La scuola dell’educazione parentale

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Negli ultimi anni di scuola si parla molto, forse anche troppo. Durante la pandemia c’è stato un fiorire di proposte per rinnovare la scuola italiana, sempre denigrata. Sull’onda della necessità imposta dalla situazione, si sono prodotti fiumi di parole sulla didattica a distanza, sull’educazione all’aperto, le città educanti, la scuola nelle piazze ecc. Una furia innovativa un po’ disordinata e forse anche poco ragionata, che finisce per dare risposte semplici a problemi complessi.

La diffusione dell’educazione parentale o homeschooling è aumentata durante il covid, ma spesso è anche frutto di una valutazione negativa del sistema scolastico. La Costituzione vincola i genitori a provvedere all’educazione ed all’istruzione dei figli, consentendo però anche forme di assolvimento di quest’obbligo al di fuori della scuola,a determinate condizioni. In sostanza, l’antico precettore può essere sostituito dal genitore stesso, qualora ne abbia le competenze o da insegnanti privati; in alcuni casi le famiglie possono riunirsi e dare vita a piccoli gruppi di studio per i rampolli, sottoposti poi ad esame presso le scuole pubbliche per certificare l’avvenuta istruzione. Nell’anno scolastico 2020/2021 il numero di studenti in istruzione parentale risultano essere 15.361 in Italia, triplicati rispetto a due anni precedenti. Ovviamente si tratta prevalentemente di alunni dei primi gradi di istruzione.

Questa opportunità , utilizzata in passato principalmente per ragioni di salute che potrebbero rendere impossibile la regolare frequenza scolastica, o per motivi connessi a frequenti spostamenti e/ o permanenze all’estero dei nuclei familiari, o per particolari esigenze personali dello studente, come la pratica sportiva agonistica ad esempio è oggi una scelta che ha anche motivazioni molto diverse. In alcuni casi è una scelta organizzativa che può lasciare maggiore autonomia alle famiglie; a volte risponde invece ad una scarsa fiducia nell’efficacia e validità dell’istruzione scolastica, oppure a una preoccupazione eccessiva per la dimensione sociale, nella convinzione di poter garantire ai figli protezione da bullismo e contagio sociale. In alcuni casi la famiglia ritiene di pote offrire condizioni migliori, esercitando controllo diretto su modi, tempi e valori dell’educazione e dell’istruzione dei propri figli. Creare un ambiente “ sicuro” tra le mura domestiche consente di evitare il confronto con visioni diverse della società, di preservare i piccoli eredi da pericolose contaminazioni. Spesso è il giudizio negativo sulla preparazione culturale offerta dalla scuola pubblica,che, se non può essere sostituita dalla privata, può trovare un ripiego nel diretto controllo genitoriale. Nel caso della pandemia, la scelta spesso era motivata dalla volontà di disattendere le disposizioni sanitarie imposte dallo Stato.

Si può definire la scelta dell’educazione parentale, quando non è obbligata da condizioni particolari, una soluzione individuale ad un problema collettivo. Una società evoluta, al contrario, ed è anche quello che vorrebbe la nostra Costituzione, dovrebbe tendere ad assicurare eguali possibilità a tutti, proprio attraverso la scuola. Occuparsi di scuola è prioritario ma complicato, non esistono ricette facili o tocchi di bacchetta magica.

Nelle ultime settimane è comparso il ricorrente spettro della scuola finlandese . Non è una novità, ogni tanto arriva qui il vento del Nord a farci sentire inadeguati. Stavolta si è trattato della bocciatura di una scuola siciliana da parte di una mamma finlandese. Bello il clima, ottima la cucina, ma per far studiare i figli preferisce la madre patria. La stroncatura della mamma finlandese, esplicitata da una lettera aperta ha innescato una valanga di commenti, articoli e discussioni: reazioni stizzite tipo “ tornatene a casa tua, al freddo “ ed altre autoflagellanti, di chi, forse con un velo di compiacimento, vede confermato il proprio giudizio negativo sulla scuola italiana. La terza via , più razionale, meno praticata è quella di una presa d’atto delle critiche nella consapevolezza delle grandi difficoltà della scuola italiana. Oltre a mantenere il necessario distacco emotivo, converrebbe approfondire la conoscenza e quindi la valutazione del nostro sistema scolastico, che, come ogni altro, è frutto di ben precise (e, nel nostro caso, sciagurate, scelte politiche), ed è strettamente interdipendente dall’organizzazione sociale. Vaneggiare l’importazione, la riproduzione del modello finlandese, spesso senza neanche conoscerlo, non porta alcun contributo al miglioramento della nostra scuola. Anzi, esiste un considerevole rischio di introdurre elementi sconnessi da un impianto generale che potrebbero pure peggiorare la situazione.

Tra il nostro paese e la Finlandia esistono differenze enormi, di storia, cultura, tradizioni, ambiente fisico e popolazione: la Finlandia conta 5 milioni 615 mila abitanti, con un’età media di 42 anni. Noi siamo quasi 59 milioni , età media 46 anni. Molto diversa è anche l’età degli insegnanti, in Italia tra i meno giovani d’Europa. Ma quali sono le principali caratteristiche del sistema scolastico finlandese ?

Da un reportage di “Tuttoscuola” apprendiamo che in Finlandia l’obbligo scolastico va dai 7 ai 16 anni, dopo i 16 anni si può scegliere tra liceo o scuola professionali a cui seguono università e scuole universitarie professionali. Non esistono scuole private! E, sembra, nemmeno scuole per ricchi e scuole per poveri. Le scuole, tutte, tendono all’inclusione, a programmazioni personalizzate in ambienti altamente attrezzati e stimolanti, con una didattica orientata all’apprendimento cooperativo e a forme di valutazione NON standardizzate ma personalizzate, cioè basate sul principio di sviluppare il massimo delle potenzialità individuali. Una scuola semplice, concreta, a misura di studente, con ottime relazioni scuola-famiglia, un corpo docente giovane e motivato, un clima sereno e non burocratico sia tra colleghi che con i dirigenti.
Insomma, una scuola che pare in effetti ricca di qualità.

Il confronto con la scuola italiana, per certi versi è impossibile. Le profonde differenze tra i due paesi, la complessità e la gravità dei problemi che affliggono il nostro sistema scolastico non possono essere risolti con qualche innesto metodologico. Le nostre scuole spesso sono da ristrutturare e comunque hanno spazi insufficienti o inadatti a certe impostazioni didattiche. Gli insegnanti sono diversamente giovani o eternamente precari e spesso entrambe le cose. Negli ultimi anni la scuola pubblica è stata deliberatamente abbandonata, appesantita di burocrazia, trasformata in azienda, con dirigenti che devono soprattutto ottenere risultati e contenere costi, rispettare standard.

La scuola è sempre meno pubblica, con partecipazioni di enti e fondazioni private che propongono progetti, oppure intermediaria per la distribuzione di fondi a specifici settori. Si attacca in molti modi la libertà di insegnamento, si cancellano materie e programmi, in virtù di una innovazione che in realtà produce solo deprivazione culturale.

Le sofferenze della scuola italiana sono tante e tali che pare davvero ridicolo guardare a una importazione di metodi e sistemi genericamente “ rivoluzionari”. O peggio, cercare di convincere che la soluzione ai problemi della scuola italiana siano i principi di flessibilità ed autonomia che hanno ispirato le peggiori e più recenti riforme, in particolare la legge 107, presentandole come opportunità di miglioramento per trasformare la” vecchia e rigida scuola italiana” in una versione mediterranea del magico mondo nordico.

Loretta Deluca

Insegnante. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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