L’anno che verrà

“Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà

una trasformazione che tutti quanti stiamo già aspettando.

Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno.

Ogni Cristo scenderà dalla croce e anche gli uccelli faranno ritorno.”

Lucio Dalla

L’anno passato, il 2016, ha lasciato in eredità all’anno che è venuto, il 2017, un cumulo di problemi, anche in campo sanitario.

Negli USA le elezioni presidenziali hanno portato al potere Donald Trump che aveva promesso in campagna elettorale e confermato dopo l’elezione che avrebbe abrogato la riforma sanitaria di Obama, senza pesarne le conseguenze e senza proporre un piano alternativo.

In Italia il 2016 è trascorso in un’interminabile campagna elettorale, prima le elezioni amministrative e poi – senza soluzione di continuità – quella referendaria. Un anno buttato al vento per la paralisi del parlamento e dell’attività di governo (anche in campo sanitario), con il premier Matteo Renzi che si giocava tutto, che per raggiungere il risultato e allargare il consenso distribuiva mance a destra e a manca, accumulando un debito di cui oggi qualcuno chiede conto.

Donald e Matteo hanno qualcosa in comune: la tendenza compulsiva a usare twitter e l’incorreggibile propensione a raccontare balle, anche in sanità. Trump ha risuscitato la vecchia bufala della relazione tra vaccini e autismo. Renzi non ha esitato a usare una malattia e una popolazione di malati per fare campagna elettorale, raccontando la balla che il razionamento nell’erogazione delle cure contro l’epatite C era causato dall’inefficienza delle regioni del sud e che l’approvazione della riforma costituzionale avrebbe risolto ogni problema. Su questo tema abbiamo pubblicato un post Il referendum sull’epatite Ce (a proposito di post-verità) aspettiamo ancora la rettifica e le scuse dell’ex-premier.

Le analogie tra Donald e Matteo finiscono qui. Perché il primo le elezioni le ha vinte, il secondo le ha perse (ma non ha cessato di raccontare balle: aveva promesso che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato dalla politica, invece… ).

E ora,  in USA?

Negli USA ci sono pochi dubbi sul fatto che Trump dopo aver dato la stura alla sua furia xenofoba, si dedicherà, con la stessa foga, alla distruzione della riforma sanitaria di Obama: ACA Repeal.L’ipotesi più probabile è che ci sarà cioè l’immediata abrogazione (Repeal) dell’Affordable Care ACT(ACA) seguita – con i tempi tecnici necessari – da misure sostitutive in parte contenute nel programma elettorale del Partito Repubblicano (vedi post Da Obamacare a Trumpcare). Si tratterà di una tremenda mazzata sui gruppi più fragili della popolazione americana: non solo i gruppi a basso reddito (rappresentati per lo più da afro- e latino-americani), ma anche i bianchi con malattie croniche, ai quali le assicurazioni potranno (di nuovo) rifiutare l’acquisto di una polizza. Robert Pear sul New York Times  del 17 gennaio ha pubblicato una previsione di cosa succederà nei prossimi anni riguardo alla copertura assicurativa della popolazione americana: nell’arco di poco tempo il numero dei non assicurati tornerà ai livelli pre-ACA[1] (Figura 1)

Figura 1. USA. Numero dei non assicurati (al di sotto dei 65 anni) prima e dopo ACA (2013-2026)

Nel mezzo di questa discussione sorprende – a partire dal titolo “Health Care in the United States. A Right or a Privilege.” – un editoriale pubblicato ai primi di gennaio 2017 su JAMA, la rivista ufficiale dell’American Medical Association, a firma del direttore, Howard Bauchner[2].

Va riconosciuto alla riforma di Obama – sostiene Bauchner – il merito di aver consentito a 20-22 milioni di americani di aver ottenuto una copertura assicurativa sanitaria, di cui prima erano privi. Ma rimane il fatto che a tutt’oggi più di 25 milioni di cittadini americani continuano ad esserne privi. Obama poteva fare di più? Si chiede il direttore di JAMA, e – ancora – cosa succederà adesso che è arrivato un nuovo presidente, con un programma completamente diverso?

Obama forse poteva fare di più in termini di copertura, ma in questi otto anni di presidenza non ha affrontato la vera questione politica della sanità americana: Is health care coverage a basic right or a privilege? (“La copertura sanitaria è un diritto fondamentale o un privilegio?”). “Finchè questa domanda non sarà oggetto di dibattito e non troverà una risposta – afferma Bauchner, non sarà possibile raggiungere un consenso sull’obiettivo finale delle riforme sanitarie. Senza trovare un consenso sull’obiettivo, misurarne il successo sarà praticamente impossibile”.

E ora, in Italia? 

In Italia il concetto di salute come Basic Right (Diritto Fondamentale) è scolpito nella Costituzione dal lontano 1948, ma ce ne stiamo rapidamente dimenticando.  La Legge 833 del 1978, con l’Istituzione del Servizio sanitario nazionale, non solo ribadisce tale concetto, ma afferma solennemente che: “Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”. Anche di questo ce ne stiamo dimenticando.

A forza di dimenticare oggi siamo arrivati a rassegnarci all’idea che sia inevitabile (quindi “normale”) che milioni di persone rinuncino a curarsi per motivi economici o che centinaia di migliaia di malati di epatite C siano esclusi da una terapia salva vita. Stiamo, passo dopo passo, pervenendo all’idea “americana” che l’accesso alle cure sia un privilegio, e non più un diritto.

Non fa notizia nemmeno la continua emorragia di personale sanitario, il segnale più evidente e perverso dell’impoverimento del SSN. Dal 2009 al 2015 la sanità pubblica ha perso 40.364 dipendenti, 10.444 unità nel solo anno 2015. E il rapporto pubblicato dal Ministero dell’economia rileva anche la crescita dell’età media del personale e della precarietà lavorativa (vedi post).

Anche la prevenzione, altro pilastro della Legge 833/78, è scomparsa dai radar della politica sanitaria italiana. I dati contenuti nell’ultimo rapporto dell’OCSE sulla salute in Europa (Health at a Glance: Europe 2016) sono impressionanti, e anche per questo ignorati dai media. L’Italia è agli ultimi posti in Europa su tutti gli indicatori di salute che riguardano i giovani: sovrappeso/obesità infantile (peggio di noi solo la Grecia); fumo tra i 15enni (peggio di noi solo la Bulgaria); inattività fisica tra i giovani di 11-15 anni (peggio di noi nessuno – Vedi Figura 2). Questi dati, che preannunciano l’insorgenza precoce di malattie croniche tra la popolazione, fanno il paio con il dato tutt’altro che positivo sulla speranza di vita tra le persone ultra65enni. Queste infatti godono sì di una notevole longevità (intorno ai 20 anni – tra i primi in Europa), ma questa è resa precaria da un lungo periodo di cattiva salute (con solo 7-8 anni di buona salute – tra gli ultimi in Europa – Figura 3).

Figura 2. Attività fisica quotidiana (da moderata a intensa), giovani di 11-15 anni. 2013-14.

Figura 3. Speranza di vita e speranza di vita in buona salute, a 65 anni, per genere. 2014.

Di tutto ciò – di diseguaglianze nella salute (diretta conseguenza delle crescenti diseguaglianze socio-economiche nella società) e di epidemia delle malattie croniche (conseguenza anche della latitanza delle attività di prevenzione) – la politica scientemente si disinteressa. Mentre si dedica spasmodicamente all’esercizio del Lego, a come smontare e rimontare le ASL, riducendone il numero. Un esercizio inutile e dannoso, come dimostra il post dedicato alla Merger Mania, ma molto in voga, con una distribuzione bipartisan. Questo esercizio è in parte frutto di superficialità e ignoranza (“facciamo vedere che ci diamo da fare, anche se non sappiamo bene ciò che facciamo”), ma è soprattutto figlio della stessa logica che ha partorito la proposta di riforma costituzionale: la logica dell’accentramento del potere nelle mani di pochi.

Questa logica è stata clamorosamente bocciata nel referendum dello scorso 4 dicembre. Con una partecipazione straordinaria di cittadini che hanno chiesto alla politica di occuparsi dei problemi reali della società – povertà, lavoro, salute, istruzione, immigrazione, ambiente – e non di giochi di potere. Nonostante ciò tutta la discussione post-referendum si è concentrata sulla data del voto. Non una parola sui programmi (povertà, lavoro, salute, istruzione, immigrazione, ambiente). Tutto – ancora una volta – si gioca sulla lotta per il potere e per la propria sopravvivenza politica.  Ma fermarsi un attimo a pensare, no? Per chiedersi per esempio: l’accesso ai servizi sanitari è un diritto fondamentale o un privilegio?

Bibliografia

  1. Health Law Repeal Could Cost 18 Million Their Insurance, Study Finds, Robert Pear. NYTimes, 17.01.2017
  2. Bauchner H. Health Care in the United States. A Right or a Privilege. JAMA 2017;317:29

Gavino Maciocco

30/1/2016 www.saluteinternazionale.info

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