L’abbandono dei malati non autosufficienti in Piemonte

anziani bastone

«I 30mila malati cronici non autosufficienti esclusi in questi anni dalle cure delle Asl regionali non votano. I loro parenti, sì». All’alba delle elezioni regionali del 26 maggio numerosi referenti di associazioni piemontesi che si occupano della promozione e difesa dei diritti dei non autosufficienti (chi scrive conosce a fondo quelle del CSA – Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base) preconizzavano con queste parole l’esito negativo delle urne per l’amministrazione uscente.

Troppe le azioni a sfavore dei malati di Alzheimer o altre forme di demenza, così come delle persone con disabilità e limitata autonomia attuate dalla Regione negli ultimi cinque anni (in totale continuità con la precedente amministrazione a guida leghista). Trentamila i malati confinati in crudeli e illegittime «liste di attesa» che, al di là del termine, ormai ritrito e utilizzato solo per visite ed esami di cittadini autosufficienti, sono persone totalmente prive di autonomia per gli esiti della loro malattia che non ricevono le cure cui hanno diritto e indifferibile bisogno 24 ore su 24. Malati gravissimi le cui cure – ricoveri in Residenze sanitarie assistenziali (RSA), prestazioni sanitarie e di tutela della salute domiciliari – sono state «differite» sine die, espressione che, ha osservato il Difensore Civico regionale nella sua relazione annuale 2018, «deprivata di ogni velo di ipocrisia, equivale al rifiuto della presa in carico».

Non difficile, su questi presupposti, la previsione di un contraccolpo elettorale, completamente ignorato dai politici al vertice della Regione. L’assessore alla Sanità, Antonio Saitta, titolare delle deleghe in materia di Livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, derise pubblicamente i rappresentanti delle associazioni che durante la Festa del Partito democratico del 2017 a Torino lo allertavano sull’eventualità di un massiccio voto dei cittadini, abbandonati dalla sanità piemontese, contro le politiche di riduzione dei servizi e di sottrazione del diritto all’accesso alle cure. «Voto contro» che i cittadini avrebbero espresso non sulla base della ragionata scelta di un’alternativa, ma per esprimere il rifiuto verso le politiche attuate e la protesta per le pesantissime ricadute sulle loro spalle.

Va detto che il Consiglio regionale ha approvato nella passata legislatura cinque ordini del giorno in cui impegnava la Giunta a superare le delibere che sbarrano l’accesso alle prestazioni sanitarie per i malati non autosufficienti (vincolandone l’erogazione alla valutazione economico sociale della loro condizione, procedura in contrasto con la legge istitutiva del Servizio sanitario che dev’essere erogatore di prestazioni universalistiche). Risultato? La Giunta ha ignorato i documenti e tirato dritto sull’esclusione dalle cure di decine di migliaia di malati. È decisamente una pessima notizia per la democrazia e lo stato di salute delle assemblee rappresentative; è una magra consolazione che l’organo che ha ignorato gli atti del Consiglio che chiedevano politiche a tutela e promozione del diritto alle cure dei malati più deboli, la Giunta appunto, sia stata punita senza appello dagli elettori. Non uno degli assessori ricandidati ha passato il vaglio delle urne.

Per meglio comprendere la diffusissima lesione del diritto alla salute per i malati non autosufficienti attuata dalle istituzioni regionali (e l’impegno profuso per riscrivere regole meno tutelanti per tutti i soggetti malati non autosufficienti o colpiti da disabilità e limitata o nulla autonomia) sembra utile ripercorrere alcuni provvedimenti fondamentali.

Uno dei primi della Giunta della Regione Piemonte 2014-2019 fu quello di difendere davanti al Consiglio di Stato le delibere della Giunta Cota che avevano annullato le prestazioni domiciliari per i malati non autosufficienti. Erano prestazioni che riconoscevano concretamente, senza vincoli e come attività sanitarie, per tutti i malati, le azioni di cura domiciliare prestate da famigliari, parenti e altre persone. Dopo l’intervento della Giunta della Regione Piemonte, i contributi sono stati drasticamente ridotti di numero (azzeramenti nella misura del 70%) e mantenuti per una platea residuale di casi, selezionati in base all’Isee.

Nel 2016 la Giunta, nonostante il divieto inserito nella legge 833/1978, ha inserito il parametro dell’Isee per l’accesso alle convenzioni in Rsa e per le prestazioni domiciliari per tutti i malati non autosufficienti. Non basta. La Giunta ha predisposto una bozza di legge – e non ci sono garanzie sul fatto che la nuova amministrazione non riparta proprio da qui – per limitare le risorse a un “Fondo per le non autosufficienze” regionale e legalizzare l’esclusione dei malati dalle prestazioni sanitarie in base al reddito e alle condizioni sociali, creando un settore staccato da quello sanitario e un sistema di finanziamento delle prestazioni non obbligatorio, riducibile fino a zero. Contro l’ipotesi di questo provvedimento si sono pronunciati con atto ufficiale 11 Consigli comunali: Candiolo, Gassino T.se, Leinì, Nichelino, None, San Mauro, Trana, Vinovo, Dronero (Cn), Bra (Cn), Trino vercellese (Vc).

Da anni, peraltro, le Asl del Piemonte realizzano avanzi di gestione (sono in utile!) ma niente di quell’utile è stato destinato alla presa in carico dei malati non autosufficienti. Né vale a giustificazione delle politiche restrittive del diritto alle cure la motivazione economica (posto che la Corte costituzionale si è pronunciata in senso esattamente opposto sostenendo la prevalenza del nucleo essenziale del diritto sulla limitazione delle risorse, sentenza 275/2016). La Corte dei Conti nella relazione 2016 e l’Assessore al Bilancio della Regione Piemonte Aldo Reschigna hanno confermato che la causa del Piano di rientro in sanità che la Regione Piemonte ha dovuto affrontare è stata la sottrazione di risorse alla sanità regionale per finanziare in deficit altri capitoli di spesa, operata negli ultimi quindici anni, per un totale “monstre” di 4,3 miliardi di euro.

L’eccessiva spesa regionale complessiva è stata pagata in toto dal settore sanitario, il che ha fornito l’immagine di una Sanità spendacciona e disorganizzata (in passato creatrice di deficit di bilancio) che sono bastati cinque anni di «buon governo» a risanare. Il quadro così composto non solo è falsamente rassicurante (il debito regionale è stato spalmato su anni, decenni a venire, non è scomparso), ma restituisce l’idea di una Sanità dalla quale è possibile tagliare risorse senza problemi. Non è così, come hanno appurato sulla loro pelle decine di migliaia di famiglie piemontesi, impegnate ogni giorno nell’affrontare la malattia o la disabilità gravissima di un loro caro non autosufficiente.

A fronte di questo panorama inascoltato alcune priorità si dovrebbero imporre a un’amministrazione attenta ai diritti, al benessere dei cittadini e, perché no, al ritorno elettorale conseguente:
1) riconoscere concretamente la priorità delle cure domiciliari, intanto approvando il regolamento attuativo della legge della Regione Piemonte 10/2010 (!) “Servizi domiciliari per persone non autosufficienti”;
2) garantire il vigente diritto alla continuità terapeutica dei malati non autosufficienti in modo che le prestazioni socio-sanitarie non siano condizionate dalla presentazione dell’Isee e riconoscendo, come ha fatto l’Ordine dei medici di Torino nel 2016, che «il Servizio sanitario nazionale deve operare nei confronti degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone con demenza senile sulla base degli stessi principi riconosciuti per gli altri malati e quindi senza condizionamenti all’accesso alle prestazioni»;
3) approvare provvedimenti, attualmente completamente inesistenti, che stabiliscano standard adeguati e verificabili del personale delle case di cura convenzionate e delle altre strutture sanitarie preposte al ricovero di persone malate e non autosufficienti.

Andrea Ciattaglia

3/6/2019 https://volerelaluna.it

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