LA STORIA DI NATALIA

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Natalia (1)

Non è un cuore, perdio, è un sandalodi pelle di bufalo che cammina, incessantemente, cammina senzalacerarsi va avanti su sentieri pietrosi.Una barca passa davanti a VarnaOhilà,figli d’argento del Mar Nero!una barca scivola verso il Bosforo Nazim dolcemente carezza la barca e si bruciale mani ›” (2)

Quella di Natalia è una storia checonserva il mistero dei numeri, delle parole, degli elementi primordiali. Il caos, la forza, la tenerezza, il coraggio, il bisogno si intrecciano, generando conseguenze meditate da scelte umanee probabilità. Il mare di fronte a Varna, il mare di fronte al Cilento, la marea internazionale che da anni ha ripreso ad alzarsi nelle strade, nel quotidiano, attenta ai gesti, alle parole, alle condizioni non hanno spento il fuoco divampato al mattino di questo 8 marzo all’interno del luogo di lavoro di Natalia. Una villetta a Battipaglia, due ultraottantenni, una stufetta a gas, 24 ore di assistenza e cura. Il fuoco si combatte con il coraggio dell’acqua, lei porta via i due anziani, poi rientra per recuperare qualcosa. Non sappiamo, ma proviamo ad immaginare che sia qualcosa di necessario, qualcosa di prezioso per sé o per gli anziani. Resta intrappolata, probabilmente i fumi hanno saturato l’ambiente e addormentato i suoi sensi. Natalia non è più uscita da quella casa, ma il sole sorgeva illuminando i mandorli in fiore.

Natalia faceva parte di quel settore indefinito, quella schiera di lavoratrici senza un contratto chiaro e completo. Competenze acquisite sul campo, carichi di lavoro, ferie, permessi, riconoscimento della possibilità di ricevere formazione, integrazione del proprio ruolo in una qualche forma di servizio socio-sanitario domiciliare, tutele sanitarie, riconoscimento di rischi professionali, diritto allo sciopero!

Le “badanti, quelle non considerate durante la prima ondata della pandemia, quelle escluse ancora dalla campagna vaccinale. La marea inonda le strade, mentre l’occupazione femminile è in calo e la si “incentiva” come categoria speciale, come se fosse un peso. Numeri violenti, storie e parolev iolente. Una coperta è stata ilcatalizzatore del fuoco, ma non possiamo nascondere con una coperta l’impossibilità per molt* di parlare, di raccontarsi, di scendere in strada e cambiare la propria condizione, acquisendo la consapevolezza, la molla per ribaltare la realtà. Nelle grandi città la voce arriva forte dagli autoparlanti e riempie di cartelli e corpi gli spazi, ri-significandoli. Una lunga e paziente lotta che deve superare le barriere della distanza. Una voce che ha bisogno dilegami capillari, che arrivi in provincia, che apra le braccia a tutto il corpo che produce e riproduce. La possibilità di raccontarsi allontana l’avanzare del nulla, contribuisce alla costruzione di una società dove la vecchiaia non sia l’entrata in una casa di riposo o la delega del lavoro di cura a persone straniere, ma il ponte per collegare le due condizioni e creare una dimensione di dignità reciproca, dove il privato diventi dimensione sociale, senza solitudine e ostacoli economici, ripartizione dei pesi, delle responsabilità, dei carichi.

Il coraggio di Natalia è stato visto solo dopo il fuoco che l’ha portata via, infatti le intitoleranno un museo e le daranno la “cittadinanza onoraria alla memoria”. Il coraggio di Natalia l’avremmo dovuto vedere nel suo viaggio e in quello della sua famiglia, su un pulmino o su un’auto carica di pacchi, nella pazienza di imparare una lingua e addossarsi il peso della cura, come elemento lavorante-lavorativo o come elemento da interiorizzare ogni istante. Ogni attimo di vita in un lavoro che prevede la presenza costante in abitazione prevede il sovrapporsi dellapropria vita con il proprio lavoro. Ascoltare, vegliare, parlare, movimentare, saper farenell’eventualità iniezioni, medicare, pulire, lavare, cucinare e tutto ciò di cui l’assistito/a necessita.

Il suo ultimo gesto è stato la continuazione di una vita che, per sceltae necessità, è fatta di un coraggio invisibile agli occhi di chi non è mai sceso nella profondità del corpo sociale che muove la Storia. Non sappiamo se le parole mutino col mutare società, se è necessario rinominare le cose che abbiamo di fronte, conosciamo però la condizione di Natalia e il valore che questa società sta dando alla vecchiaia e abbiamo la responsabilità di difendere ciò che è giusto e avanzare verso il vero.

Dignità e cura dovranno racchiudere altre storie con finali diversi o senza finale alcuno.

1 www.avvenire.it/attualita/pagine/salva-gli-altri-non-se-stessa-il-sacrificio-di-una-badante 2 Non è un cuore – N. Hikmet – Varna, 1952

Renato Turturro

Tecnico della prevenzione

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di aprile del mensile

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