La triangolazione Italia, Libia ed Egitto è più forte della verità sul caso Regeni

 

Mesi e mesi di depistaggi e di boicottaggi alle indagini da parte dell’Egitto non sono bastati al Governo italiano a frenare l’urgenza di riaprire le relazioni diplomatiche con Il Cairo inviando l’ambasciatore. Due i motivi reali del passo del ministro degli Esteri Alfano: gli interessi economici italiani in Egitto e il ruolo che questo paese ha nello scacchiere libico. Al Sisi è il principale sostenitore del generale Haftar e delle sue milizie. Per l’Italia, evidentemente, non era più sostenibile tenere bloccati i rapporti con gli egiziani.
Nessuno crede realmente che ci sia una svolta nelle indagini, ovviamente. E lo stesso comunicato del ministero degli Esteri non dà chiarimenti su questo elemento importante. Anzi, i reiterati riferimenti alla “memoria” di Giulio Regeni e alle iniziative che verranno prodotte in questa direzione, scritte “nero su bianco” nella lettera di mandato consegnata al nuovo ambasciatore, lasciano immaginare tutt’altro.

Soltanto un mese fa ha fatto il suo ritorno in Italia la commissione Difesa del Senato, e senza il “bottino” che tutti, soprattutto i famigliari, si aspettavano. E questo mentre dopo un anno e mezzo dall’assassinio di Regeni, la la collaborazione della procura e delle autorità del Cairo, come scrive anche Mario Calabresi, direttore di Repubblica, “è stata discontinua, lentissima e a tratti irridente”.

La famiglia Regeni, intanto, esprime la sua «indignazione per le modalità, la tempestica ed il contenuto della decisione del governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo». «Ad oggi – sottolineano i familiari del ricercatore ucciso – dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi, non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio. Si ignora il contenuto degli atti, tutti in lingua araba, inviati oggi, dal procuratore Sadek alla nostra procura, invio avvenuto con singolare sincronia mentre il governo ordiva l’invio dell’ambasciatore Cantini. La Procura egiziana si è sempre rifiutata di consegnare il fascicolo sulla barbara uccisione di Giulio ai legali della famiglia, cosi violando la promessa pronunciata il 6 dicembre 2017 al cospetto dei genitori di Giulio e del loro legale Alessandra Ballerini. La decisione di rimandare ora, nell’obnubilamento di ferragosto l’ambasciatore in Egitto ha il sapore di una resa confezionata ad arte». «Sappiamo – conclude la famiglia – che il ‘popolo giallo´ di Giulio, le migliaia di persone che hanno a cuore la sua tragedia e la dignità di questo Paese, sapranno stare dalla nostra parte, dalla parte di tutti i Giuli e le Giulie del mondo e non si faranno confondere. Solo quando avremo la verità sul perché e chi ha ucciso Giulio, quando ci verranno consegnati i suoi torturatori e tutti i loro complici, solo allora l’ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità.

Il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senasto parla di “errore politico”, mentre Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana, sottolinea la “pessima notizia”. “Evidentemente c’e’ chi considera piu’ urgente chiudere la vicenda diplomatica con il dittatore Al Sisi che pretendere e ottenere verita’ per Regeni”, aggiunge Fratoianni.

“Come nella peggiore tradizioni italiana, a cavallo di ferragosto, si prende una decisione cosi’ fondamentale su un caso che da oltre un anno e mezzo vede impegnata la famiglia del ricercatore, i suoi legali e grande parte della societa’ civile
italiana in questa richiesta di giustizia”, scrive in una nota Patrizio Gonnella, presidente Antigone e Cild.
“Stando al ministro degli Esteri Alfano- aggiunge- il ritorno dell’ambasciatore sara’ uno strumento in piu’ per le autorita’ italiane nel ricercare questa verita’. Se cosi’ fosse il governo allora dovrebbe fare un mea culpa per averlo ritirato nell’aprile 2016”.
Secondo Gonnelli, dopo gli ultimi documenti arrivati agli inquirenti italiani, “ad oggi, siamo lontani da una piena cooperazione giudiziaria in un caso che possiamo definire
di tortura di Stato”.

Redazione

15/8/2017 www.controlacrisi.org

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