Lavoro é sfruttamento e ne va della nostra salute

Nell’ambito del nostro ruolo di indagatori dell’incubo chiamato lavoro salariato, abbiamo deciso di contribuire al diradamento di alcune nebbie create ad arte, per nascondere la reale natura di cio’ che per scopi strumentali viene definita la “FORTUNA DI AVERE UN LAVORO”.

Un compito vasto da assolvere a cui tendiamo solamente a dare il nostro contributo iniziando con una riflessione che può intendersi come incipit del lavoro che vorremmo sviluppare. 

La riflessione punta a raccogliere una dei bandoli della matassa che potremmo definire l’ideologia del Lavoro, per definire meglio la sua natura profonda di sfruttamento. 

Partiamo quindi da un dato che da più fonti sta emergendo (INPS, ISTAT, Studi Legali, Medici Competenti, ecc) per costruire insieme un dibattito collettivo sull’argomento e speriamo anche stimolare qualche argomentazione ulteriore.

Il dato da cui vorremmo partire è la crescita definita “significativa” delle denunce di malattie professionali. Per i più digiuni si intende malattia professionale quella patologia permanente o temporanea che sia scaturita direttamente, che abbia quindi una correlazione certa e riconosciuta (vedremo in seguito come) tra la sua emersione e l’attività svolta.

Da cosa dipende questo aumento delle denunce è l’aspetto che vorremmo indagare. Perché  se è impossibile ignorare la devastazione che si va determinando in termini di infortuni o morti sul lavoro, il tema delle conseguenze di salute che il lavoro ti lascia anche a chi riesce a sopravvivergli è ancora scarsamente considerato, ci permettiamo di dire soprattutto per un deficit di consapevolezza da parte delle lavoratrici e dei lavoratori stessi.

Dunque per tornare alle cause di questo significativo incremento c’è certamente da tenere in considerazione sia la sistematizzazione normativa organizzata nel T.U. 81\08 che ha il compito di raccogliere in un unico quadro normativo gli oneri e i diritti in relazione alle salute e alla prevenzione nei luoghi di lavoro che ha un unico reale importante compito: imporre ai datori di lavoro di rendere edotti e consapevoli i propri dipendenti dei loro diritti, delle loro agibilità, del loro ambito di rischio e delle norme e procedure a cui attenersi o alle quali opporsi se ritenute insufficienti.

Nello stesso anno vengono aggiornate e ampliate le tabelle assicurative dell’INAIL relative alle malattie professionali (DM 9 aprile 2008) che introducono per l’impatto che negli anni sta emergendo in termini statistici di alcune patologie in particolare: Patologie Osteoarticolari e Patologie Neoplastiche.

Per riassumere quindi una maggiore consapevolezza e un quadro normativo che riconosce come possibili correlazioni nuove e piu’ diffuse patologie sono certamente gli elementi che negli ultimi anni stanno facendo crescere esponenzialmente le denunce. Anche perché negli anni precedenti erano talmente ristrette le malattie cosiddette “tabellate” che di fatto scoraggiavano i percorsi di denuncia e riconoscimento. 

Tenuto conto che queste denunce hanno necessità di una conferma del riconoscimento dall’ente terzo o da un giudice, che si attesta intorno al 40% di media, ci preme evidenziare che questo ne determina un risarcimento in capitale per i casi di temporaneità della patologia o in indennità pensionistica. Prima conclusione che dopo tanti anni continuiamo a non comprendere perché per un danno causato ad un cittadino da un soggetto privato a scopo di lucro, venga poi in soccorso lo stato a sostenere il reddito del cittadino stesso, non dovrebbe essere il soggetto privato ad esserne obbligato?

Per essere concreti questo dilemma assorbe 4,1 miliardi a fronte di 700mila rendite relativamente a infortuni sul lavoro e malattie professionali! (repor ISTAT 17\02\21).

Da notare inoltre che a cause delle strettoie normative che impediscono di fatto un fenomeno diffuso nel ricorrere alle autorità competenti per il riconoscimento di tali patologie correlate all’attività lavorativa potremmo trovarci di fronte ad uno tsunami sociale ed economico piu’ vasto di quello che ci viene rappresentato, che forse già esiste ma che teniamo politicamente e socialmente nascosto sotto il tappeto.

Perché se le denunce per malattie professionali hanno avuto un significativo incremento attestandosi intorno alle 60mila annue, affiancate da circa 1milione di infortuni sul lavoro e la quota mille ormai nuovamente sfondata di morti sul lavoro, abbiamo un altro dato che dovrebbe attirare l’attenzione delle istituzioni sanitarie e governative piu’ in generale: i decessi in età inferiore ai 65 anni che è considerata quindi età lavorativa ai sensi della legge pensionistica.

Prendendo di questa Tabella solamente i dati relativi ai decessi causa malattie circolatorie, ischemiche, sistema nervoso e tumori che potremmo quindi considerare a tutto tondo sintomi dell’usura del corpo umano anticipatamente all’aspettativa di vita attestatasi intorno agli 80 anni di media per l’UE, relativamente all’Italia ma comunque in media con il quadro europeo abbiamo più di 1 decesso ogni 1000 abitanti per queste cause. Cause che se non tutte riconducibili direttamente all’attività lavorativa svolta certamente ne contribuisce in una buona quota variabilmente ovviamente alle condizioni di stress e ambientali in cui si passa 1\3 o più della propria vita quotidiana.

Non crediamo neanche che sia un caso che oltre i 2\3 di malattie professionali e infortuni riconosciuti provengano dal settore dell’industria, meno del 10% dall’agricoltura (settori dunque lo sforzo fisico e l’attività manuale hanno ancora un peso importante) il restante dagli altri settori.

Un dato certamente minore ma comunque rilevante è l’aumento preoccupante di ipoacusie riconosciute come malattia professionale, perché se c’è certamente una correlazione con le tecnologie diffuse nella nostra vita per attività extralavoro, è altrettanto chiaro tanto da farne determinare un riconoscimento della patologia legata al lavoro, quanto queste tecnologie impattino sia in termini di organizzazione del lavoro in qualsiasi settore (pensiamo all’utilizzo di smartphone e video call all’interno di qualsiasi ambito oltre a quanto deriva dal mancato utilizzo di DPI per attività edili o industriali) ma anche alla diffusione di miriadi di callcenter a scopo di caring per l’utenza, marketing, vendita ecc. ecc. che oggi coinvolge qualche centinaia di migliaia di addetti.

Per concludere questa prima pillola di presentazione del lavoro che vorremmo svolgere, se questa epoca pandemica ha messo in risalto le diseguaglianze tra chi ha un lavoro salariato strutturale e chi invece ne ha o aveva uno precario, non ha potuto risolvere il nodo principale del sistema di produzione capitalistico dove il profitto viene prima di tutto per antonomasia e la salute di chi lo produce è solo un orpello di cui si deve far carico la collettività.

Non nascondiamo che ci piacerebbe pensare ad una società più simile ad un’esperienza raccontataci qualche anno fa dagli operai di una fabbrica occupata in Argentina, dove uno dei primi risultati ottenuti da una produzione orientata solo al sostentamento dei salari degli operai e addetti, senza necessità di profitto  per altri, aveva prodotto ZERO INFORTUNI in luogo tristemente famoso fino alla direzione perpetrata al proprietario prima dell’occupazione.

Il Lavoro salariato è sfruttamento, e prima o poi ne paghiamo anche le conseguenze.

Gruppo d’inchiesta Sicurezza e Lavoro. Tortona

14/7/2021

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *