Lavoro: la disinformazione mainstream

Risale al 20 marzo un articolo – pubblicato sul sito “dataroom@corriere.it” – attraverso il quale Milena Gabanelli e Francesco Tortora denunciavano la “trappola” dell’eccessiva flessibilità presente nel mercato del lavoro italiano.
In estrema sintesi, l’articolo appariva un atto di denuncia delle condizioni realizzatesi, in Italia, nel corso degli ultimi venticinque anni. A partire dal “Pacchetto Treu” del governo Prodi e fino al Jobs-act di Renzi, passando attraverso l’ormai famigerata(1) “legge Biagi”.
Venivano richiamati, in particolare, i timori relativi al preannunciato ritorno dei voucher, le numerose perplessità legate alla notevole crescita dei contratti a termine, l’aumento della precarietà del lavoro – considerata una vera e propria “trappola” per milioni di lavoratori – e, non ultimo, il dramma del c.d. “lavoro povero”.
Ne discendeva un panorama per nulla rassicurante.
Il nostro, però, è un Paese molto strano! Nel quale c’è sempre qualcuno che – contando sull’assordante (e dispersivo) flusso di notizie cui siamo costantemente soggetti, sulla superficialità del “lettore medio” e, soprattutto, sulla (diffusa) mancata conoscenza dei fatti – ritiene di poter smentire anche ciò che è inconfutabilmente vero e supportato da dati oggettivi.
E’ il caso della vera e propria opera di “disinformazione” nella quale, con sistematicità – attraverso il sito dell’Associazione “Anna Kuliscioff” – si esercita, Claudio Negro.
L’intenzione, in verità, appariva nobile: “evidenziare le inesattezze contenute nell’articolo di Milena Gabanelli pubblicato nel “Data Room”.

Peccato che, in realtà, Claudio Negro ricorra al “gioco delle tre carte” solo per tentare di screditare le giuste considerazioni della Gabanelli.
Seguendo lo stesso schema adottato da Claudio Negro:

La Gabanelli parla di aziende “che coprono qualche ora di lavoro con i buoni e il resto pagato a nero”, riferendosi all’uso distorto dei voucher già realizzato dal 2008 al 2015 – dopo la loro estensione ad altre figure professionali (governo Prodi) e a tutti i settori produttivi (governo Monti) – quando i lavoratori coinvolti passarono(2) da circa 25 mila ad oltre 1 milione e 400 mila! Claudio Negro fa intendere, invece, che la Gabanelli si riferisca al presente e ritiene di rassicurare tutti arrivando a “scoprire l’acqua calda”. Precisando cioè che, dal 2017, i datori di lavoro sono tenuti a comunicare tramite SMS l’attivazione del contratto. Ciò garantirebbe, quindi, la regolarità dell’utilizzo dei voucher! Peccato che, a smentire ciò che a Negro appare garantito dall’esistenza della norma di legge, ci siano i milioni di lavoratori che, da tempo immemorabile, operano stabilmente “a nero” presso datori di lavoro – appartenenti a tutti i settori merceologici – che si limitano a non applicare alcuna legge. A cominciare dalle c.d. “comunicazioni obbligatorie”!

Francamente patetico (e scorretto) appare, poi, il tentativo di Claudio Negro di dimostrare che pagare le prestazioni di un lavoratore ricorrendo ai voucher rappresenti – per lo stesso – un vantaggio rispetto alle condizioni di un lavoro “povero”. In questo senso, a suo parere, percepire euro 7,50 (valore netto di un’ora di lavoro pagata con voucher) risulterebbe molto più conveniente per un lavoratore che – di norma – andrebbe inquadrato, ad esempio, al 7° o al 6° livello del Ccnl applicato dai Pubblici Esercizi, Ristorazione Collettiva e Commerciale e Turismo sottoscritto dalla Confcommercio; per una paga oraria pari a euro 7,26 o, addirittura, 6,90. Peccato che Negro manchi di evidenziare che questo lavoratore, sebbene da considerare “povero” – per la risibile paga oraria prevista dal Ccnl applicabile – avrebbe tantissimo da guadagnare, in termini di diritti contrattuali (13° e 14° mensilità, ferie, malattia, Tfr, contributi pensionistici, indennità di licenziamento, ecc), se fosse inquadrato quale lavoratore subordinato piuttosto che pagato con i voucher che piacciono tanto a Negro.

Concludo su questo punto riportando un’altra considerazione di Negro che risulta totalmente inattendibile. Infatti, nell’assurdo tentativo di far apparire preferibile il lavoro con voucher a uno subordinato di basso livello, Negro si spinge fino al punto di sostenere che il secondo “non costerebbe di più”. Cosa, questa – come ampiamente noto – assolutamente falsa! Resta un dato certo. I vecchi voucher nascevano per pagare i c.d. “lavoretti” di norma svolti in nero, quali babysitter, colf, giardinieri, insegnanti privati, ecc ed utilizzabili ricorrendo a disoccupati, studenti, pensionati e disabili. Con la riforma Fornero si allargarono a tutti i settori produttivi e ad ogni tipo di soggetto lavoratore. Ciò rappresentò la fine di qualsiasi regola. Furono così attivati centinaia di milioni di voucher in tutti i settori merceologici ed utilizzati, senza alcuna possibilità di essere smentiti, in sostituzione di decine – se non centinaia – di migliaia di posti di lavoro subordinato!

Un altro, importante, elemento è rappresentato dal fatto che – dalle verifiche effettuate quando si decise di porre fine all’esperienza dei vecchi voucher – risultò che oltre l’84 per cento dei lavoratori pagati con quello strumento non aveva raggiunto la cifra di 168,44 euro di contribuzione utile per aprire una posizione pensionistica. Nessun rilievo, quindi, ai fini della maturazione del diritto alla pensione. Oggi, il governo Meloni ripropone la stessa “fregatura” e appare evidente che confidi in Claudio Negro – e in altri come lui – per tentare di convincere i lavoratori italiani ad ingoiare anche quest’altro rospo!

Il secondo tema affrontato dalla Gabanelli è quello dei Contratti di lavoro a termine ed è su questo che Claudio Negro riesce, in poche righe, a dare il peggio di sé!
Comincia con il sostenere che la Gabanelli abbia commesso errori di lettura dei dati addirittura “marchiani” e, per poterlo dimostrare, ricorre al massimo delle sue abilità di “giocoliere”.
Egli tenta, innanzi tutto, di dimostrare che la Gabanelli abbia commesso un errore enorme nel sostenere che: “Negli ultimi anni il contratto di lavoro più diffuso è stato stato quello a tempo determinato”. Lo fa riportando il dato relativo al fatto che, tra i lavoratori dipendenti, quelli a tempo indeterminato rappresentano circa l’84 per cento, rispetto al 16 per cento di quelli a termine.

Troppo facile – ed evidente – il tentativo di ridicolizzare la Gabanelli!
Ma la Gabanelli si esprimeva in termini di “numero di contratti attivati” (nel corso del 2021 e del 2022); senza mai avere fatto alcun riferimento al loro numero assoluto e, quindi, messo in discussione la grande prevalenza di quelli a tempo indeterminato rispetto a quelli a termine.
D’altra parte, la Gabanelli aveva espressamente indicato che i suoi dati di riferimento erano quelli contenuti nel Rapporto Inapp 2022, presentato alla Camera (in data 8 novembre 2022) da Sebastiano Fadda, Presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Infatti, in quell’occasione Fadda dichiarava: “Terminata l’emergenza Covid-19 il mercato del lavoro appare ancora intrappolato nella precarietà: dei nuovi contratti attivati nel 2021 sette su dieci sono a tempo determinato”!

Il tutto, a incontrovertibile conferma di quanto scritto dalla Gabanelli e a plateale smentita della versione di Claudio Negro.
Inoltre, Negro afferma il falso quando scrive che il 16 per cento di contratti a termine – sul totale dei contratti di lavoro subordinato – è “del tutto in linea con la media dell’Unione Europea”. Infatti, tra i Paesi della zona euro, l’Italia è tra quelli con la più alta percentuale di rapporti di lavoro temporanei (in valori assoluti) e con il più alto numero di lavoratori che si susseguono rispetto alla stessa posizione lavorativa. Ciò è conseguenza dell’altissimo “indice di sostituzione” (turnover) che si realizza tra i lavoratori a termine. A plateale smentita del detto popolare “Mal comune, mezzo gaudio”, perchè, in realtà, fornisce l’idea della dilagante precarietà prodotta dai contratti a termine e del notevole numero di lavoratori che ruotano rispetto allo stesso posto di lavoro.

Assunto che, nel corso di una recente audizione al Senato, la Ministra del lavoro ha sostenuto che la “tipizzazione legale delle causali rappresenta un limite per il sistema imprenditoriale”, è facile prevedere che un’eventuale operazione del governo Meloni – tesa a superare anche le (ormai) residue “causali” per i contratti a termine – avrebbe come immediata conseguenza un ulteriore ed inarrestabile aumento della precarietà (3)
Un piccolo sostegno alle affermazione della Gabanelli avviene rispetto alla questione del part-time.
Ma anche qui, in definitiva, secondo Negro, sembrerebbe ancora tutto da dimostrare ciò che, invece, è già ampiamente noto. Infatti, se è vero che oggi la percentuale di lavoratori italiani occupati part-time si avvicina alla media europea, è altrettanto vero che essa è passata dall’11 per cento dei primi anni ’90 all’attuale 18,6. Però, ciò che, in particolare, ci differenzia dal resto d’Europa – come correttamente riportato dalla Gabanelli – è che di norma, nel nostro Paese, una consistente parte dei part-time non rappresenta una scelta volontaria. Una percentuale di lavoratori che è quasi pari al quadruplo di quella degli altri Paesi dell’area Ocse.
E’ altrettanto impossibile concordare con Negro quando sostiene che la Gabanelli commetta un errore nel mettere insieme tutte le diverse forme di lavoro – in quanto considerate altra cosa rispetto ai contratti standard – al fine di mettere in discussione la crescita occupazionale degli ultimi 12 anni.
Anche qui, però, per ns. fortuna e purtroppo per Negro, è utile riportare quanto si evince dalla lettura del già citato Rpporto Inapp.
Scrive, infatti, Sebastiano Fadda:”Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83 per cento delle nuove assunzioni con un aumento del 34 per cento negli ultimi 12 anni. Il tema del crescente aumento dei contratti non standard rappresenta una costante del modello di sviluppo occupazionale italiano, che ha attraversato la prima crisi 2007-2008 sino a diventare requisito della ripresa post Covid”!

Più che chiaro. E’ evidente che la Gabanelli si era (correttamente) limitata a riportare quanto indicato nel Rapporto.
Altra questione è quella relativa ai salari.
Anche qui però, se non è vero, come, invece, sostenuto dalla Gabanelli, che in Italia gli stipendi siano “calati perchè non sono legati alla produttività” – in effetti, essa rappresenta, insieme alla contrattazione, solo uno degli elementi che concorrono a determinarli – è altrettanto vero (e bene avrebbe fatto Negro a ribadirlo) che, come riportato ancora dal Rapporto Inapp, “Il nostro Paese nel corso degli ultimi 30 anni (1990 – 2020) è l’unico ad avere registrato un calo dei salari (-2,9%) a fronte di una crescita media dei Paesi Ocse del 38,5%. Nello stesso periodo la produttività è cresciuta del 21,9%, non sembrano dunque aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro. Nell’ultimo decennio (2010 – 2020), in particolare, i salari sono diminuiti dell’8,3 %”!
A questo riguardo, Claudio Negro, non si limita a tentare di manipolare i dati e, pur di nascondere la realtà, identifica nell’autrice dell’articolo “uno che non è del mestiere”; spingendosi fino al punto di arrivare, a mio parere, ad offendere la sua e, soprattutto, l’altrui intelligenza! Infatti, tra le altre amenità, Negro afferma:” Non si capisce da dove la Gabanelli abbia tirato fuori il 21,9%”!

Ma come è possibile? E’ sufficiente essere in grado di comprendere un breve testo scritto per rispondere a Claudio Negro. La Gabanelli lo aveva appreso leggendo quanto riportato da Sebastiano Fadda nel Rapporto Inapp riportato nel precedente paragrafo:”Nello stesso periodo – cioè, dal 1990 al 2020 – la produttività è cresciuta del 21’9%”!
Non contento della performance, rispetto all’aumento della produttività nell’arco degli ultimi trent’anni, Claudio Negro considera apodittica – con la conseguente scarsa credibilità che andrebbe riconosciuta all’autore di tale asserzione – l’affermazione della Gabanelli secondo la quale ben l’8,7 per cento dei lavoratori percepisce meno di 10.000 euro l’anno.
Anche qui, però, per nostra buona sorte ed ennesima “brutta figura” di Negro, occorre fare riferimento all’ormai famoso Rapporto Inapp attraverso il quale si apprende che:” L’8,7 % dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10 mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30 mila euro, valori bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei”.

A questo punto, delle due l’una. O Claudio Negro ritiene di poter addebitare al Presidente Inapp, Sebastiano Fadda, le medesime inesattezze e gli stessi errori contestati a Milena Gabanelli, oppure chieda scusa all’autrice dell’articolo e, soprattutto, si documenti in maniera sufficiente ed adeguata al livello degli interlocutori!
La penosa rappresentazione non poteva terminare in maniera diversa.
Claudio Negro rivolge alla Gabanelli un’accusa che, per una giornalista, credo rappresenti il massimo: la mancata verifica dei fatti e il mancato accertamento dei dati.
Negro lo fa contestando alla Gabanelli il plauso al governo spagnolo che, per contenere la precarietà e ridare centralità ai contratti di lavoro standard, ha concordato con il Sindacato una forte riduzione dei contratti a termine e limitazioni a tutte le forme di esternalizzazione. Ciò avrebbe già prodotto una diminuzione del tasso di precarietà di ben 12 punti percentuali e 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato.
Ebbene, pur di contestare il vero e proprio “cambio di marcia” operato dal governo spagnolo e tentare di sminuire la portata delle recenti riforme del mercato del lavoro, Negro non trova di meglio che ricordare la possibilità per le aziende iberiche di licenziare anche senza giusta causa.

E allora? Il fatto che non esista una norma contrattuale e/o legale che impedisca un licenziamento senza giusta causa – il che, comunque, rappresenta una grave mancanza dell’ordinamento legale, prim’ancora che contrattuale – autorizza Negro a disconoscere la grande rilevanza di una riforma capace di ridurre in modo così rilevante il tasso di precarietà presente, fino a pochi mesi or sono, nel mercato del lavoro spagnolo? Certamente no!
Sono metodi che appartengono al gioco “delle tre carte”!

NOTE

1- Il compianto Luciano Gallino (1927-2015), già prestigioso docente di Sociologia del lavoro, scriveva:”Dare alla legge 30/2003 il nome di uno studioso assassinato dalle Br è stato un tentativo abbastanza inverecondo di metterla al riparo da qualsiasi critica”!
2- Dati riportati da Tito Boeri (Presidente Inps dal 2014 al 2019) in occasione di un’iniziativa al Senato, nel 2017, alla vigilia della cancellazione dei voucher.
3- Sin troppo facile immaginare, infatti, che ad un aumento delle possibilità di sottoscrivere contratti di lavoro a tempo determinato – perché acausali – continuerebbe a corrispondere la graduale sostituzione di contratti a tempo indeterminato con contratti a termine.

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

3/4/2023

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *