Lavoratori in lotta contro il Jobs Act

L’abbiamo detto e scritto a più riprese. Le mobilitazioni dei lavoratori d’Oltralpe contro il jobs act in salsa francese sono state scientemente oscurate dai media nostrani, almeno finché hanno potuto. Poi, quando era ormai impossibile tacere, hanno iniziato con la criminalizzazione del movimento di lotta. Non stupisce dunque che quanto stanno mettendo in campo i lavoratori in Belgio resti ugualmente circondato da un assoluto silenzio.

Certo, non si sono raggiunte le vette di Parigi, ma a Bruxelles c’è del fermento. E, cosa ancor più importante, il tutto nasce dall’opposizione dei lavoratori alla riforma del mercato del lavoro in salsa belga.Una riforma che segue, a grandi linee, la direzione del Jobs Act nostrano e della Loi El-Khomri francese. E che sta incontrando la resistenza di migliaia di lavoratori. 80.000 in piazza il 24 maggio a Bruxelles non sono pochi. A maggior ragione in un paese stretto nella morsa del controllo più ferreo, dopo l’attacco dell’ISIS all’aeroporto della capitale. Ma la stampa nostrana preferisce guardare altrove.

Noi no. Perché pensiamo che quanto stanno mettendo in campo i nostri fratelli e le nostre sorelle in Belgio parli direttamente a noi. Perché l’onda lunga del movimento francese ha cominciato ad esondare dai confini nazionali. Perché l’imposizione di austerità, precarietà, innalzamento dell’orario di lavoro, sono tratti comuni a tutti i paesi dell’Unione Europea (e non solo). E a patirne le conseguenze siamo sempre noi, sempre gli stessi.

Per questo pubblichiamo questo contributo di alcuni compagni italiani emigrati a Bruxelles, che stanno prendendo parte al movimento belga. Perché apre un ulteriore squarcio sull’attacco che stiamo subendo anche noi, e contemporaneamente uno spiraglio in merito a ciò che anche noi, qui ed ora, possiamo iniziare a fare. Senza limitarci ad esaltare fenomeni più o meno esotici, ma impegnandoci in prima persona a riprendere ciò che di buono viene da ogni parte del mondo.

Cosa sta succendendo in Belgio?

Dopo gli scioperi del 2014 riguardanti l’aumento dell’eta pensionabile e l’abolizione dell’indicizzazione dei salari, il governo di destra, capeggiato dal liberale francofono Michel e dal nazionalista fiammingo De Wever, ha sferrato un nuovo attacco ai diritti dei lavorarori e alle libertà sindacali.

Infatti, dopo un anno di inutili incontri tra il governo e i principali sindacati (la socialista FGTB e la confederazione cristiana CSC), all’inizio del 2016 è stata presentata una nuova proposta per regolare il diritto di sciopero. Nel dettaglio, la proposta aveva ed ha come scopo di abolire lo status giuridico dei sindacati, il che permetterebbe di applicare sanzioni amministrative alle organizzazioni sindacali; di designare l’eventuale responsabile in caso di incidenti e di applicare il servizio minimo durante le giornate di sciopero in tutti i settori oltre ai settori già definiti “essenziali” dall’accordo precedente[1]. La natura di questa negoziazione da parte del governo si rivela palesemente: bisogna trattare al ribasso sui diritti acquisiti, come avviene nel resto d’Europa in questo momento. Una ferma provocazione che ha obbligato le organizzazioni sindacali ad abbandonare il tavolo di trattativa per difendere la loro stessa esistenza e agibilità politica.

L’intensificazione dell’attacco – che ha portato al nuovo piano di azione sindacale e alla grande manifestazione nazionale a Bruxelles del 24 maggio – è un’ulteriore proposta del ministro del lavoro Peeters, da cui il nome «Loi Peeters», di calcolare il monte ore lavorativo su base annuale anziché settimale, introducendo la «possibilitä» di lavorare 45 ore al posto delle attuali 38.

Di fatto, in questo modo verrebbe meno la possibilità di contrattare a livello collettivo ed a livello di categoria la flessibilita dell’orario di lavoro per isolare e individualizzare il singolo lavoratore di fronte alla volontà padronale.

L’ulteriore conseguenza della proposta di legge andrebbe ad incidere sulla regolamentazione dello straordinario sui posti di lavoro. Di fatto, le ore considerate come straordinario diverrebbero attive a partire dalla 45esima ora, il che implicherebbe l’impossibilità pratica e materiale di accedere agli aumenti, e la possibilità altrettanto materiale di lavorare di più, senza alcun costo aggiuntivo per le aziende.

Una proposta quindi, che segue alla lettera la tanto discussa «Loi El Khomri » francese volta ad aumentare la precarietà e lo sfruttamento dei lavoratori. Dati alla mano, in sostanza si richiedono sin da subito 12 giornate di lavoro in più durante l’anno lavorativo: così facendo non solo si inciderebbe direttamente sulle condizioni psico-fisiche dei lavoratori, ma si disincentiverebbero anche le assunzioni di nuovo personale.

Come se non bastasse, le imprese potrebbero ricorrere ad una nuova forma contrattuale chiamata«contratto interinale a tempo indeterminato». Esso distruggerebbe di fatto ogni contrattazione collettiva, atomizzando il rapporto di lavoro di ogni singolo lavoratore. Ciò – oltre a rappresentare una minaccia per il diritto di sciopero del lavoratore interinale – rappresenterebbe un attacco anche per il sistema di sicurezza sociale dei lavoratori, i quali vedrebbero diminuire la parte del salario destinata alla stessa. Questo sistema, aggirerebbe infatti il sistema di assicurazione collettiva, spingendo verso un sistema «americano», dove ogni lavoratore diverrebbe responsabile, individualmente, di costruire la propria protezione sociale. Non è quanto sta avvenendo in Italia con i recenti rinnovi contrattuali e le proposte di welfare aziendale?

Cosa prevede il «plan d’action»?

Spinti dalla rabbia montante dei lavoratori, i sindacati hanno messo in atto un nuovo piano di azione che ha preso avvio il 24 maggio 2016 con la grande manifestazione nazionale a Bruxelles fino alla giornata che decreterà lo sciopero generale del 7 ottobre prossimo.

Le 80 mila persone scese in piazza hanno dimostrato un’opposizione ferma e netta alla «Loi Peteers», nonostante essa si delinei in un periodo incerto per la mobilitazione che è quello pre-estivo. Le ulteriori tappe di questo piano sindacale che si prefigge di far indietreggiare il governo, prevedono delle giornate di mobilitazione e di scioperi su scala nazionale. Il 31 maggio l’intero settore pubblico, si è riversato nelle strade della capitale, portando in piazza 15 mila persone. Si attende inoltre una giornata di sciopero della FGTB del 24 giugno; una grande manifestazione contro il TTIP (il famoso trattato transatlantico) per il 20 settembre; la manifestazione nazionale contro il governo del 29 settembre e, infine, il già menzionato sciopero generale che metterà in piazza tutte le categorie di settore in Belgio.

I settori più conflittuali

Dentro la lotta, sono due le categorie che al momento fanno più discutere a livello mediatico. I primi sonogli agenti del settore penitenziario, in sciopero da sei settimane, che stanno denunciando le condizioni di invivibilità delle prigioni in Belgio e sui posti di lavoro dove il personale in pensione non viene più sostituito e la carenza nell’organico implica dure condizioni di lavoro. La minaccia che si palesa è il mancato pagamento del salario nel caso di proseguimento dello sciopero.

L’altro settore è quello dei lavoratori della SCNB, la società di trasporto pubblico nazionale, in agitazione a causa di una circolare che avrebbe bloccato il pagamento dei permessi lavorativi.

In diverse stazioni sul territorio nazionale, i lavoratori hanno bloccato e scioperato senza preavviso, paralizzando il traffico ferroviario a partire dal 25 maggio.

È chiaro che gli sviluppi delle lotte e degli scioperi in Francia abbiano avuto non solo un’influenza diretta sull’opinione pubblica belga, ma anche sulla radicalità delle azioni della lotta.

Sull’onda di quanto accade aldilà della Mosa, alcuni settori del sindacato piu combattivo in questo momento, il socialista FGTB, hanno addirittura dichiarato il proseguimento dello sciopero fino alla caduta del governo.

Un altro elemento che dimostra la chiara influenza del movimento francese in Belgio è la nascita di Nuit debout, un movimento di cittadini, intellettuali e giovani che si è appropriato di una piazza pubblica, quella di Mont des Arts, per discutere di temi di attualità, per sperimentare nuovi spazi di discussione e di azione e nuove relazioni sociali. Seppure non ha raggiunto i numeri delle piazze francesi, questo tentativo segnala il desiderio e la volontà di reagire allo stato di cose presenti, alle politiche di austerità messe in atto dai governi europei, agli attacchi crescenti ai diritti sociali, politici e sindacali.

Anche le organizzazioni studentesche si sono organizzate in una piattaforma comune, chiamata «blocchiamo le 45 ore» che ha messo in atto azioni di disobbedienza civile ed interviene attivamente nelle manifestazioni a fianco dei lavoratori.

Belgio chiama italia

La linearità delle contro-riforme che stanno attaccando la classe lavoratrice in tutta Europa, sta finalmente saldando un fronte di opposizione, come in Francia e in Belgio, dove le lotte si stanno imponendo mediaticamente e fanno parlare di sé.

La mancanza totale di investimenti pubblici, la disoccupazione crescente e l’attacco ai diritti anche nei paesi storicamente dotati di un forte welfare state, impongono non solo una riflessione sulla profondità della crisi oggi in Europa, ma anche un esempio e una chiave per l’azione.

Dai racconti della Francia e del Belgio potrebbe apparire che le forze sindacali siano il motore centrale e prioritario per mettere in atto una contestazione ai governi nazionali e farli indietreggiare. È innegabile l’influenza che i sindacati possono svolgere in una mobilitazione e l’organizzazione che possano mettere in atto. Tuttavia bisogna dire che le lotte oggi in corso in Francia e in Belgio vedono pezzi della base sindacale spingere in un senso di rottura, costringendo i sindacati a farsi reali portavoce delle lotte, senza però abbandonare il protagonismo nelle piazze.

Cosa aspettiamo ad acchiappare questo vento caldo che spira in Europa, e a portarlo anche qui, aldilà delle Alpi?

“Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.

[1] Non è in fondo quanto accaduto in Italia con la legge antisciopero 146 del 1990, che la Commissione di Garanzia ha tentato di estendere, su pressione del Governo, anche ai facchini della Granarolo che scioperavano a Bologna contro le condizioni imposte da cooperative mafiose? E non è quanto il Governo Renzi ha minacciato e minaccia di fare ancora oggi in Italia?

9/6/2016 http://clashcityworkers.org

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