Le centrali elettriche a carbone uccidono in Europa più di due persone ogni ora. Alla faccia del Cop 21

Le centrali elettriche a carbone uccidono in Europa più di due persone ogni ora. Alla faccia del Cop 21

Nei giorni scorsi la Cina ha comunicato al mondo la propria decisione di chiudere mille miniere di carbone e di rinunciare a questa fonte energetica.

E il resto del mondo? Quanto carbone utilizzano i paesi sviluppati, moderni e ambientalisti, per produrre energia? Per strano che possa sembrare, in barba alle dichiarazioni (di rito) e alle (false) promesse fatte a novembre al COP21, la maggior parte delle centrali elettriche del mondo è alimentata da combustibili fossili:  oltre il 60 per cento dell’energia primaria utilizzata per generare elettricità proviene da combustibili come carbone, gas e petrolio. E, sorpresa delle sorprese, il vettore energetico più importante è proprio il carbone, con una quota del 40 per cento.

Recentemente Greenpeace  ha pubblicato un rapporto dal titolo: “Fine di un’era: perché ogni Paese europeo deve pianificare l’uscita dal carbone”. Lo studio mostra che, per rispettare i limiti globali che i vari paesi si sono imposti per ridurre l’innalzamento delle temperature medie, le emissioni delle centrali a carbone europee dovrebbero diminuire e non poco.

Anche in Europa. Nonostante nel vecchio continente il ricorso al nucleare sia ben maggiore rispetto alla media globale la fonte energetica più usata per la produzione di elettricità è sempre il carbone (arriva al 34% del totale con il gas naturale). E questo nonostante il carbone sia il peggiore dei combustibili fossili sotto il profilo dell’ambiente e della salute dei cittadini: il coke è il più climalterante e il più inquinante. Eppure, inspiegabilmente, invece che scoraggiarne l’utilizzo e promuovere l’uso di fonti energetiche alternative (come solare ed eolico), l’Unione Europafa ben altro. Anzi, secondoClimate Action Network(CAN)che ha recentemente diffuso laMappa Europea del Carbone, pare proprio che l’Europa voglia promuovere e aiutare finanziariamente l’uso del carbone. Secondo Kathrin Gutmann, Coal Policy Coordinator di Climate Action Network (CAN), la rete che riunisce 120 organizzazioni ecologiste in oltre 30 Paesi:  “I Paesi europei sono ancora assuefatti al carbone per la produzione di energia elettrica, ma oggi siamo di fronte alla migliore opportunità per la graduale eliminazione della fonte energetica più inquinante. Le fonti rinnovabili sono in piena espansione e la domanda di energia sta calando, così anche le aziende energetiche stanno già perdendo miliardi di euro l’anno sui loro investimenti in carbone che rischiano di dover esser pagati dai cittadini. E’ necessario dunque che i Governi europei agiscano immediatamente per chiudere definitivamente con il carbone”.

I ricercatori  hanno quantificato le emissioni di CO2 rilasciate dalle 280 centrali operative in Europa: nel 2014 sono state 762 milioni di tonnellate, pari a quasi un quinto (18%) delle emissioni europee di gas serra, poco meno del totale delle emissioni dei trasporti su strada dell’intera Europa (21%). La nazione che inquina di più per via del carbone è la Germania (nel 2014 ha emesso 255 milioni di tonnellate di CO2), seguita dalla Polonia (con 129 milioni) e dal Regno Unito (con 87 milioni).

L’Italia, con 39 milioni di tonnellate di CO2, è sesta. Il business del carbone, in Europa, continua ad avere numeri impressionanti nonostante gli studi dimostrino i suoi effetti e nonostante le lottecontro le centrali a carbone e le miniere condotte dalle associazioni ambientaliste. Come la campagna Stop Carbone del WWF Italia.

Nel Bel Paese, molte delle centrali a carbone esistenti sarebbero addirittura  ecocompatibili: su 13 centrali a carbone ben 10 (pari all’84% della potenza installata a carbone, 9.500 Mw circa di potenza) sono certificate EMAS – la certificazione ambientale di standard europeo, più severa rispetto alla certificazione ISO 14001. Di queste, otto sono di proprietà dell’Enel, due di A2A, una della E.ON e una della Edipower. Ma questo numero non tiene conto degli impianti di autoproduzione a carbone presenti in molte fabbriche.

Un interesse verso il carbone ingiustificato anche dal punto di vista macroeconomico: le riserve di questo combustibile sul territorio nazionale sono ormai quasi esaurite. La maggior parte del carbone proviene dalla miniera del Sulcis Iglesiente, in Sardegna, che fornisce un milione di tonnellate all’anno di carbone di scarsa qualità (possiede un tenore troppo alto di zolfo). Le estrazioni, infatti, si erano fermate nel 1972. Ma  nel duemila sono riprese, dopo la scoperta di quello che è stato chiamato “carbone pulito” (un gioco di parole per indicare non un combustibile meno inquinante o più puro, ma semplicemente più vicino al luogo di utilizzo). Anche questo, però, secondo le stime si esaurirà entro i prossimi 50anni. Lo hanno confermato i ricercatori del Wwf. Già oggi il 90 per cento del carbone che serve ad alimentare le centrali elettriche arriva via mare da paesi come gli Stati Uniti, il Sudafrica, l’Australia, l’Indonesia, la Colombia, il Canada, la Cina, la Russia e il Venezuela.

Il motivo per cui queste centrali sono ancora tanto diffuse probabilmente è da ricercare nel loro rendimento e nella loro efficienza: il rendimento medio delle centrali esistenti  si aggira infatti intorno al  40% (il 35% come media europea)e per le centrali a carbone di ultima generazione (come quelle di Torrevaldaliga e Vado Ligure) si parla di rendimenti superiori al 46%. Cifre irraggiungibili con la maggior parte degli altri combustibili fossili.

Ma per quanto efficienti possano essere queste centrali, il carbone è tra le fonti energetiche maggiormente inquinanti e fra i maggiori imputati delle emissioni di gas a effetto serra. Nel 2014 le centrali a carbone presenti in Italia hanno soddisfatto il 13,5 per cento del consumo interno lordo di energia elettrica. In cambio, però, hanno scaricato nell’atmosfera ben 39 milioni di tonnellate di CO2, ovvero il 40 per cento di tutte le emissioni riconducibili al sistema elettrico nazionale e più di quelle dei settori dell’acciaio e del cemento messi insieme.

Una situazione che è destinata a peggiorare. In Europa, sono in fase di costruzione o di pianificazione altri 110 impianti, di cui 75 nella sola Turchia. Otto verranno realizzate in Bosnia ed Erzegovina, sette inPolonia, quattro in Serbiae in Germania, due in Romania e una in Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Kosovo, Macedonia,Montenegro, Regno Unito. E anche in Italia è prevista la realizzazione di una nuova centrale a carbone: un impianto da 350 megawatt che verrà realizzato a Sulcis, in Sardegna.

Una crescita che renderà assolutamente impossibile rispettare le promesse di ridurre le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di carbone dell’8% all’anno fino al 2040 e di limitare l’innalzamento della temperatura globale a 2°C (come hanno dimostrato gli esperti dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) in un rapporto commissionato da Greenpeace UK e CAN Europe).

Ma già oggi, secondo il CAN, i costi in termini di salute pagati dagli europei per l’utilizzo del carbone sono elevatissimi: ogni anno, sono 23mila morti (521 solo in Italia) e milioni lepersone che si ammalano di varie malattie. Risultati analoghi quelli riportati dall’associazione europea Heal – Healt and Enviroment Alliance: se venissero chiuse tutte le centrali elettriche alimentate a carbone in Europa, sarebbe possibile evitare 18.200 morti ogni anno.

Anche dal punto di vista economico, secondo il CAN, la decisione di utilizzare il carbone ha un costo insostenibile: la scelta del carbone avrebbe causato spese sanitarie pari a circa 60 miliardi di euro (numero calcolato sulla base del Vsl, Value of statistical life). Solo in Italia, questa decisione costa circa un miliardo e mezzo di euro all’anno. Un rapporto di Greenpeace International dal titolo “Silent Killers” basato su una ricerca condotta dall’università di Stoccarda  afferma che “il fumo che esce dalle ciminiere delle centrali elettriche a carbone, in Europa, uccide più di due persone all’ora”. Lo studio dell’Università di Stoccarda afferma che i “52 progetti di nuove centrali risultano attualmente in fase di realizzazione o di autorizzazione”, “avrebbero danni alla salute umana equivalenti alla perdita di ulteriori 32.000 anni di vita”. “Le perdite sanitarie determinate dal carbone sono  ingiustificabili. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili e le misure di efficienza energetica più recenti  consentirebbero di tenere le nostre luci accese, in Europa, senza realizzare nessuna nuova centrale a carbone e, al contrario, cominciando a chiudere quelle esistenti, a partire dalle più vecchie e inquinanti. Il consumo di carbone deve essere drasticamente ridotto anche per contenere le emissioni di gas serra e combattere i cambiamenti climatici. Sia per raggiungere gli obiettivi climatici che per ottenere benefici sanitari, i governi europei devono stabilire presto obiettivi di crescita delle fonti rinnovabili che garantiscano la fuoriuscita del carbone dal sistema energetico, senza pensare di percorrere scorciatoie azzardate come il ritorno al nucleare”.

Un appello che nessuno ha voluto ascoltare, né durante il COP21 né dopo.

C. Alessandro Mauceri

2/3/2016 www.dazebaonews.it

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