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Ambiente e salute, Blog — Febbraio 24, 2015 8:35 am

Nel giorno in cui arrivano le motivazioni della Cassazione sulla prescrizione del processo, la procura di Torino torna all’attacco sul caso Eternit e chiede il rinvio a giudizio per l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. Secondo Guariniello, non c’è stato nessun errore nell’impostare il processo. E’ stata la Cassazione, semmai, a cambiare idea sul reato di disastro ambientale. Per Casale Monferrato, la capitale dell’Eternit, dove ogni anno 50 persone muoiono per gli effetti dell’amianto, si riapre una nuova prospettiva. “Il dolore non va in prescrizione, i morti continuano, l’ultimo ieri sera”, afferma la prima cittadina, Titti Palazzetti.

La strage “impunibile” dell’Eternit.

Pubblicato da franco.cilenti

La strage "impunibile" dell'Eternit

Abbiamo atteso che sbollisse la rabbia dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui la Cassazione ha azzerato anni di processi e condanne nei confronti dei vertici e dei proprietari dell’Eternit.

Ora la vicenda assume davvero tutte le caratteristiche della tragedia greca, con tutti i diversi protagonisti inchiodati al loro ruolo, pronti a dire”la parte che il sistema mi assegna è questa”. Di più non posso.

In una storia come quella dell’Eternit, sul piano sociale e della giustizia, non c’è nulla da discutere. I padroni svizzeri sapevano benissimo che stavano producendo materiale cancerogeno e che dipendenti, familiari, popolazione circostante sarebbero stati falcidiati a migliaia dai tumori, nel corso dei decenni.

Sul piano processuale, della “legge positiva” concretamente esistente, i giudici di Cassazione – inchiodati al loro ruolo di controllori della procedura – hanno gioco facile nel dimostrare (leggi esistenti alla mano) che il processo torinese per le morti da amianto era prescritto prima ancora del rinvio a giudizio dell’imprenditore svizzero Schmideiny.

La loro sentenza di prescisione del 19 novembre 2014 ha, tra l’altro, annullato i risarcimenti alle vittime. Formalmente inoppugnabile, pare. Il processo non si doveva fare (perlomeno con quel tipo di imputazioni), quindi nessun risarcimento è dovuto. Agghiacciante, perché si può anche sospettare un’intenzione assolutoria in giudici che spesso hanno a che fare con processi inestricabili sul piano normativo quando coinvolgono interessi economici multinazionali. Ma loro stessi – inchiodati a quel ruolo – hanno un’altra volta gioco facile nell’indicare come responsabili “i politici” che in tanti decenni non hanno mai approvato una legge efficace in grado di sanzionare il disastro ambientale provocato dalle industrie. Una “dimenticanza” certamente complice, così come avviene per il reato di tortura (unico paese europeo a non prevederlo).

Una volta stabilito che è “il sistema legislativo” a essere squinternato dalla difesa preventiva degli interessi aziendali, il resto viene – tragicamente – da sé. E quindi i giudici di Cassazione possono tranquillamente scrivere che “Il Tribunale (di Torino, con pm Raffaele Guariniello, ndr) ha confuso la permanenza del reato con la permanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all’evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omicidio”.

Argomentazioni da cercatori di cavilli seminati ad arte in un labirinto di norme contraddittorie, a vole addirittura semanticamente sconclusionate (con annessi, infiniti, problemi di interpretazione).

Diventa possibile quindi addirittura una critica “da sinistra” all’operato del magistrato inquirente: l’imputazione di “disastro” a carico dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny non era infatti la più adatta da applicare per il rinvio a giudizio, perché la condanna massima sarebbe stata troppo bassa (12 anni di reclusione, per chi miete morti e malati) e quindi anche i tempi della prescrizione. Scrivono i supremi giudici: in pratica “colui che dolosamente provoca, con la condotta produttiva di disastro, plurimi omicidi, ovverosia, in sostanza, una strage” verrebbe punito con solo 12 anni di carcere e questo è “insostenibile dal punto di vista sistematico, oltre che contrario al buon senso”.

Secondo la Cassazione “a far data dall’agosto dell’anno 1993” era ormai acclarato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell’anno, era stata “definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti”. “E da tale data – prosegue il verdetto – a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (13/02/2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti” per “la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005”.

“Per effetto della constatazione della prescrizione del reato, intervenuta anteriormente alla sentenza di I grado”, cadono “tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni”.

Sarebbe insomma servito un intero altro codice, oppure l’imputazione di omicidio volontario (che non va in prescrizione). Ma dubitiamo che questo sia anche il consiglio che la Cassazione rivolge al “legislatore”. In ogni caso, ce lo vedete voi Renzi a proporre una legge “che danneggia le imrpese”?

Redazione

24/2/2015 www.contropiano.org/

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Autore: franco.cilenti

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