La vera guerra è iniziata, la guerra dei vaccini

Da quando Covid19 è piombato sulle nostre vite, abbiamo usato a piene mani la metafora della guerra come riferimento simbolico per tentare di spiegare la multiforme sfida cui siamo stati sottoposti nel gestire l’emergenza del virus che ha sconquassato il mondo. Abbiamo ricevuto bollettini quotidiani da lasciare senza respiro che riportavano la conta dei morti, come persi in battaglia. Siamo stati serrati dentro le nostre case per evitare gli attacchi del nemico invisibile. Le corsie degli ospedali sono state rappresentate come trincee, fronti di guerra popolati di guerrieri o di eroi che l’hanno spuntata contro il virus. Susan Sontag, già ai tempi dell’HIV/Aids, era entrata nelle pieghe dei meccanismi per cui si fa ricorso al racconto in chiave bellica di una crisi sanitaria: “La guerra è pura emergenza, in cui nessun sacrificio sarà considerato eccessivo”. 

Se la narrazione guerriera serve dunque a smorzare le contraddizioni stratificate nella società globale ben prima di Covid19, non ci sono dubbi che attorno al nuovo coronavirus si stia apparecchiando uno scontro vero, che è tangenziale alla capacità sanitaria di contenere il contagio. La guerra è di natura commerciale, ruota intorno alla febbrile ricerca per scoprire il vaccino contro SARS-CoV-2. E va combattuta con un nemico potente e senza scrupoli, l’industria farmaceutica. Si tratta di dirimere una questione decisiva per il futuro: se i prodotti che scaturiranno dalla frenetica corsa al vaccino saranno blindati dalle logiche privatistiche del monopolio brevettuale (previsto dalle regole del commercio internazionale), o se saranno invece trattati come beni comuni accessibili a tutti, considerata la finalità per cui impazza oggi la ricerca e il sostanzioso finanziamento pubblico con cui si impegnano i leader del mondo guidati dall’Unione eruropea (ad oggi, 8 miliardi di dollari). 

Quando un vaccino ottiene l’autorizzazione dalle agenzie del farmaco, i profitti possono essere stellari. Abbiamo vagamente idea di che cosa significhi questo, nel caso di un vaccino sviluppato per fermare la pandemia che mette sotto scacco il pianeta, e per la quale non esistono rimedi? Covid19 ha sfiancato quasi tutti i settori dell’economia, ma il settore farmaceutico è in totale fibrillazione e potrebbe trarre lauti benefici dalla pandemia: “Le aziende farmaceutiche puntano a Covid19 come all’opportunità di business che capita una volta nella vita”, ha commentato di recente Gerald Posner, autore di Pharma: Greed, Lies and the Poisoning of America (Industria del farmaco: avidità, bugie, e l’avvelenamento dell’America, ndr). 

Il mondo ha bisogno di prodotti diagnostici e preventivi, non si discute. Governi, case farmaceutiche e laboratori di ricerca stanno mettendo in campo uno sforzo imponente, a un ritmo mai visto prima nella storia della ricerca medica: allo stato attuale si registrano 295 trattamenti e 109 vaccini in sperimentazione. Non deve pertanto sorprendere la corsa agli annunci sulla stampa internazionale. Una battaglia sul filo di una comunicazione non sempre suffragata a dovere dalla revisione scientifica. E talora intrisa dei toni della propaganda, che serve ai rialzi da capogiro del listino finanziario, più che a segnalare i successi nella ricerca. In questo modo le varie biotech e aziende farmaceutiche hanno l’agio di collocare le nuove azioni a prezzi maggiorati.

Mentre prosegue la sperimentazione con un processo di accelerazione che rischia di cambiare per sempre le procedure consolidate per gli studi clinici. Infatti la ricerca scientifica si incrocia anche con la battaglia geopolitica fra Stati Uniti e Cina, particolarmente infuocata a causa della pandemia. Il 21 maggio il senatore americano Rick Scott ha depositato un disegno di legge per la protezione della ricerca nazionale sul vaccino anti-Covid19 da atti di furto o di sabotaggio che possano provenire dalla Cina. L’iniziativa legislativa fa seguito a ripetute segnalazioni da parte di agenzie della sicurezza nazionale inglesi e americane (tra cui FBI e la Cyber-security and Infrastructure Security Agency, CISA) in merito a specifiche azioni di cyber-spionaggio e a tentativi di hacker cinesi che investono industrie farmaceutiche, enti di ricerca scientifica, università, agenzie sanitarie e governi locali. Come in un film…

Sono otto i progetti per i vaccini già in fase clinica, la metà di questi è cinese e uno europeo: quello dell’italiana IRBM in collaborazione con l’Università di Oxford, che è già in fase di sperimentazione umana. Ma lo scenario in cui ci si muove è quello di un oligopolio. L’industria dei vaccini è in buona sostanza una concentrazione di 4 aziende – GlaxoSmithKline, Merck, Pfizer e Sanofi – che controllano l’85% del mercato e un giro d’affari di oltre 35 miliardi di dollari. Il mercato mondiale dei vaccini è cresciuto di sei volte negli ultimi venti anni e, in questo scenario di concentrazione, va messa in conto la potente élite della filantropia globale guidata da Bill Gates.

Con la sua fondazione, proprio due decenni fa, Gates ha riacceso i motori della (allora) stanca produzione di vaccini attraverso una multiforme gamma di iniziative pubblico-private – prima fra tutte la Global Alliance for Vaccine Immunization (GAVI), oggi molto potente – per colmare i cosiddetti pharmaceutical gaps ed escogitare in accordo con l’industria privata soluzioni di mercato – sia in termini di incentivi che di finanziamento – che potessero espandere i programmi di vaccinazione dei bambini, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito. Il rilancio dei programmi di immunizzazione e della produzione di vaccini architettato dalla fondazione Gates ha incrementato la copertura vaccinale – oggi purtroppo messa a dura prova da Covid19 – ma tutto questo è avvenuto in una logica di dipendenza e rafforzamento di Big Pharma, così che il prezzo dei vaccini non è esattamente alla portata dei paesi del Sud globale – Medici Senza Frontiere (MSF) ci ricordava nel 2014 che la copertura vaccinale pediatrica completa costava 68 volte di più rispetto al 2001.  

Bill Gates comunque, possiamo dirlo senza tema di essere smentite, resta il deus ex-machina delle strategie vaccinali nel mondo. Avendo profetato l’arrivo di un nuovo virus potenzialmente pandemico nel 2015, il tycoon filantropo si è organizzato in tempo e ha fatto significativi investimenti in una rete di biotech che ora afferisce alla Fondazione Gates. Fra le aziende di punta rientra la tedesca CureVac, cui Trump propose a marzo l’acquisto in esclusiva del brevetto del vaccino in fase di sviluppo, a uso e consumo della sola popolazione americana.

La Fondazione Gates inoltre ha investito miliardi di dollari in sette dei più promettenti progetti di ricerca che riguardano SARS-CoV-2, e nella costruzione di impianti di eventuale produzione di questi candidati, avvalendosi della competenza acquisita nel campo delle malattie infettive, e consapevole che da solo può mobilitare denaro nell’ordine di grandezza di più governi, ma molto più celermente. Bill è appassionato di vaccini, li considera la soluzione migliore per la gran parte dei problemi sanitari del pianeta. E fa capo alla Fondazione Gates anche la giovane, ma già assai influente, Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) creata nel 2017, dopo l’epidemia di Ebola, per accelerare la scoperta di vaccini in caso di epidemie.

CEPI è centrale nella definizione degli scenari su Covid19, compare in prima fila in tutte le recenti iniziative della comunità internazionale contro la pandemia. Il lancio di Access to Covid19 Tools (ACT) Accelerator, una collaborazione globale per lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo ai nuovi vaccini, farmaci, diagnostici per Covid19 annovera la Fondazione Gates come protagonista indiscussa insieme alla Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Lo stesso dicasi nel caso della “chiamata all’azione” di Oms e Unione europea per la raccolta di fondi destinati alla ricerca medica contro Covid19: in prima linea, accanto ai governi, le più importanti alleanze pubblico private nate per iniziativa (e fondi) di Gates – CEPI, GAVI, il Fondo Globale contro Aids, tubercolosi e malaria, UNITAID, FIND – e, naturalmente, l’industria farmaceutica.

Questo crescendo di mobilitazione ha ispirato l’Unione europea a cimentarsi anche sul testo di una risoluzione per la sessione online della Assemblea mondiale della sanità, dedicata esclusivamente a Covid19.  Approvata con suono di fanfare il 20 maggio, la risoluzione si limita a enunciare la necessità della cooperazione globale per l’accesso equo ai prodotti che verranno scoperti contro il Covid19. Il testo, concordato dopo due settimane di tortuosi negoziati, evita tuttavia di fare riferimento esplicito ai brevetti farmaceutici e al prezzo dei farmaci. Evita di suggerire ai governi il ricorso alle flessibilità dell’accordo TRIPS sulla proprietà intellettuale, come percorso positivo e legittimo di deroga al brevetto. Per rompere il monopolio e accelerare produzione e accesso ai vaccini, in cambio del pagamento di royalties alla impresa.

Si tratta di una regressione semantica degna di nota, rispetto al linguaggio consuetudinario delle numerose risoluzioni adottate dall’Oms sul tema dell’accesso ai farmaci; una regressione preoccupante, se rapportiamo la debolezza dell’impegno all’urgenza della pandemia del nuovo coronavirus. Eppure, l’Europa sa bene quanto possano agire da barriera i brevetti. In un suo rapporto del 2009, la Commissione europea aveva spiegato che l’80% delle 40.000 richieste di brevetti prese in esame riguardava l’estensione del brevetto di prodotti già in commercio per usi secondari o per forme diverse dello stesso prodotto (nel caso di un farmaco, ad esempio, la versione in sciroppo di una precedente pastiglia), con una perdita di circa 3 miliardi di euro l’anno solo nel settore farmaceutico, dovuta alla ritardata disponibilità sul mercato dei più economici farmaci equivalenti.

I governi intanto, alle prese con i contagi, i lockdown e le roboanti crisi economiche – l’UNDP ha previsto il primo netto declino dello sviluppo umano dal 1990, a causa della pandemia – non restano del tutto immobili di fronte alla mala parata dei monopoli brevettuali ventennali sui vaccini e sugli altri dispositivi medici necessari a gestire il virus.

Dalla fine di marzo il governo del Costarica propone la creazione di un archivio globale (patent pool) per condividere al massimo la conoscenza scientifica sotto l’egida dell’Oms e “includere i diritti esistenti e futuri dei brevetti per invenzioni e disegni, dati dei test e dei processi regolatori, know-how e copyrights per la produzione di testi diagnostici, dispositivi medicali, farmaci e vaccini”, così da velocizzare la scoperta dei rimedi per contrastare Covid19. L’accesso a questa conoscenza dovrebbe essere gratuito e fornito sulla base di “licenze ragionevoli ed economicamente compatibili, per ogni paese membro”. L’idea è sostenuta dal Cile e dalla stessa Oms. Il direttore di CEPI, Richard Wilder, ha già bollato la proposta del Costarica come “inefficace e non necessaria”. Sarà un caso che, prima di occuparsi di vaccini, Wilder era a capo dell’ufficio sulla proprietà intellettuale a Microsoft? La fortuna di Bill Gates poggia sui brevetti.

Mentre il presidente brasiliano Bolsonaro prosegue pervicacemente nella sua fase negazionista a base di idroxiclorochina, nel Parlamento a Brasilia sono stati depositati disegni di legge per chiedere l’applicazione della licenza obbligatoria per uso governativo (un dispositivo per impedire l’abuso di posizione dominante) sui dispositivi medici e prodotti contro il Covid19. Dal canto loro, Ecuador e Canada si sono attivati per semplificare le procedure  di ricorso alle licenze obbligatorie. Una iniziativa simile è giunta in porto a febbraio in Australia con un emendamento alla norma nazionale sui brevetti e a marzo è toccato alla Germania, con la autorizzazione di usi speciali di licenze obbligatorie associate alla prevenzione e al controllo di malattie infettive negli umani. La nuova norma tedesca non richiede la fattispecie dell’ abuso di monopolio, né permette al detentore del brevetto di bloccare la licenza obbligatoria del governo, come previsto anche nella riforma australiana. Eppur si muove. Ma, sotto pressione, l’irrefrenabile industria farmaceutica è in piena campagna di lobby per ricordare che senza diritti di proprietà intellettuale non può esistere innovazione. 

Insomma, che ne sarà della corsa al vaccino contro Covid19, alla fine?  Forse, come riporta un recente articolo del Guardian, tutta questa frenesia nella ricerca pandemica non porterà lontano. Se ne stanno facendo una ragione, pare, gli esperti del governo inglese, nel momento in cui l’Università di Oxford procede con il reclutamento di 10.000 volontari per la fase due della ricerca, dopo la fase pre-clinica sui macachi. Questa nuova prudenza ha qualche fondamento di ragionevolezza.

Prima di tutto, nonostante la conoscenza acquisita sulla famiglia dei coronavirus da parte della comunità scientifica, c’è ancora molto da scoprire a proposito di SARS-CoV-2. Va detto poi che la famiglia dei coronavirus sviluppa un’immunità che recede rapidamente, come sappiamo anche dalla cinetica dell’influenza. Infine, al netto degli annunci, la ricerca sui vaccini comporta livelli di complessità superiori a quella sui farmaci: un vaccino deve proteggere dalla malattia e prevenirne il contagio, e deve farlo in massima sicurezza perché è somministrato sui grandi numeri delle persone sane, al contrario delle terapie, utilizzate solo con le persone malate. Non esiste possibilità di sconti sugli eventuali effetti collaterali in nome della primogenitura sul mercato. 

Che ne sarà dei vaccini anti-Covid19, dunque? Coltivo la speranza che SARS-COV-2 scompaia prima che Big Pharma possa appropriarsene e specularci sopra, imponendo costi inaccessibili ai vaccini, magari adducendo a scusa il valore che rivestono per la salute della popolazione. Sarebbe l’ultima beffa di questo nuovo sorprendente coronavirus. Del resto, non si è comportato così anche il micro-organismo della SARS nel 2004? 

Nicoletta Dentico

28/5/2020 https://sbilanciamoci.info

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