L’appello degli insegnanti italiani a sostegno dei Fridays for Future

Se si avesse realmente coscienza dell’enormità della questione climatica e del collasso ecologico in corso, entrambi imputabili non a cause naturali ma interamente alle attività umane, sicuramente non staremmo qui seduti a leggere o a scrivere articoli di giornale. Non andremmo neppure in ufficio domattina, né ci dedicheremmo alle nostre occupazioni quotidiane. Saremmo già in strada a guardarci sgomenti negli occhi e a fermare tutto, a bloccare le autostrade e tagliare le gomme delle auto, a strappare i contatori elettrici dei condomini, a fare irruzione nei cantieri e interrompere la produzione delle fabbriche. Non avremmo altro pensiero né altra preoccupazione. Impossibile? Invece ciò che sembra veramente impossibile ed incredibile è l’attuale crisi climatica ed ecologica, che ci sta facendo precipitare nel baratro che sta tra il tempo storico, che è a nostra misura, e il tempo geologico, che è incommensurabile. Questa frattura ci inchioda a un tempo – ancora storico – per rimediare e invertire la tendenza che è di pochi anni (fino al 2030, ci avvisano), cioè appena un decennio per tentare ogni cosa sia umanamente possibile o impossibile. Altrimenti ci faremo presto avvezzi a ciò che è realmente incredibile e impossibile. Le migliori conquiste delle scienze teoriche e sperimentali ci dicono infatti una cosa tutto sommato semplice, ma che è da far tremare le vene ai polsi: le conseguenze delle attività umana sul pianeta – agricoltura intensiva, urbanizzazione, emissione di gas climalteranti – potrebbero avere un impatto sulla biosfera paragonabile a quello della caduta sulla Terra del proverbiale asteroide che estinse i dinosauri e che causò la quinta estinzione di massa del vivente, 65 milioni di anni fa. Un futuro totalmente inimmaginabile, altro che gli scenari fantapolitici dei romanzieri novecenteschi dalla fantasia più fervida. Un futuro che peraltro già comporta, per chi se ne fa accorto, notevoli scompensi per la salute psicologica.

Ebbene, circa un milione e mezzo di bambini e i ragazzi di 123 paesi del mondo sono già scesi per le strade durante la mattina dello scorso 15 marzo, in quello che hanno chiamato “sciopero globale per il clima”. Hanno già bloccato tutto, interrotto le loro attività quotidiane (la scuola), bloccato il traffico. Si sono dati un nome, quello dei “Venerdì per il Futuro”, Fridays for Future. Sono in mobilitazione permanente ogni venerdì, con il plauso e il supporto concreto della comunità scientifica. Si ispirano, come gli attivisti di Extinction Rebellion, ai grandi maestri della disobbedienza civile quali Gandhi, Martin Luther King o Capitini. Il loro primo sciopero è stato un piccolo miracolo: si calcola che soltanto gli studenti italiani scesi in piazza quel giorno, nonostante il silenzio dei mass media e grazie soltanto al tam-tam sui social e al passaparola, siano stati pressappoco 370.000. Una generazione criticata e vituperata, i millennials che a quanto pareva erano capaci soltanto di camminare con lo sguardo fisso allo schermo dello smartphone, ha alzato la testa e ha impartito una severa lezione alle generazioni che l’hanno preceduta. Difficile trovare parole che non siano di elogio di fronte a questo salto di coscienza che è anche salto generazionale. Entusiasmante trovarsi in mezzo a un corteo – io partecipavo a quello padovano, forte di ventimila studenti di tutte le scuole della provincia – in cui non si sapeva bene che cosa cantare e quali slogan scandire, vista l’assoluta novità di un movimento che pare segnare una nuova fase dell’ecologismo contemporaneo.

L’istituzione scolastica italiana, tranne rare eccezioni, sta a guardare. Mentre in altri paesi la situazione è più vivace e gli insegnanti si pongono in concreto aiuto agli studenti – penso agli insegnanti svedesi che protestano il venerdì mattina davanti al ministero dell’Educazione a Stoccolma e che rischiano concretamente il licenziamento giacché i dirigenti scolastici hanno, lì, maggiore discrezionalità sui contratti – in Italia la scuola non si mobilita o si pronuncia timidamente, e rischia una gran brutta figura. In occasione della seconda mobilitazione, quella imminente del 24 maggio, il silenzio degli insegnanti sarebbe stato assordante se non fosse stato per l’appello diramato sui canali ufficiali del movimento Fridays for Future e che porta la firma dei “Teachers for Future” italiani. Essi si dichiarano in stato di emergenza e di allarme, e con questo spirito chiedono ai colleghi di convalidare le assenze per la partecipazione allo sciopero e alle associazioni sindacali di categoria di sostenere la giornata indicendo uno sciopero nazionale per il personale docente e ATA (ma nessuno ha intenzione di farlo, nonostante l’appello di molti delegati e dirigenti sindacali favorevoli in seno alla CGIL). Gli insegnanti chiedono soprattutto ai presidi di dichiarare simbolicamente e fattualmente lo “stato di emergenza climatico ed ecologico” per la propria scuola, allegando delle coraggiose linee guida con suggerimenti ed indicazioni utili al caso, tra cui la democratizzazione dei processi decisionali interni alla scuola inerenti alla mobilitazione climatica, l’aggiornamento dei programmi alla luce dell’emergenza ecologica, la richiesta di efficientamento e la coibentazione energetica dell’edificio e la pianificazione della mobilità da e verso scuola a emissioni zero. Il documento è stato realizzato con metodo di scrittura collettiva da una ventina di docenti di tutta Italia di ogni ordine e grado, tra cui Monica Capo, portavoce dei Teachers for Future, insegnante della primaria e attivista ambientale. La sua scuola – l’I.C. Capasso Mazzini di Frattamaggiore (NA) – è stata la prima a dichiarare emergenza climatica ed ecologica; l’appello è stato poi raccolto anche dall’ITI Ettore Majorana di Grugliasco (TO) e dall’IISS Notarangelo – Rosati di Foggia ed è stato sottoscritto, tra gli altri, dal presidente della Società Meteorologica italiana Luca Mercalli, da Marco Armiero, direttore dell’Environmental Humanities Laboratory del KTH Royal Institute of Technology svedese, da Claudio Cassardo, membro della redazione di Climalteranti e docente presso la Facoltà di Scienze MMFFNN dell’Università di Torino, dalla giornalista del Corriere della Sera Amalia De Simone, dal presidente di Peacelink Alessandro Marescotti e da Padre Alex Zanotelli. Sembra chiaro l’obiettivo degli attivissimi – ma ancora troppo pochi – Teachers for Future italiani: non solo invitare il mondo della scuola a far proprie la voce degli studenti e porsi in prima linea nella lotta contro il collasso climatico ed ecologico, ma anche regalare agli studenti uno strumento da impugnare e fare proprio per dare una maggiore – come se ce ne fosse bisogno – credibilità e forza politica alle loro rivendicazioni.

Simone Weil diceva che non c’è nulla di più alto per cui vivere – e per cui morire – della verità, della giustizia e della bellezza. Mi pare che la posta in gioco, in questi nostri tempi che sono agri e un poco apocalittici, sia proprio questa.

Davide De Martini

Davide De Martini è nato a Padova. Ha studiato all’Università degli Studi di Padova conseguendo nel 2015 la laurea in Filologia Moderna con una tesi dal titolo L’immaginazione sovversiva. Apocalissi, cataclismi e rivolte in Porta, Morselli, Bianciardi. Si occupa di pedagogia ed educazione. Ha insegnato presso la Scuola di Titù di Treviso, è educatore libertario e docente di materie letterarie nella scuola media. Attualmente collabora nell’organizzazione del movimento Fridays for Future Italia.

21/5/2019 www.inchiestaonline.it

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