LA SCUOLA NON E’ UN’AZIENDA!

Il virus coronato è solo un pretesto per altri scopi, poiché gran parte degli edifici scolastici non sono a norma e risultano rischiosi e pericolosi da decenni. Emergenza infinita. Didattica telematica: non istruire, ma intrattenere, pilotare al ribasso il sapere per tutti, in palese violazione dei dettami costituzionali. Risultato: analfabetismo funzionale, previsto, pianificato e voluto dai politicanti eterodiretti che albergano nelle stanze istituzionali, per conto terzi.

Quali limiti didattici ha fatto emergere la didattica a distanza? Etica e pedagogia non pervenute. Al netto di inglesismi invasivi ed acronimi conseguenti, più che un’opzione pedagogica è una risposta non regolamentata all’emergenza, ma imposta… Insegnanti e alunni hanno fatto esperienza: insegnare e imparare a distanza è più difficile, meno efficiente e meno efficace che in presenza.

Quali sono le implicazioni didattiche di questo modo di insegnare e gli impatti sull’apprendimento e sullo stato emotivo degli studenti?
Ci si è assuefatti allo stato perenne di emergenza e precarietà?
La connessione non può sostituire la relazione umana: la “diversa presenza”, quella ricreata attraverso il digitale, è, appunto, “diversa”; la presenza digitale è un succedaneo della presenza biologica.

Superato il cosiddetto “momento critico”, decisamente amplificato dai mass media sulla base di distorte informazioni politiche e tecniche, tale modalità didattica deve essere abbandonata per ritornare alla scuola in presenza. Governanti e politicanti considerano la didattica a distanza, addirittura strumento ordinario e non solo mezzo di emergenza.

Purtroppo, se non ci sarà una ribellione critica e costruttiva, la didattica a distanza non sembra destinata a scomparire dai nostri orizzonti tanto presto, e non perché l’emergenza sanitaria continuerà ancora a lungo, ma per ragioni economiche e diseducative, al fine di perseguire una precisa visione di scuola al ribasso. Tale prospettiva eugenetica presente – fin da subito- è emersa nel giorno in cui la Ministra dell’Istruzione ha annunciato l’avvio della didattica dell’emergenza, addirittura affermando che “abbiamo davanti un grande opportunità per innovare la scuola”, puntando sul digitale per insediare la “didattica”, o meglio, la modalità elettronica di contatto tra insegnanti e studenti.

La natura politica della didattica a distanza si sta disvelando in tutta la sua terrificante pericolosità nel discorso istituzionale sul rientro procrastinato a scuola, quando si scopre che il ritorno non è poi così agevole per carenze infrastrutturali: le classi sono numerose, le aule sono piccole. Dovendo ridurre il numero di studenti per classe, si scopre che aule sufficienti a raccogliere la classe smembrata non ci sono e che anche gli insegnanti per gestire i piccoli gruppi non sono presenti all’appello.

Grazie all’emergenza, sono di dominio pubblico i danni prodotti dagli enormi tagli statali effettuati negli ultimi anni nella scuola pubblica (miseri finanziamenti, accorpamenti e chiusura di plessi scolastici) a cui sono state sottratte dai governi tricolori, risorse economiche destinate alle spese militari. Conseguenza: dotazione logistica precaria e inadeguata, pochi insegnanti e classi-pollaio che

caratterizzano la scuola attuale, impoverita di tutto. La natura politica della didattica a distanza è visibile anche da come si sta affrontando la questione del rientro a scuola: ogni ipotesi è in linea con il mantra di questi anni. Ecco, quindi, la didattica-spezzatino, la classe frantumata. Non viene riconosciuta l’esistenza di una “emergenza educativa” come si è riconosciuto per l’emergenza sanitaria.

Per la scuola nulla di tutto questo, solo la malsana idea della Ministra di far partecipare metà classe in presenza e l’altra metà a seguire in collegamento video da casa. In concreto, gli investimenti economici per risanare le scuole, sono stati soltanto annunciati o al massimo promessi, come nel passato. Ovviamente, sarebbero necessarie più aule e più insegnanti. Il miglioramento della qualità dell’apprendimento passa necessariamente attraverso il superamento delle classi con 28/32 studenti: solo con piccoli gruppi (12-14 studenti) è possibile che il docente curi adeguatamente la relazione con ciascuno studente, si accerti costantemente dei progressi che sta compiendo, attivi micro interventi di recupero o di personalizzazione, utilizzi le potenzialità della didattica tra pari.

Nelle classi affollate di adesso l’insegnante non può prendersi cura di ogni singolo studente ed è possibile solo una didattica standardizzata lasciando l’apprendimento alle risorse che ogni studente riesce a mettere in campo. La deleteria scelta politica, è evidente: il digitale come attività gestita fuori dalla scuola con l’intervento non di insegnanti, bensì di operatori del terzo settore. Siamo all’esternalizzazione dell’insegnamento (come nella sanità), siamo alle prime mosse della marginalizzazione progressiva della scuola come istituzione e come luogo di apprendimento, le “agenzie” formative e educative sono altre.

Con questo approccio non si tratta di fare più “scuola” ma di farne di meno e di scarsa qualità, sempre che la scuola debba istruire e non intrattenere le persone. Ecco, dunque, che la didattica a distanza sorta come risposta all’emergenza, ha spalancato le porte ad una trasformazione subdola dell’assetto scolastico dell’Italia, senza alcun dibattito parlamentare, ma per via burocratica, ossia amministrativa.

La direzione politica che il cambiamento della scuola sta prendendo è quella avviata con la così detta “buona scuola”: impoverimento dei curricoli culturali, professionalizzazione precoce, digitalizzazione pervasiva, abbassamento dei livelli d’istruzione in uscita, trasformazione del ruolo dell’insegnante sempre meno intellettuale e sempre più intrattenitore. Il tutto all’insegna di una innovazione di facciata, di una modernizzazione che preconizza un futuro ad immagine e somiglianza del presente, ormai preda della deriva autoritaria.

La scuola non è un’azienda telematica di intrattenimento, ma istruzione, conoscenza, relazione corporea, presenza e partecipazione. Mentre l’insegnante fa lezione osserva la classe e grazie a questo può regolare la propria comunicazione, la può ricalibrare quando si accorge che alcuni studenti non riescono a seguire.

Con la DAD viene meno. La cosiddetta lezione dialogata diviene difficoltosa, perché si tratta di una modalità che in presenza permette all’insegnante di cogliere indizi per individualizzare il dialogo che sta animando, osservando l’espressione dello studente (che può apparire perplessa o convinta), oltre che ascoltando le sue risposte. In base a questi indizi può dare sterzate diverse all’andamento del colloquio. Anche l’esperienza pratica nell’attività laboratoriale (che ha un valore cognitivo), l’insegnante non promuove solo l’apprendere facendo, ma stimola la discussione degli studenti sull’esperienza in atto, alimentando così un “conflitto socio-cognitivo” molto fecondo per la crescita intellettuale.

Insomma, sono tanti gli stimoli che vengono meno; la DAD non potrà mai sostituire la lezione in presenza. La fase attuale va superata il prima possibile.

Marilena Pallareti

Docente, Forlì

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Articolo pubblicato sul numero di maggio del mensile Lavoro e Salute www.blog-lavoroesalute.org

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