Italia oggi, lavoro e sfruttamento. Agro pontino. Schiavi a tempo indeterminato. L’ultimo dossier di In Migrazione e Flai-Cgil denuncia le condizioni di lavoro disumane nei campi attorno Latina. Indiani e sikh «sfruttati a tempo indeterminato». Ma finalmente qualcosa si muove

Azienda in provincia di Latina © Andrea Sabbadini

«Ho lavo­rato per una coo­pe­ra­tiva agri­cola vicino Ter­ra­cina. Il padrone mi assunse pro­met­ten­domi 800 euro. Sono stato pagato solo un mese ma ne ho lavo­rati 6. Il padrone ha scritto su un foglio bianco che mi avrebbe dato altri 2000 euro, ma ne ho rice­vuti solo 300. Lui è un grande ladro». Que­sta è la testi­mo­nianza di H. Singh, gio­vane brac­ciante indiano in pro­vin­cia di Latina che nell’Italia di oggi si trova a vivere quo­ti­dia­na­mente da schiavo. La sto­ria di Singh viene rac­colta ancora una volta dall’associazione In Migra­zione con un nuovo dos­sier dal titolo «Sfrut­tati a tempo indeterminato»

Il dos­sier sot­to­li­nea la per­si­stenza di un sistema di reclu­ta­mento e sfrut­ta­mento dei brac­cianti indiani pon­tini, pre­va­len­te­mente sikh, infor­male ma per­va­sivo, che prende forma nelle pie­ghe delle norme e delle prassi vigenti. Moda­lità per schia­viz­zare i brac­cianti indiani, tra capo­rali, anche etnici, e vio­lenze. Un sistema rodato che fa leva su una cricca di avvo­cati, con­su­lenti del lavoro e com­mer­cia­li­sti cor­re­spon­sa­bili di que­sta ver­go­gna. I brac­cianti indiani, obbli­gati a chia­mare padrone il loro datore di lavoro, lavo­rano 12–14 ore al giorno e ven­gono pagati solo per 2–3 ore. Sulle loro buste paga ven­gono regi­strati 4 giorni di lavoro a fronte dei 28–30 lavo­rati. Dovreb­bero rice­vere circa 1200 euro al mese e pren­dono solo acconti di 300–400 euro. Il dos­sier pub­blica alcune buste paga, a volte scritte su fogli bian­chi sui quali il padrone appunta il sala­rio che darà al lavoratore.

Già a mag­gio di quest’anno il mani­fe­sto pub­blicò in ante­prima un dos­sier ancora di In Migra­zione che ha fatto il giro d’Europa. «Doparsi per lavo­rare come schiavi» era il titolo e rac­con­tava l’utilizzo di sostanze dopanti da parte dei brac­cianti indiani, non per “eva­dere” da una realtà repres­siva e vio­lenta ma per restarvi, oppressi, schiavi, subor­di­nati agli ordini del padrone, per pro­durre alle con­di­zioni e secondo i ritmi imposti.

Lo sa bene anche la Flai-Cgil che su que­sti temi è impe­gnata in un deli­cato lavoro di soste­gno ai migranti e di lotta al capo­ra­lato che ha con­dotto la Magi­stra­tura pon­tina ad aprire i primi pro­cessi, dove pro­prio In Migra­zione e la Flai si sono costi­tuite parte civile.

Leg­gere il dos­sier fa indi­gnare pro­fon­da­mente. Molti brac­cianti stra­nieri e ita­liani ogni mat­tina devono atten­dere la chia­mata del capo­rale per sapere se, dove e con quale com­penso lavo­re­ranno. M. Singh è un gio­vane indiano di Sabau­dia, ha mani con­su­mate dalla fatica ma non gli manca la forza per rac­con­tare la sua sto­ria, con corag­gio e dignità: «Il padrone mi deve ancora 26mila euro. Sono 7 anni che lavoro a Sabau­dia e sinora ho preso al mas­simo acconti di 200/300 euro al mese. Eppure lavoro tutti i giorni, anche la domenica».

Così lavora e vive oggi uno schiavo in Ita­lia. La sto­ria di K. Singh è anche peg­gio. Lo dice guar­dan­doti negli occhi, che qual­che volta durante il rac­conto diven­tano lucidi: «Io lavoro tutti i giorni a Pon­ti­nia, con altri due indiani, dome­nica com­presa. Mi alzo alle 6.00 e vado in cam­pa­gna fino alle 12.00. Poi un’ora di riposo per man­giare o ripo­sare. Rico­min­cio a lavo­rare dalle 13.00 fino alle 19.00. In estate lavoro di più per­ché c’è più luce. Con­ti­nuo a lavo­rare anche dalle 20.30 fino alle 24.00 den­tro il capan­none per fare le cas­sette di ver­dura da spe­dire in Ger­ma­nia. 15 ore di lavoro, anche più, per soli mille euro. Lavoro come uno schiavo».

Su que­sto fronte In Migra­zione, con l’assessorato all’agricoltura, l’Arsial e l’Osservatorio regio­nale per la sicu­rezza e la lega­lità della Regione Lazio e il con­tri­buto della Flai-Cgil, rea­liz­ze­ranno il pro­getto Bella Far­nia, dal nome del resi­dence in cui risiede parte della comu­nità indiana pon­tina. Il pro­getto pre­vede l’apertura del primo cen­tro poli­fun­zio­nale con atti­vità di media­zione cul­tu­rale, inse­gna­mento dell’italiano, assi­stenza legale e orien­ta­mento al lavoro.

Atti­vità per impe­dire sto­rie come quella di un ragazzo indiano impie­gato in un cam­peg­gio di Ter­ra­cina. Il padrone ita­liano lo ha ridotto let­te­ral­mente in schia­vitù. Il ragazzo, entrato in Ita­lia clan­de­sti­na­mente nel 2011, fu assunto come guar­diano not­turno e uomo di fatica: 24 ore di lavoro filate a 600 euro al mese. Un com­penso durato poco per­ché nell’ottobre del 2012 venne con­sen­tito ai datori di lavoro di met­tere in regola i pro­pri dipen­denti. Il gio­vane indiano venne obbli­gato a pagarsi da solo i con­tri­buti rima­nendo di fatto senza red­dito, amma­lan­dosi gra­ve­mente. È a quel punto che alcuni turi­sti sen­tono i lamenti del gio­vane pro­ve­nire dalla rou­lotte, abban­do­nato e con gravi segni di malnutrizione.

Nel corso dell’ultimo anno qual­che segnale è però arri­vato, anche da alcuni impren­di­tori che hanno deciso di con­tra­stare le imprese che vio­lano diritti umani e regole del mer­cato. Alcuni inter­venti della Magi­stra­tura e delle forze dell’ordine hanno dato ragione a In Migra­zione, con­fer­mando un sistema di reclu­ta­mento e sfrut­ta­mento dovuto alla col­la­bo­ra­zione di inter­me­diari indiani e italiani.

Nel marzo del 2013 si è con­clusa una com­plessa atti­vità d’indagine della squa­dra mobile di Latina che ha disar­ti­co­lato un’organizzazione cri­mi­nale dedita al favo­reg­gia­mento dell’immigrazione clan­de­stina e del falso documentale.

A luglio scorso sono state invece arre­state 7 per­sone per sfrut­ta­mento lavo­ra­tivo; ai brac­cianti indiani veniva trat­te­nuta la metà della somma cor­ri­spo­sta dai datori di lavoro (circa 500/600 euro rispetto a un com­penso di 1.000/1.200 euro).

Senza con­tare i seque­stri di ingenti quan­ti­ta­tivi di sostanze stu­pe­fa­centi, soprat­tutto oppioidi, anti­spa­stici e metan­fe­ta­mine. Anche la Com­mis­sione Anti­ma­fia si è inte­res­sata al feno­meno ascol­tando le denunce di In Migra­zione e Flai.

Ora la pro­po­sta è di ricon­durre il reato di capo­ra­lato nel 416 bis, ossia nel reato di asso­cia­zione di stampo mafioso, impli­cando respon­sa­bi­lità dirette dei datori di lavoro e capo­rali per la vio­la­zione siste­ma­tica dei diritti umani, e di tor­nare al col­lo­ca­mento pub­blico. Intanto domani sarà, per migliaia di brac­cianti indiani pon­tini, un altro giorno di ordi­na­rio sfruttamento.

Marco Omizzolo, Roberto Lessio

25/10/2014 www.ilmanifesto.info

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