LaMarchaMásGrande. Un milione di cileni per bruciare il neoliberismo

#LaMarchaMásGrande. Un milione di cileni per bruciare il neoliberismo

“Chile despertó. No estamos en guerra” (Il Cile si è svegliato. Non siamo in guerra). Lo slogan si legge su un’immensa bandiera cilena tenuta da migliaia di persone riunite nella Plaza Italia di Santiago con lo slogan #LaMarchaMásGrande. La massiccia mobilitazione di Unidad Social – che riunisce più di 70 organizzazioni sociali e sindacali – corona l’ottava giornata di proteste contro il presidente Sebastián Piñera e il modello economico cileno in tutto il paese, nonostante la rinnovata minaccia di coprifuoco.

Venerdì ha segnato l’ottavo giorno consecutivo di proteste a livello nazionale con la più grande marcia nella storia del Cile. Il movimento non ha leader, chiede una vita dignitosa e attraversa l’intero tessuto sociale. Reclama un cambiamento strutturale: che gli studenti non vengano stigmatizzati o criminalizzati, che gli universitari non entrino nel mondo del lavoro con debiti che devono pagare in venti o trent’anni. Che gli stipendi degli adulti permettano loro di vivere e non sopravvivere. Che i nonni non debbano lavorare perché le pensioni si esauriscono con l’acquisto mensile di medicinali.

«In altre parole, è stato il risveglio di tutti», scrive l’inviato di Pagina 12, il quotidiano argentino di sinistra.

“Non sono 30 pesos, sono 30 anni” è uno slogan ripetuto su social network e sui cartelli dei manifestanti. I “30 pesos” sono il costo esorbitante dell’aumento del biglietto della metropolitana di Santiago che ha fatto esplodere la “pentola a pressione”. I 30 anni si riferiscono ai decenni trascorsi dalla fine del regime militare senza tuttavia mettere in discussione il modello economico imposto dalla dittatura, il Cile è il luogo dove iniziò col golpe fascista la sperimentazione delle politiche ultraliberiste dei Chicago Boys. Concertación por la Democracia, i partiti “normali”, ha scelto di non apportare cambiamenti fondamentali. Il paese continua ad essere governato dalla Costituzione di Pinochet del 1980 le cui copie sono state bruciate dai manifestanti perché è questo l’obiettivo politico del movimento.

La mobilitazione convocata alle 17:00, ora locale, 22.30 italiane, ha cominciato a traboccare dalla piazza centrale di Santiago prima del tempo stabilito e l’hashtag #LaMarchaMásGrande ha iniziato a viralizzare centinaia di immagini e video di cileni che chiedono “Renuncia Piñera”, “No estamos en guerra”, “Chile despertó”, “Salud digna”, “Asamblea constituyente”, “No AFP (Administradoras de Fondos de Pensión)”. Durante la mattinata, i camionisti hanno bloccato le autostrade della capitale chiedendo l’eliminazione del tag, la tariffa chilometrica delle autostrade in concessione. Le stesse categorie che nel 1972 destabilizzarono il governo di Salvador Allende sembrano avere scelto un’altra direzione. Prima di mezzogiorno c’erano già delle barricate incendiate intorno a La Moneda, il palazzo del governo, con lanci di molotov e sparatorie della polizia. Quella stessa zona più tardi è stata assediata da quanti si sono fronteggiati con gli schieramenti dei carabinieri gridando per la libertà.

Alle 21:25 c’erano ancora spari e urla nel centro di Santiago con le forze dell’”ordine” che erano sorvegliate a vista dagli osservatori per i diritti umani e, per questo, si limitavano a difendersi senza attaccare. Nel suo account Twitter, il presidente Piñera ha scritto: “La folta, gioiosa e pacifica marcia di oggi, dove i cileni chiedono un Cile più giusto e solidale, apre grandi strade verso il futuro e la speranza. Abbiamo tutti sentito il messaggio. Siamo tutti cambiati. Con l’unità e l’aiuto di Dio, percorreremo la strada verso un Cile migliore per tutti”. La foto sul suo profilo lo mostra elegante e sorridente. Il suo governo rimane immobile, e le soluzioni che ha finora fornito perpetuano quella struttura che il paese ha lasciato questo storico venerdì ha voluto bruciare.

Assediato dalle ripetute marce, in attesa della missione ONU che indagherà sulle violazioni dei diritti umani commesse contro i 528 feriti, i 2840 detenuti e i 19 uccisi in una settimana di continua repressione, Piñera si è presentato ieri mattina con un gruppo di pensionati al Palacio de la Moneda per annunciare miglioramenti nel sistema pensionistico privato, che è stato rapidamente respinto dall’opposizione.

Il colpo d’occhio era di bandiere nazionali e quelle di Colo-Colo, Universidad de Chile e Universidad Católica, le più grandi squadre di calcio che condividono lo spazio sin agarrarse a trompadas, senza “stringere le zampe”. C’erano bandiere della nazione Mapuche, dell’orgoglio LGBTIQ, di partiti politici di sinistra, di sindacati come la Central Unitaria de Trabajadores, del Colegio de Profesores. C’erano donne con le loro sciarpe verdi e viola, e una folla che spaziava facilmente dai tre agli ottant’anni. E’ stato un carnevale gioioso e potente che, tuttavia, non ha dimenticato i 19 morti dall’inizio della rivolta.

Prima di “La marcia più grande”, il governo ha rinnovato il coprifuoco – tra le 23 e le 4 del mattino – nella regione metropolitana, Antofagasta, Copiapó, Valparaíso, Rancagua, Concepción, Puerto Montt e Osorno. Tuttavia, centinaia di migliaia di cileni sono scesi di nuovo in strada. “Il Cile ha bisogno di profondi cambiamenti per raggiungere la pace con la giustizia sociale, quindi ci mobilitiamo contro le politiche neoliberali che ci hanno fatto precipitare nella povertà per 30 anni”, ha detto Eric Campos, un leader dalla CUT, la Central Unificada de Trabajadores y Trabajadoras. Il raduno è partito a mezzogiorno da piazza Los Héroes e ha avuto una emozionante convocazione di fronte alla Biblioteca Nazionale, a dodici isolati da Plaza Italia, dove le canzoni sono state cantate di Víctor Jara, un cantautore scomparso sotto la dittatura di Augusto Pinochet.  La marcia è stata replicata in diverse parti del paese trans-andino con massicce mobilitazioni.

Secondo l’Istituto Nazionale per i Diritti Umani del Cile (INDH), fino alle 22 locali di ieri (le ore 3 italiane di oggi), sono state 2.840 le persone arrestate, di cui 1.084 a Santiago. Per l’ong i feriti sono 582. Sono saliti a 19 i morti nell’ondata di proteste che sta colpendo il Cile dopo la rivolta divampata contro l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana. L’ultima vittima è un cittadino peruviano, Agustn Juan Coro Conde, che sarebbe stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco dal proprietario di un negozio nel quale si presume che la vittima sia entrata per saccheggiarlo, nella zona popolare di Puente Alto, nel sud-est di Santiago del Cile. Secondo l’ultimo bilancio ammesso dalle autorità, i civili rimasti feriti sono 33, gli arrestati 542 e i fermati durante il coprifuoco 173, numeri che secondo il ministero evidenzierebbero una diminuzione degli episodi violenti. Nel personale di polizia e delle forze armate i feriti ammontano a 22.  I deputati comunisti hanno chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno: «Governare esige una responsabilità politica, cedere il passo al dialogo, proteggere gli abitanti del Cile, ma il ministro ha ceduto solo alla repressione e alla violenza di Stato, creando paura tra noi. Un dialogo sociale non è possibile se continuiamo con questa repressione sistematica. Niente più militari per le strade», scrive Camila Vallejo, già leader studentesca e ora parlamentare per il Pc cileno.

 

Per i cantori del neoliberismo il Cile viene presentato come  il “giaguaro dell’America latina”, dove la cui la crescita è costante – in media il PIL è aumentato del 5,2% all’anno durante gli ultimi 24 anni – ma è il paese più diseguale di tutta l’OCSE, come ha scritto Marco Bersani proprio su Popoff.

Il costo della vita vi è altissimo. Per esempio, il famigerato biglietto della metropolitana di Santiago  osta quattro volte quello della metro di Buenos Aires ed è più caro che a New York. Quanto allo sforzo finanziario delle persone normali per l’accesso alla pubblica sanità, è il triplo di quello della Germania. Se si considera il potere d’acquisto, il cittadino cileno si ritrova ad avere un reddito medio equivalente al 31% di quello di un cittadino Usa.  Le privatizzazioni massicce operate dalla dittatura sotto la direzione dei Chicago boys tra il 1973 ed il 1990 si sono tradotte in un accesso più che limitato degli strati poveri della popolazione alle infrastrutture sanitarie, scolastiche e universitarie, mentre, malgrado un tasso ufficiale di disoccupazione inferiore al 7%, meno della metà delle donne ha un lavoro salariato ed solo un terzo di loro dispone di un lavoro stabile.

Quando Berlinguer lanciò per il Pci la parola d’ordine del compromesso storico con la Dc lo fece paventando il “pericolo cileno”, il timore che un governo di sinistra avrebbe scatenato gli strali americani e delle multinazionali. La storia dimostra che in Italia sono stati gli eredi del Pci-Pds-Ds fusi con gli eredi della Dc nel Pd, a essere designati come vestali delle politiche neoliberiste. In quegli anni, l’estrema sinistra gridava nelle strade italiane: “Compagno Berlinguer, ci dicono dal Cile che il compromesso storico lo fanno col fucile”.

Checchino Antonini

26/10/ www.popoffquotidiano.it

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