La strage annunciata dei bambini (69 milioni entro il 2030), la trincea della contraccezione della Chiesa Cattolica, la casta della FAO

Pope Francis arrives at the Sistine Chapel to have a family photo taken with Members of diplomatic corps accredited to the Holy See at the Vatican January 9, 2017.  REUTERS/Alberto Pizzoli/Pool

Come molte altre mostre fotografiche, anche quella che ho visitato al Palaexpo di Roma (le foto premiate nel 2017 dalla World Press Foto) ha fra i temi più ricorrenti e più drammatici le sofferenze e le morti di bambini nel mondo. Del resto, poche cose hanno commosso il mondo intero come due foto scattate nell’autunno del 2015: quella del bimbo siriano – Aylan, tre anni – morto sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, riverso sulla battigia con il viso accarezzato dall’acqua del mare, e quella del soldato che solleva il suo corpicino e lo porta via con delicatezza, quasi a sottrarlo alla vergogna del mondo.
Di recente, il rapporto annuale dell’UNICEF su “la condizione dell’infanzia nel mondo” ha lanciato un allarme agghiacciante: senza interventi organici e massicci, entro il 2030 (data conclusiva degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) 69 milioni di bambini sotto i 5 anni moriranno per cause prevalentemente prevenibili, 167 milioni di bambini vivranno in povertà, 750 milioni di donne verranno costrette al matrimonio da bambine e oltre 60 milioni di bambini in età da scuola primaria saranno esclusi dalla scuola.

Dinanzi a questo dramma indicibile, ognuno di noi prova indignazione per il sostanziale disinteresse delle grandi potenze e per l’impotenza delle organizzazioni internazionali e tutti vorremmo avere le formule per porre fine, o almeno ridurre drasticamente, questa strage degli innocenti.

E forse ognuno di noi può provare – oltre che con l’impegno individuale del volontariato e di qualche contributo economico – a mettere a fuoco qualcuna delle cause di questo orrore ed a suggerire soluzioni che in qualche misura, anche minima, valgano a salvare qualcuno di questi bimbi che potrebbero essere i nostri figli o i nostri nipoti.

Personalmente, provo a dare un contributo cercando di mettere a fuoco due temi che non sono certo nuovi ma che tuttavia meritano grande attenzione.

Il primo è la politica del “rientro dolce”: il calo della popolazione attraverso la riduzione volontaria della natalità. Ricordo che il primo a parlare di “rientro dolce” fu Marco Pannella nel 2001. Ed è un peccato che Pannella ed i Radicali abbiano poi concentrato le loro risorse, purtroppo perennemente scarse, più su altri obiettivi – per quanto importanti come la pena di morte – che su questo. Con la lodevole eccezione della instancabile Emma Bonino.

Non avendo proposte specifiche su altri aspetti di un problema così complesso, mi soffermo sull’atteggiamento della Religione Cattolica in materia di controllo delle nascite, con uno sguardo sulle altre religioni.

Le Chiese protestanti sono più progressiste in materia: in particolare, i Valdesi sono talmente a favore della contraccezione da aver intitolato una loro campagna del 2007 “Un pozzo per l’acqua, un profilattico contro l’AIDS”. La Chiesa Ortodossa non ha mai condannato l’uso di contraccettivi, riconoscendo piena libertà di coscienza in materia sessuale. L’induismo incoraggia alla contraccezione, anche per l’emergenza di una paurosa crescita demografica. Per l’Islam, che non ha posizioni ufficiali in materia, il sesso non ha solo finalità procreative ma anche di piacere (almeno per i maschi). Ed anche gli ebrei sono almeno tolleranti, specie se la contraccezione ha la funzione di preservare la salute delle donne sposate.
Dunque, solo la Chiesa Cattolica condanna in modo assoluto i metodi contraccettivi, ammettendo solo il ricorso ai metodi naturali come l’Ogino Knaus o il Billings.

Quella del Vaticano è una linea da cui nessun Pontefice si allontana. Penso a Giovanni Paolo II, che non ammetteva alcuna eccezione ed “imponeva” ai credenti di non nascondere mai in confessione di avervi fatto ricorso. Penso alla enciclica “Humanae vitae” con cui Paolo VI, nel 1968, ribadì la condanna del controllo delle nascite. E penso a Papa Bergoglio, che si è sempre richiamato, anche in occasione dell’importante Sinodo delle Famiglie, alle norme della “Humanae vitae”. Per Bergoglio il ricorso alla contraccezione è “inaccettabile anche in luoghi con alto tasso di natalità”. Egli cita una sola decisione in materia che sembra disposto a condividere: quella “del grande Paolo VI” che in alcune zone dell’Africa autorizzò le suore – soggette spesso a subire violenza sessuale – a ricorrere agli anticoncezionali.

Anche su questo tema così drammatico Bergoglio non resiste alla tentazione di dar prova del suo umorismo: “Io non dico che i cattolici si devono riprodurre come conigli. Ma possono chiedere ai loro parroci a quali metodi <naturali> ricorrere, evitando i contraccettivi” (umorismo per umorismo, ricordo che da bambino sentivo spesso i miei genitori che, parlando dei figli di amici con famiglie numerose, chiamavano gli ultimi arrivati “i figli di Ogino e Knaus”).

Naturalmente, sarebbe ipocritica fingere di non sapere che ormai da decenni questo divieto è ignorato da coppie di convinti credenti, che fanno regolarmente ricorso alla contraccezione e che non si sentono nemmeno obbligati a confessare quello che non riescono a considerare un peccato.
Ma è proprio questo l’aspetto che rende più odioso e incomprensibile questo divieto.

Attorno ai 16 anni, vivendo a Milano a due passi dalla Chiesa di San Carlo, ebbi modo di frequentare gli incontri con i giovani condotti da padre Davide Turoldo, una delle più belle figure di prete cattolico (oltre che notevole poeta): “coscienza inquieta della Chiesa”, che non a caso lo emarginò.

Turoldo considerava l’atto sessuale fra due persone che si amano un fatto positivo, anche se non legato al fine della procreazione. Una posizione che invece mi sentii negare nelle poche confessioni della mia vita da preti privi di ogni umanità e che contribuì fortemente a fare di me non solo un non credente ma anche un deciso anticlericale: perché negare il valore di amore all’atto sessuale, che spesso ne è il momento più alto, è semplicemente sciocco e disumano. E mi chiedo come mai la Chiesa insista nel sostenere questi principi, benché essi siano una della cause che contribuiscono a ridurre sempre di più il numero di credenti/praticanti, respinti da una religione così priva di senso di umanità in materia di amore e di sesso.

Ma se nei paesi come il nostro, con un forte fenomeno di denatalità, il divieto di anticoncezionali non può avere conseguenze nefaste, le ha invece nei paesi in cui il boom demografico è una delle cause della miseria, della fame, della necessità di cercare salvezza nella emigrazione.

Non mi pare valida la ricorrente osservazione secondo cui anche nei paesi più poveri e incolti la gente è in grado di ignorare i divieti della Chiesa. E’ bene ricordare che su sette miliardi di abitanti, i cattolici sono 1 miliardo e 300 milioni, e che molti di loro risiedono in paesi, come quelli del Sud America, in cui il basso livello culturale medio fa sì che la predicazione della Chiesa Cattolica contro gli anticoncezionali contribuisca all’eccesso di natalità ed alle tragedie che questo comporta.

Nel 1997, quando Papa Wojtyla si recò in Brasile, avevo appena letto “I capitani della spiaggia”, in cui Jorge Amado racconta le storie tremende dei tanti bambini senza famiglia, condannati a divenire piccoli delinquenti o vittime dei pedofili o dei cacciatori di organi. Forse anche per questo, vedere il Papa, attorniato da torme di miserabili, fra cui tanti bambini, che tuonava contro l’uso dei profilattici mi riempì di sgomento e di rabbia.

Sono consapevole che sono l’ignoranza e la miseria le cause del boom delle nascite e delle vite infelicissime di milioni di bambini, ma anche se solo una piccola parte di queste vicende deriva dal divieto della Chiesa di ricorrere agli anticoncezionali, si tratta comunque di una colpa imperdonabile per chi ha – o dovrebbe avere – la pietà come stella polare del proprio agire.

E’ compito dei credenti e praticanti riflettere su questa dura realtà e tentare – “da dentro” – di smuovere la Chiesa da questa posizione, riavvicinandosi all’uomo, alle sue incertezze morali ed ai suoi drammi.

Come non credente, non posso però omettere di ricordare una delle più gravi contraddizioni della Chiesa dei nostri tempi e personalmente di Papa Bergoglio: aver nominato a capo degli affari finanziari del Vaticano un Cardinale australiano – George Pell – accusato dal governo del suo paese di essere stato il grande protettore di decine di preti pedofili, che si sono macchiati di ogni genere di violenza sui minori, al punto di indurre al suicidio alcuni di loro. Perché su questo – che non è una opinione ma un dato di fatto – quelli che io chiamo “i cattolici veri” non fanno sentire la loro protesta?

Ho dedicato più spazio alla questione della contraccezione perché è un tema che conosco meglio.
Ma vi è un secondo argomento, a proposito delle fosche profezie dell’UNICEF, che vorrei ricordare.
Riguarda la FAO – l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – e la sua gestione.

La FAO ha la sua sede a Roma, in un immane palazzo che – scherzi della storia – era nato per divenire la sede del Ministero delle Colonie.
Annualmente, la FAO spende quasi due miliardi di dollari, di cui circa la metà proviene da donazioni private.
Ma circa la metà di questi due miliardi vengono spesi per l’organizzazione ed il personale, che gode di stipendi elevati e di una serie di benefici per le famiglie che vanno (mi riferisco al personale italiano) dalla scuola inglese gratuita fino agli spacci alimentari di lusso.

Il recente rapporto di un comitato di valutazione esterna commissionato dalle Nazioni Unite (la commissione Christoffersen) spiega che “in molti uffici i costi amministrativi sono superiori ai costi dei programmi”. E ci informa che la FAO, che ha previsto una spesa di 59 milioni di euro per la conferenza sulla sicurezza alimentare tenutasi a Roma, ne ha stanziati 41,5 per l’ufficio del Direttore Generale. Per non parlare del trattamento del personale nei paesi africani, che vive al livello dei vecchi boss colonialisti.
Una realtà scandalosa che indusse il presidente del Senegal Abdoulaya Wade a dichiarare seccamente: “La Fao deve chiudere”.
Perché nessun politico italiano affronta il problema di questa “super-casta”?

Carlo Troilo

3/5/2017 da Micromega

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