La Valsusa distrutta dal TAV e abbandonata dalla sanità

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Non c’è limite al peggio. Nel pieno di un’emergenza pandemica senza precedenti, dopo aver fatto poco o nulla di concreto per affrontarne la seconda, ampiamente prevista, ondata epidemica, il presidente della Regione Piemonte Cirio e il suo assessore alla Sanità Icardi si smentiscono l’uno con l’altro rispetto ai trasferimenti del tale o tal altro direttore generale delle Asl piemontesi.
Anziché vergognarsi per gli esiti del proprio operato (dobbiamo ricordarli? i pazienti abbandonati a terra sulle barelle, la perdita delle mail di segnalazione dei contagiati, il mai avvenuto avvio di una medicina territoriale seria o i vaccini anti influenzali che mancano, per citarne solo alcuni) questa giunta regionale pensa alle poltrone da occupare, pensa a come complicare ulteriormente la vita alle donne che vogliano usare la RU486, e progetta una gestione privatizzante della sanità pubblica, con la conseguente chiusura degli ospedali “non produttivi”.

Ricordiamo che la Regione Piemonte, solo per l’emergenza Covid, ha già ricevuto dal Governo 35,2 milioni di euro per la Sanità, ma siamo ancora di fronte alla drammatica assenza di una rete sanitaria di territorio in grado di individuare, isolare i focolai di contagio e filtrare gli accessi ai pronti soccorso degli ospedali. In sostanza, di fronte a queste enormi carenze, il governo regionale a trazione leghista ha sempre più buon gioco a sostenere che ci si deve rivolgere alla sanità privata perché quella pubblica non funziona, peccato che sarebbe sua responsabilità far qualcosa per migliorare il servizio pubblico e renderlo realmente efficiente.

Guardando più in dettaglio cosa succede per esempio nell’ASL TO 3, appare evidente che, pur essendo tra le più virtuose, abbia minori finanziamenti rispetto ad altre con una minor quota capitaria assegnata per abitante residente, cosa fortemente iniqua soprattutto considerando che il territorio di questa ASL è caratterizzato dalla forte dispersione territoriale delle Valli di Susa, Val Sangone e le Valli del Pinerolese, dove, a causa della conformazione del territorio, i costi sono superiori a quelli delle zone più densamente abitate e frequenti sono le penalizzazioni collegate alla difficoltà di reperire professionisti delle diverse discipline. Ma perché parlare di questa ASL in particolare? Perché questa è l’ASL che insiste sul territorio della Val di Susa, dove, nello stesso momento in cui si definanziano i pochi presìdi sanitari esistenti e non si cerca di sostituire il personale che va in pensione (come se l’utilizzo della “quota cento” da parte dei pensionandi non fosse prevedibile) si finanzia invece una Grande Opera inutile come il cosiddetto Tav, fingendo di non sapere che quel che si spende per 1 solo metro di quest’opera, è equivalente al costo di 100 giorni di terapia intensiva in un ospedale.

È oramai da più di un quarto di secolo che gli abitanti di questa valle sostengono che, con gli investimenti che verranno fatti per la Torino-Lione, si potrebbero migliorare scuola, sanità e trasporti (quelli quotidiani, per i pendolari) fino a raggiungere i livelli svizzeri, ma nonostante ciò il governo nazionale persevera nell’affermare che la Torino-Lione si deve fare, e il governo regionale sollecita un maggiore decisionismo per poter attivare in fretta i nuovi cantieri. E si: nuovi cantieri perché, nonostante ciò che è stato raccontato per anni quando si diceva che si stava già costruendo il tunnel di base, ora finalmente i proponenti l’opera sono riusciti ad ammettere che quello del cantiere di Chiomonte è solo un tunnel geognostico, e che, per scavare il vero tunnel di base, non potendo utilizzare il sito di Salbeltrand, pieno di amianto, per stoccare il materiale di risulta degli scavi, questo verrà avviato da Susa e lo smarino verrà stoccato nella piana fra Susa e Bussoleno, aumentando quindi di molto la possibilità che le polveri sottili (contenenti anche amianto) vengano disperse per tutta la valle fino ad arrivare a Torino grazie ai vento di Foen che spesso soffia sulle pendici alpine.

Ovviamente però tutto ciò non fa parte delle preoccupazioni del governo (né centrale, né regionale) e in una situazione di pandemia come quella che stiamo vivendo, si prevede di utilizzare 27,9 miliardi di euro del Recovery Plan per le infrastrutture e solo 9 miliardi per la sanità, in un rapporto di spesa di 3 a 1, senza considerare minimamente quanti posti di lavoro in più si creerebbero se si finanziasse seriamente il SSN, anziché sprecare risorse per un’opera che, nel caso migliore, farà aumentare quanto meno l’incidenza di silicosi, se non anche di asbestosi, fra gli abitanti di un’intera valle e probabilmente anche del capoluogo.

D’altra parte la pandemia ha solo evidenziato ulteriormente tutta una serie di storture e di falle che già esistevano prima dell’arrivo del virus, e che partono dall’avere ancora adesso il numero chiuso per il corso di laurea in medicina, passano per lo smantellamento delle strutture ospedaliere considerate non produttive, fino ad arrivare all’incapacità di organizzare un sistema sanitario territoriale che non solo permetta di curare i pazienti a domicilio, ma che faccia una prevenzione reale verso tutte quelle patologie che sarebbero tranquillamente evitabili se non si inquinasse e stuprasse costantemente il territorio.

I 21 parametri che hanno decretato che il Piemonte fosse inserito nell’elenco delle “regioni rosse” e hanno quindi portato al confinamento, alla chiusura di negozi, attività sportive, ludiche, ecc…, con tutte le problematiche economiche connesse, sono un indice che si basa non solo sul numero di contagiati e di morti, ma anche sull’incapacità di organizzare la sanità regionale, per esempio rispetto alla capacità di accertamento diagnostico e gestione dei contatti, oppure rispetto alla tenuta dei presidi sanitari.

Per onestà intellettuale si può dire che, dopo anni di tagli al SSN, non ci si poteva aspettare che il primo impatto con la pandemia desse risultati meno devastanti e che, ad un solo anno dall’insediamento, la giunta regionale potesse rimediare in poco tempo a quanto accaduto negli anni precedenti, però ci si poteva invece aspettare che sfruttasse il periodo estivo di relativa calma per programmare per esempio la riapertura di ospedali dismessi, l’avvio di nuovi concorsi per assumere stabilmente il personale necessario a far funzionare sia le strutture Covid che quelle “pulite”, oppure che non si facessero solo tanti begli annunci sulla campagna vaccinale e sulla telemedicina, ma che si attivasse in modo tale da arrivare più preparati alla seconda ondata epidemica, che è riuscita a far avere al Piemonte il triste primato di regione con il più alto tasso di contagi.

Sappiamo bene che è improbabile che chi pare avere tutte le intenzioni di smantellare la sanità pubblica, faccia i passi che sono necessari per ridare linfa ai presidi sanitari, ma proprio per questo riteniamo che sia necessario invitare la cittadinanza a mobilitarsi per pretendere che le risorse che devono arrivare anche dall’Europa non vengano usate solo ad aumentare i già lauti compensi dei direttori delle ASL o per inutili opere faraoniche come la Torino-Lione, ma per ricostruire un’adeguata Medicina Territoriale, con Strutture, Strumenti e soprattutto Personale adeguato.

Fiorenza Arisio

Circolo PRC Avigliana-Giaveno

Pubblicato sul nuemro di dicembre del mensile

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