non abolisce il superticket. Strizzando l’occhio a un possibile alleato in campagna elettorale, il Governo si limita a mettere a disposizione delle regioni un fondo di 60 milioni (l’ennesimo fondo vincolato!) per la riduzione della quota fissa sulla ricetta a favore di “specifiche categorie di soggetti vulnerabili”. Non ci sono criteri per evitare ulteriori differenze fra regioni e fra cittadini, né per prevenire ulteriori complicazioni. E soprattutto non ci sono risorse per coprire gli altri 500 milioni circa che continuano a gravare sugli assistiti, a dispetto delle proposte di copertura presentate più volte in Parlamento. Se ci fosse stata veramente l’intenzione di eliminare il superticket, si poteva almeno prevedere un percorso per la sua completa abolizione in un 2-3 anni. Invece il fondo resta fermo a 60 milioni.

Fra le misure previste nel ddl, meritano infine attenzione quelle relative al funzionamento dei meccanismi per il ripiano dello sforamento del tetto della spesa farmaceutica, pay back. Si tratta di misure volte a chiudere una lunga storia di contenziosi, insorti tra le aziende farmaceutiche e l’Aifa per i ripiani degli anni 2013, 2014 e 2015, rispetto ai quali il livello centrale rischia di soccombere in giudizio o è già stato oggetto di pronunciamenti sfavorevoli. Una brutta storia di errori e inadeguatezze che rischia di ricadere sulle regioni, posto che verranno meno entrate da pay back per qualche centinaio di milioni (la cifra esatta è difficilmente quantificabile). Anche in questo caso si osserva la difficoltà del Governo a rivedere complessivamente la partita della spesa farmaceutica e della governance dell’Aifa, già prevista dalla normativa, mentre si interviene solo per mettere delle toppe al contenzioso in corso.

Concludendo, una legge di bilancio che per la tutela della salute non interviene in modo strategico e innovativo, come peraltro sarebbe necessario. E le modifiche che saranno introdotte nel corso del dibattito parlamentare non potranno che rispondere a piccole esigenze di tacitazione di richieste di singoli parlamentari (o gruppi di parlamentari). Ma ormai è chiaro che il silenzio del Governo sulla sanità pubblica non è attribuibile alla carenza di risorse (le risorse, per quanto scarse, ci sono; sono solo allocate altrove!), ma funzionale ad una strategia di depotenziamento strisciante del servizio sanitario nazionale.

Nerina Dirindin

Economista, Senatrice, Membro della Commissione Sanità.

4/11/2017 www.saluteinternazionale.info

Bibliografia

  1. UPB. Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito delle audizioni preliminari all’esame della legge di bilancio per il triennio 2018-2020. [PDF: 628 Kb]
    Commissioni congiunte 5 a del Senato della Repubblica (Bilancio) e V della Camera dei deputati
    (Bilancio, Tesoro e Programmazione)
  2. Risoluzione DEF 2017 approvata il 26 aprile 2017 (punto 15). [PDF: 40 Kb]
  3. Conferenza delle Regioni e Province autonome. Audizione sulla Legge di Bilancio 2018, Roma, 7 novembre 2017 [PDF: 1,7 Mb].
  4. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Disposizioni per la formazione dle bilancio annuale e pruriennale dello stato (legge di stabilità 2016) [PDF: 840 Kb]
  5. Il rifiuto delle RSS trae origine dai ricorsi alla Legge di Stabilità per il 2016 di Valle d’Aosta, Sicilia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia (le ultime due hanno anche impugnato la Legge di Bilancio 2017), sulla base di diverse sentenze della Corte costituzionale (Caruso, La sanità, in Arachi e Baldini, La finanza pubblica italiana, Rapporto 2017, Bologna, Il Mulino).
  6. MEF, DRGS. Il monitoraggio della spesa sanitaria. Rapporto n. 4, 2017.
  7. MEF, DRGS. Commento ai principali dati del Conto Annuale del periodo 2007-2015, 2017.
  8. Patto per la Salute per gli anni 2014-2016, articolo 8. [PDF: 2,6 Mb]
  9. Sia consentito il rinvio a un mio articolo del 2011 che anticipava gli effetti del superticket: Dirindin, Un ticket che porta alla sanità privata. Lavoce.info, 19.07.11

Nerina Dirindin

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