Il ritorno in Europa alla guerra calda e fredda

Una nuova guerra europea

Il 24 febbraio è avvenuto quello che Joe Biden e Boris Johnson consideravano inevitabile da settimane: la Russia ha violentemente invaso l’Ucraina, scatenando una guerra “fratricida” tra russi ed ucraini che coinvolge eserciti, milizie e, soprattutto, l’intera popolazione civile ucraina, con la distruzione di veicoli, infrastrutture, case civili e vite umane di un Paese di oltre 40 milioni di persone. Un evento drammatico, in flagrante violazione del diritto internazionale, che potrebbe essere uno storico spartiacque, l’equivalente dell’11 settembre per l’Europa, rendendo molto problematici i rapporti tra la Russia e l’Unione Europea per un’intera generazione.

La guerra è diventata inevitabile – almeno secondo Putin1 e il suo ristretto entourage (quasi interamente composto da siloviki, membri dei suoi servizi di sicurezza lealisti e aggressivi) – perché gli Stati Uniti e i loro 29 alleati NATO (compresi alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico) avevano messo la Russia in un angolo da cui poteva uscire solo con un’offensiva militare. In effetti, la Russia doveva affrontare uno scenario in cui gli USA le avrebbero sempre più stretto intorno al collo il cappio con un’ulteriore espansione verso est della NATO2, combinata con il rafforzamento militare da parte degli USA dei loro junior partners NATO dell’Europa orientale (vedi anche qui e qui). Putin ha ricevuto continue e progressive minacce dagli USA e dalla NATO senza l’offerta di una via d’uscita diplomatica dal vicolo cieco in cui si era ed era stato cacciato (ad esempio, Biden avrebbe potuto prevenire facilmente la guerra, garantendo che l’Ucraina non sarebbe diventato un membro della NATO), al di là di una umiliante resa incondizionata.

Ad accompagnare quella militarizzazione c’era la prospettiva di un’accelerata guerra di propaganda, alimentata dai grandi media mainstream occidentali, per infiammare le opinioni pubbliche contro la Russia. Think-thanks finanziate dal governo USA – come il National Endowment for Democracy e il German Marshall Fund – sono da tempo impegnate a fondo per cercare di influenzare la politica europea e russa con l’obiettivo di un cambio di regime3.

In questa fase, sebbene si debba fare il possibile per contenere l’aggressione di Putin in Ucraina, dovremmo anche porci due domande chiave: cosa verrà fatto? e cosa si dovrebbe fare per uscire dalla crisi?

L’espansione verso Est della NATO (MR online)

Cosa verrà fatto?

La risposta alla prima domanda è chiara. Siamo dentro una nuova era di guerra fredda4, che potrebbe facilmente trasformarsi in calda e persino nucleare. La situazione è molto più pericolosa della prima guerra fredda poiché gli USA sono molto più potenti della Russia, rispetto alla loro posizione nei confronti dell’URSS. Di conseguenza, l’equilibrio è precario, motivo per cui, con un ritorno ad una politica di containment della Russia, il mondo potrebbe facilmente precipitare in qualcosa di ancora più terribile della guerra ucraina. Crisi internazionali come questa rischiano sempre di sfuggire di mano. La Russia e gli Stati Uniti hanno enormi scorte di armi nucleari. E se le truppe russe minacciassero i membri della NATO (che hanno la garanzia dell’articolo 5) lungo i confini dell’Ucraina per bloccare i rifornimenti di armi al governo di Kiev? In queste condizioni, gli USA potrebbero essere disposti a impegnare truppe di terra? Biden parla apertamente del rischio di una terza guerra mondiale5.

Il punto di vista dei neoconservatori americani – fautori di una declinazione estremista dell’ideologia dell’”eccezionalismo americano” ed eredi della dottrina imperiale/politica di grande potenza Cheney-Rumsfeld – sostiene che gli USA debbano essere globalmente dominanti e militarmente non sfidabili, e ha definitivamente trionfato nella politica americana6. Un trionfo della linea dell’unipolarismo ed unilateralismo USA che si riflette nella frase “the United States must retain overmatch” della National Security Strategy del 2017 e ora anche nel Partito Democratico, che rappresenta l’ala “liberal”, progressista, della politica nazionale americana, oltre che nelle opinioni dei media liberal d’élite. Una posizione condivisa anche dai governanti conservatori di altri Paesi dell’Anglosfera (Regno Unito e Australia) pronti ad operare come junior partners degli USA e a gettare benzina sul fuoco nel conflitto tra Russia e Ucraina.

I vincitori sono le forze politiche, economiche e culturali dello status quo di Washington. Il più grande vincitore è l’ala liberal dell’establishment neoconservatore (una componente rilevante del neoliberismo progressista, di cui parla da tempo Nancy Fraser) che ora ha una pista chiara per spingere l’egemonia globale degli USA sotto la bandiera della promozione della democrazia contro le autocrazie russa e cinese (chiudendo, come sempre ipocritamente e cinicamente, un’occhio per quelle considerate amiche, come quelle egiziana e delle monarchie del Golfo, o addirittura alleate nella NATO come quelle turca, ungherese e polacca).

Ancora più importante, i neoconservatori hanno intrappolato i leader politici europei – da Scholz a Macron -, avendo sabotato la possibilità che si arrivasse ad un pacifico e produttivo riavvicinamento che avrebbe potuto unire la Russia all’economia e famiglia europea.

Il secondo vincitore è ovviamente il complesso militare-industriale – produttori di armamenti come Raytheon, Boeing e Lockheed-Martin – che può aspettarsi di continuare a fare enormi profitti, disponendo di budget utramiliardiari (770 i miliardi chiesti da Biden per il 2023, una somma maggiore delle successive 10 maggiori potenze militari – tra cui Russia e Cina – messe insieme).

A differenza della prima guerra fredda, non ci sarà alcun vantaggio per le classi lavoratrici. Questo perché la Russia non ha un’agenda politica economica globale equivalente al socialismo dell’URSS, la cui minaccia aveva costretto l’élite capitalistica dominante a fare concessioni ai lavoratori durante i “trenta anni gloriosi”. In effetti, le classi lavoratrici rischiano di perdere man mano che i budget militari diventeranno ancora più grandi sia negli USA sia nella UE (molto al di sopra del 2% chiesto da anni dagli americani), ponendo fine al cosiddetto “dividendo della pace” anche per un Paese come la Germania.

Ancora più importante, la rinascita di nazionalismo (nelle sue varianti etniche, religiose e razziste) e militarismo in Europa, USA (si pensi alla deriva del Partito Repubblicano, ormai sotto il controllo di Trump e dei trumpisti che si rifiutano di riconoscere il risultato delle elezioni presidenziali del 2020, hanno tentato un colpo di stato il 6 gennaio 2021 e condividono con Putin una visione del mondo autoritaria, omofoba e misogina) e altrove giocherà il ruolo già sperimentato nel ‘900, dividendo le classi lavoratrici e migliorando così la capacità delle élite economiche e politiche di boicottare qualsiasi programma che preveda un cambiamento economico progressivo. Le crisi di politica estera tendono a portare la politica interna fuori dai titoli dei giornali e ad indebolire i movimenti di riforma. Negli USA, l’aggressione di Putin all’Ucraina ha già messo a tacere le conversazioni su diritti di voto, riforma dell’ostruzionismo e Build Back Better. Come ha notato Robert Reich, la prima guerra mondiale fermò l’era progressista, la seconda pose fine al New Deal di Franklin Delano Roosevelt, il Vietnam ha fermato la Great Society di Lyndon Johnson.

Anche in Russia, drastiche sanzioni forse indeboliranno il controllo di Putin sulla Russia, ma potrebbero anche avere l’effetto opposto: consentire a Putin di alimentare i sospetti della Russia nei confronti dell’Occidente e suscitare ancora più nazionalismo russo. Sanzioni severe faranno sì che il cittadino medio russo pagherà prezzi molto più alti per cibo e vestiti e che si svalutino pensioni e risparmi a causa di un crollo del rublo o dei mercati russi7, ma questi potrebbero essere visti come sacrifici necessari che radunano i russi attorno a Putin.

Ma, di gran lunga il maggiore perdente è l’Unione Europea, che è stata vergognosamente svenduta da una classe politica rinunciataria e pavida (dobbiamo, purtroppo, rimpiangere Angela Merkel) che, come ha notato con una certa soddisfazione il Washington Post, “in sole 72 ore, ha revisionato tutte le sue relazioni post-Guerra Fredda con la Russia” (a cominciare dalla Germania).

Primo, l’UE ha rinunciato all’opportunità economica di dare vita ad un partenariato pacifico con la Russia. Perderà invece mercati importanti e pagherà molto di più per l’energia (Italia e UE importano oltre il 40% dei loro consumi di gas dalla Russia e il 25% del petrolio, con scarsi margini di diversificazione degli approvvigionamenti nel breve periodo, se non il costoso gas liquefatto USA, oltre a quello che arriva dai gasdotti con l’Algeria e l’Azerbaijan), provocando un’ulteriore drastica accelerazione dell’inflazione8, anche perché l’invasione dell’Ucraina aumenta il caos nelle catene globali di approvvigionamento (supply chains) e i rischi di gravi crisi finanziarie e fallimenti in Russia e nel resto dell’economia globale.

L’UE si renderà inoltre ancora più vulnerabile economicamente e suscettibile alle punizioni USA (soprattutto se la Russia viene del tutto rimossa dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT), come già accaduto con le multe multimiliardarie imposte alle banche europee in relazione a Cuba, Iran, Sudan, Libia, Myanmar, Siria ed altri Paesi sotto sanzioni USA. E’ possibile, infine, che la pletora di sanzioni sconvolgano l’economia russa, ma sicuramente non impediranno a Putin di cercare di conquistare tutta l’Ucraina (se questo è il suo vero obiettivo) e, soprattutto, faranno molto male anche all’economia UE (soprattutto se si arriverà al divieto delle importazioni di petrolio, gas e cereali dalla Russia9).

In secondo luogo, ancora una volta, l’UE subirà il pesantissimo contraccolpo della spinta al dominio degli USA, soprattutto in termini di un nuovo flusso di centinaia di migliaia o di milioni di richiedenti asilo e profughi10. È quello che è successo con Iraq, Libia, Siria e Afghanistan. Le conseguenze delle crisi umanitarie e finanziarie hanno già fertilizzato la rinascita dell’estremismo della destra europea, che ora promette di ampliarsi. Nel frattempo, gli USA sono protetti dalla maggior parte di quell’effetto dagli oceani Atlantico e Pacifico e dalla loro autosufficienza energetica.

Cosa dovrebbe essere fatto?

Anche rispondere alla domanda su cosa dovrebbe essere fatto è relativamente facile, ma arrivarci inizia a sembrare praticamente impossibile. Ciò che dovrebbe essere fatto è una profonda ricalibrazione che riduca l’influenza degli USA in Europa, rafforzi l’Unione Europea e miri all’inclusione della Russia nella famiglia europea come era stato previsto dal presidente Gorbačëv nel 1990.

Il punto di partenza è riconoscere che non si può tornare indietro nel tempo. Nuovi fatti sono avvenuti. C’è stata l’espansione verso est della NATO, il colpo di stato sponsorizzato dagli USA in Ucraina nel 2014, la rioccupazione russa della Crimea11 e ora l’invasione russa dell’Ucraina. Questi eventi hanno provocato anche uno spostamento di orientamento delle popolazioni ucraine e di altri Paesi dell’ Europa orientale verso forme di nazionalismo russofobo.

Poi, c’è bisogno di un fondamentale cambio di mentalità che richiede di riconoscere che la Russia non è l’Unione Sovietica. È un’economia debole con una popolazione in declino che non ha né la capacità né il desiderio di governare i Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Su questo Putin ha detto: “Chi non sente la mancanza dell’Unione Sovietica non ha cuore e chi la rivuole indietro non ha cervello“.

Con questi due punti di riferimento, è possibile tracciare una strada da seguire. L’Ucraina deve accettare di essere permanentemente uno stato neutrale, così come la Finlandia e l’Austria durante la Guerra Fredda12. Gli USA devono smettere di armare la Polonia (alla quale hanno appena venduto 250 carri armati Abrams per 6 miliardi di dollari, dopo un accordo da 6,5 miliardi di dollari stipulato nel 2019 per l’acquisto di 32 aerei da combattimento F-35 e altri accordi per acquistare sistemi di artiglieria a razzo mobile), un Paese dotato di un sistema politico nazionalista intollerante che probabilmente sarà una futura fonte di gravi problemi. E gli USA devono smettere di potenziare le capacità militari degli Stati baltici, una provocazione aggressiva verso la Russia 13.

L’Unione Europea deve battersi per definire una nuova equilibrata, efficace e sostenibile architettura della sicurezza europea fondata sulla cooperazione tra Stati e popoli, negoziando una sorta di Helsinki 2.0 (un accordo per modernizzare gli Accordi di Helsinki firmati nel 1975 durante la Guerra Fredda, che stabilizzarono il continente anche con la crescita della concorrenza USA-URSS in altre parti del mondo) e per espandere gli scambi commerciali con la Russia. Un matrimonio economico tra UE e Russia sarebbe la vera svolta. La Russia ha materie prime (energetiche, minerali, terra, cibo) e ha bisogno di tecnologia e beni capitali. L’Europa ha tecnologia e beni capitali e ha bisogno di materie prime. Diminuendo la minaccia contro il presidente Putin, tale partenariato promuoverebbe il miglioramento politico interno in Russia. I regimi autoritari reprimono quando sono minacciati, mentre sono decisamente più tolleranti quando non lo sono.

La parte difficile è che l’Ucraina dovrebbe essere ricostituita come stato federale e potrebbe anche essere necessario dividerla, dati i fatti nuovi ancora in corso. Con l’incoraggiamento degli USA, l’Ucraina ha giocato con il fuoco e si è bruciata. Ora, cerca di evitare una rapida vittoria della Russia con una tenace resistenza dei soldati ucraini e delle milizie di cittadini volontari, alimentata dal flusso di armi da parte di USA e degli altri Paesi della NATO (Germania compresa).

La minaccia dei neoconservatori americani

Tragicamente, è probabile che nulla di tutto ciò accada perché è profondamente in contrasto con l’obiettivo del dominio globale dei neoconservatori USA, e i politici dell’Unione Europea si sono disonorati come irresponsabili tirapiedi degli americani.

Una Russia forte, prospera e politicamente progressiva sarebbe un’enorme minaccia per l’agenda neoconservatrice USA. Questo è il motivo per cui gli USA hanno ora chiesto la liberalizzazione politica della Russia, sapendo benissimo che in questo momento storico causerebbe solo debolezza e disintegrazione.

Un’Unione Europea forte, unita e prospera aggraverebbe la minaccia all’agenda neoconservatrice USA. E un’UE che aiutasse la Russia lungo la via della prosperità economica aggraverebbe doppiamente tale minaccia e darebbe all’UE l’opportunità per diventare più matura e sovrana, e per trasformarsi in un attore globale indipendente.

I media occidentali stanno ora concentrando l’attenzione sull’invasione della Russia, proiettando scene orribili di miseria e morte umana sui nostri schermi, mentre la guerra è trasmessa in diretta sui social media da decine di migliaia di persone nella stessa zona di guerra. In quel punto focale c’è una tacita riscrittura della storia. I neoconservatori USA vogliono che la storia inizi con l’invasione, mentre tutto il resto che è accaduto prima deve essere spazzato via nel’orweliano “buco della memoria“. Ciò significa dimenticare le ferite e le minacce che gli USA hanno inflitto alla Russia per 30 anni; dimenticando come gli USA hanno aiutato a depredare la Russia per un decennio dopo la caduta del Muro di Berlino (promuovendo la cosiddetta shock therapy degli Harvard boys per passare dal socialismo reale al capitalismo), dimenticando la promessa fatta di non espandere la NATO verso est (rotta da 5 round di espansione) e il ritiro di Washington dai trattati che regolano i missili antibalistici, le forze nucleari a raggio intermedio e i velivoli d’osservazione disarmati14, dimenticando la minaccia rappresentata dai missili difensivi ed offensivi installati ai confini della Russia e a poche centinaia di km da Mosca15, e dimenticando il fatidico colpo di stato del 2014 sponsorizzato dagli USA in Ucraina.

Affinché la classe politica dell’UE abbandoni la sua sudditanza al disegno di dominio dei neoconsorvatori USA e rivendichi la sua “autonomia strategica”, forse sarà necessario lo shock di un ritorno di Donald J. Trump (o di un suo clone) alla presidenza nel 202416. Prima o poi i leader europei dovranno chiedersi perché i loro Paesi devono pagare per le armi statunitensi che li mettono solo in pericolo, pagare prezzi più alti per il GNL e l’energia statunitense, pagare di più per il grano e le materie prime prodotte dalla Russia, allo stesso tempo perdendo la possibilità di realizzare vendite all’esportazione e profitti su investimenti pacifici in Russia.

Una partnership strategica fra Russia e Cina?

Dato che il matrimonio tra UE e Russia non si farà (come almeno per ora il gasdotto Nord Stream 2 è stato congelato, forse il vero obiettivo della politica USA per monopolizzare le forniture di GNL all’Unione Europea e contenere la crescita dell’economia tedesca), la Russia convolerà a nozze con la Cina, portando in dote gas (secondo produttore al mondo dopo gli USA), petrolio (la Russia produce 10 milioni di barili al giorno, pari a circa il 10% del consumo globale), materie prime e cibo, ed ottenendo tecnologia e beni capitali?
Negli ultimi anni, il Cremlino ha riorientato il commercio lontano dall’Occidente e verso la Cina, attualmente il suo partner commerciale numero uno, per arrivare a superare i 200 miliardi di dollari entro il 2024, il doppio rispetto al 2013. Insieme, Russia e Cina, stanno costruendo infrastrutture e gasdotti come il “Power of Siberia” di 3 mila km, operativo dal 2019, che consentano di rendere più strette le relazioni tra le due economie. La Russia fa parte della Shanghai Cooperation Organization, un’organizzazione politica, economica e di sicurezza nata nel 2001 che ha l’ambizione di diventare un modello per la costruzione di un nuovo tipo di relazioni internazionali caratterizzato da “nessuna alleanza, nessun conflitto e nessuna mossa contro alcun Paese terzo” e di cui fanno parte, oltre a Cina e Russia, anche India, Pakistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan, mentre l’Iran partecipa come osservatore.

L’intensificazione dei rapporti commerciali e politici è la risposta alla politica di azioni unilaterali, sanzioni e protezionismo commerciale degli Stati Uniti e la crisi attuale sembra essere destinata a consolidare un’alleanza sempre più estesa tra Russia e Cina, trasformandola in una “strategic partnership”.

Per anni le relazioni tra i due Paesi che condividono 4.200 km di confine sono state altalenanti. Nel 1968-69, per sei mesi, si arrivò addirittura al conflitto militare tra Cina e URSS lungo il fiume Amur dove passa la linea ferroviaria che connette i due Paesi (la Cina di Mao voleva indietro i territori a nord del fiume Amur annessi dai russi nel 1860). Solo a partire dal maggio del 1989, con la visita di Mikhail Gorbačëv a Pechino, sono state scongelate le relazioni tra i due Paesi e nel 2008 hanno risolto le loro dispute territoriali, sebbene la Russia ha sempre visto la Cina come una minaccia ai confini delle regioni scarsamente popolate, ma ricche di risorse, della Siberia orientale ed estremo oriente russo, un tempo rivendicate dalla Cina.

Ora, la percezione è cambiata, al punto che Russia, Cina e Mongolia hanno tenuto insieme grandi manovre militari (Vostok-2018, Kavkaz 2020, Zapad/Interaction 2021). Il messaggio era rivolto a USA e UE: se avessero continuato ad isolarla, la Russia avrebbe guardato sempre più verso est e stretto alleanze non gradite alla NATO. Su questa linea vanno anche le intese commerciali relative alle importazioni dalla Russia di armi (con l’acquisto da parte della Cina dei jet da combattimento russi Sukhoi Su-57), soia e altri prodotti agricoli, elettricità, petrolio (con un nuovo oleodotto inaugurato nel gennaio 2018) e gas (con un gasdotto Power of Siberia in funzione dal 2019), ai progetti tecnologico-industriali nell’avionica, nel nucleare civile e nell’alta velocità ferroviaria, alle infrastrutture, alla logistica, ai traffici transfrontalieri, alla cooperazione regionale attraverso la Shanghai Cooperation Organization e agli investimenti cinesi nella Belt and Road Initiative.

Nel corso della ottava visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Mosca (5-7 giugno 2019), Cina e Russia hanno concordato di aggiornare le loro relazioni con una partnership strategica globale di coordinamento. I media occidentali hanno analizzato questa visita nel contesto della guerra commerciale tra Cina e USA, sostenendo che Pechino e Mosca intendevano unire le forze contro gli Stati Uniti.

Dalla crisi dell’Ucraina del 2014, la quota del commercio bilaterale russo-cinese è quasi raddoppiata arrivando ad 147 miliardi di dollari nel 2021 e la Cina è stata il principale partner commerciale della Russia per il decimo anno consecutivo. La cooperazione bilaterale tra i due Paesi progredisce in modo globale e copre i settori economico, politico, sociale, culturale, nonché le aree militari, di sicurezza e di alta tecnologia, e nel corso della visita di Xi sono stati firmati nuovi accordi, tra cui un accordo tra Huawei e la compagnia di telecomunicazioni russa MTS per sviluppare una rete 5G in Russia. Poi, sono stati firmati accordi tra Alibaba, l’operatore di telefonia mobile Megafon e il gruppo internet Mail.ru per la creazione di una joint-venture dell’e-commerce, la AliExpress, che mira a diventare leader del settore in Russia; e, infine, sono stati firmati gli accordi sui prodotti energetici come quello tra le russe Novatek e Gazprom con la cinese Sinopec per la vendita di gas in Cina.

L’esclusione della Russia dal sistema di pagamento SWIFT potrebbe avvantaggiare gli sforzi cinesi per costruire il sistema alternativo CIPS estraneo al dollaro, ma l’interruzione a breve termine è preoccupante. La Banca centrale russa ha confermato la conversione in yuan, euro e oro di buona parte delle proprie riserve in dollari e ora sta sviluppando il proprio rublo digitale. Russia e Cina hanno stretto accordi intergovernativi per aumentare l’uso del rublo e dello yuan nelle loro transazioni commerciali. L’aumento delle criptovalute e di altri asset digitali, con la sponda cinese, potrebbe consentire alla Russia di aggirare i bonifici bancari, che sono i punti di controllo per le sanzioni, mettendo fuori gioco il dollaro e bypassando l’estromissione del sistema bancario russo dalla rete SWIFT.

Una scelta che ha conseguenze rilevanti in un altro settore strategico: quello del petrolio (arrivato a costare 110 dollari al barile), con la Russia che è attualmente il terzo fornitore cinese di greggio dopo Arabia Saudita e Iraq. Proponendo alla Cina di rafforzare la collaborazione energetica, Mosca e Pechino, insieme, possono porre le basi per un circuito finanziario alternativo a quello del dollaro – con pagamenti in yuan e rubli – e influenzare anche i prezzi mondiali del greggio. Sul petrolio si gioca una partita decisiva e non solo verso gli Stati Uniti, ma anche verso l’Arabia Saudita e gli altri Paesi OPEC, con i quali la Russia ha cooperato negli ultimi anni.

Anche sul piano delle relazioni internazionali, Cina e Russia appaiono ormai allineate sulla maggior parte delle questioni più contrastanti con gli USA – Iran, Corea del Nord, Venezuela, Siria – e condividono l’ostilità degli Stati Uniti. Mosca sta combattendo una guerra con l’obiettivo di combattere l’espansionismo di Washington realizzato attraverso la NATO, mentre Pechino è alle prese con la guerra politico-commerciale-finanziaria scatenata da Trump e continuata da Biden.

E’ quindi assai concreto il rischio che Mosca finisca tra le braccia di Pechino. La Cina ha mantenuto finora una linea prudente17: fa affari con la Russia, appoggia Putin, ma non ha riconosciuto l’annessione russa della Crimea e non approva l’invasione.

Ufficialmente, la Cina si oppone a qualsiasi atto che violi l’integrità territoriale di uno Stato. Nonostante i grandi accordi economici e sul gas con Putin, ha ripetutamente invitato “le parti a esercitare moderazione e a evitare che la situazione vada fuori controllo”. La Cina si muove con grande cautela, non ha nessuna intenzione di farsi trascinare nella crisi, di prendere parte, almeno per ora, soprattutto non vuole rischiare di antagonizzare l’Unione Europea (il suo principale mercato di esportazione), come non ha alcun interesse che quest’ultima si allinei al volere degli USA18.

Nella dichiarazione congiunta, successiva all’incontro tra Putin e Xi Jinping a Pechino il 4 febbraio, è stato affermato che Cina e Russia condividono la consapevolezza che la democrazia è un valore umano universale, piuttosto che un privilegio di un numero limitato di Paesi, e che la sua promozione e protezione è una responsabilità comune dell’intera comunità internazionale. La Russia ha ribadito anche il suo sostegno al principio di “una Cina”, riconoscendo che Taiwan è una parte inalienabile della Cina, per cui si oppone a qualsiasi forma di “indipendenza di Taiwan“. Cina e Russia si oppongono anche a un ulteriore allargamento della NATO e hanno invitato il blocco ad abbandonare “gli approcci ideologizzati da guerra fredda” e a rispettare la sovranità, la sicurezza e gli interessi di altri Paesi. Nella stessa occasione, le due parti hanno anche firmato una serie di documenti sulla cooperazione in vari ambiti19, sottolineando il partenariato strategico senza precedenti tra Russia e Cina (una partnership che i media occidentali mainstream hanno subito bollato “asse autoritario”).

Non c’è dubbio che la guerra in Ucraina mette a dura prova il nuovo asse della Cina con la Russia e la loro “cooperazione senza limiti”. Per la Cina la guerra di Putin è sia un dilemma sia una fonte di opportunità inaspettate. La Cina non sostiene l’aggressione del Cremlino contro l’Ucraina (su cui non è stata consultata preventivamente) e vede le azioni di Mosca come una violazione della sovranità nazionale e della Carta dell’ONU, uno dei principi cardine della politica estera di Pechino dal 1949. Pertanto, appoggiare apertamente l’invasione russa screditerebbe la credibilità dell’intera politica estera cinese, mettendo in dubbio la capacità della Cina di essere pronta ad operare come un attore internazionale responsabile.

Inoltre, la Cina ritiene che non ci sia un’equivalenza tra Ucraina e Taiwan: il primo è uno Stato sovrano (che ha aderito alla Belt and Road Initiative e che ha Pechino come principale partner commerciale, importando grano, mais ed equipaggiamenti militari, con circa 2.200 cittadini cinesi che il governo cinese ha dovuto evacuare in poche ore) e il secondo non è un membro a pieno titolo dell’ONU, ma parte di un sistema politico unico, visto da Pechino come una provincia rinnegata. Ma, la Cina osserverà attentamente la volontà e la determinazione dell’Occidente di rispondere alla situazione in Ucraina, che potrebbe servire come riferimento a Taiwan in seguito.

La Cina non approva le sanzioni per risolvere i problemi, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, riguardo alle misure a carico della Russia dopo l’invasione. Wenbin ha affermato che la Cina “si è sempre opposta a sanzioni unilaterali al di sopra del diritto internazionale. Oltre a creare problemi economici per entrambe le parti, le sanzioni creano anche nuovi problemi e non aiutano la risoluzione della questione“. La preoccupazione cinese deriva dal timore che gli USA (come hanno fatto in altre occasioni) amplieranno il campo di applicazione e applicheranno “sanzioni secondarie” (che penalizzano società o Paesi non americani per aver fatto affari con l’obiettivo delle sanzioni primarie, in questo caso la Russia), che potranno portare ad un tiro alla fune sul sostegno alla Russia da parte della Cina. La Cina teme che USA e loro alleati possano imporle sanzioni secondarie con l’obiettivo di colpire il suo ampio ruolo nel commercio mondiale.

Comunque, Xi ha chiesto a Putin di negoziare con l’Ucraina per chiudere la guerra e la Cina ha deciso di astenersi (insieme a India e EAU) nella votazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla mozione americana di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina (un segnale alla Russia che la protezione cinese non è incondizionata). Il Global Times ha pubblicato un articolo per riaffermare la posizione di neutralità della Cina, che per questo si candida come possibile mediatore tra Russia e Ucraina (altri candidati sono il Vaticano e la Turchia).

Soprattutto, Pechino misurerà la sua reazione alla situazione ucraina attraverso la lente della concorrenza USA-Cina. Da questo punto di vista, la crisi ucraina offre due opportunità inaspettate: si tratta di una tempestiva distrazione che allontanerà gli USA dalla regione indo-pacifica, costringendoli a tornare ad occuparsi di Europa (ed in particolare del pantano dell’Europa orientale), almeno prima delle elezioni di midterm di novembre. Ciò offre un’inaspettata tregua alla Cina come principale rivale strategico degli USA (anche se l’amministrazione Biden continua a sanzionare la Cina), designato ormai da tre amministrazioni americane – Obama, Trump e Biden – che hanno cercato di orientare l’attenzione strategica di Washington contro la Cina.

Se effettivamente Mosca e Pechino diventeranno partner strategici, eserciteranno il dominio sull’Eurasia insieme all’Iran, all’Asia centrale e ad altri Paesi nell’ambito della Belt and Road Initiative, provando a chiudere la porta a USA e UE20. Durante la visita di Putin a Pechino in occasione dell’inaugurazione dei giochi olimpici invernali, Xi Jinping e Putin hanno firmato un documento in cui si affermava che “Russia e Cina si oppongono ai tentativi di forze esterne di minare la sicurezza e la stabilità nelle loro regioni adiacenti comuni, intendono contrastare l’interferenza di forze esterne negli affari interni dei Paesi sovrani con qualsiasi pretesto, opporsi alle rivoluzioni colorate e concordano di aumentare la cooperazione nelle aree summenzionate21. La cooperazione sino-russa, sebbene tesa e ambivalente, solleva la prospettiva che le due grandi potenze rivali degli USA possano agire in modo coordinato. Insomma, l’Eurasia potrebbe presto trasformarsi nel nuovo “incubo” per l’ordine americano, anche se la Cina è stata una grande beneficiaria dell’attuale ordine sul piano economico e ha prosperato negli ultimi 30 anni22.

NOTE

  1. Putin ritiene che il crollo dell’URSS sia stata “la catastrofe geopolitica del XX secolo” (dopo la disintegrazione dell’URSS nel 1991, Mosca ha perso il controllo diretto o indiretto su un territorio più ampio dell’attuale Unione Europea) e che la Russia sia stata umiliata e in qualche modo tradita dall’Occidente senza aver realmente perso la Guerra Fredda, essendosi arresa senza combattere. La prova evidente sarebbe l’allargamento della NATO e l’intervento militare dell’Alleanza nella ex-Jugoslavia e in Kosovo (in particolare con i due mesi e mezzo bombardamenti contro Belgrado e la Serbia nel 1999, durante i quali venne colpita anche l’ambasciata della Cina), che hanno causato circa 150 mila vittime. Putin ha chiarito le sue richieste nei due trattati proposti dal Cremlino il 17 dicembre, che prevedono che l’Ucraina e altri Paesi post-sovietici, così come Svezia e Finlandia, si impegnino alla neutralità permanente ed evitino l’adesione alla NATO. La NATO dovrebbe anche ritirarsi alla sua posizione militare del 1997, prima del suo primo allargamento, rimuovendo tutte le truppe e gli equipaggiamenti nell’Europa centrale e orientale. Ciò ridurrebbe la presenza militare della NATO a quella che era quando l’Unione Sovietica si è disintegrata. In sostanza, le richieste di Putin equivalgono a richiedere ciò che gli analisti russi hanno effettivamente chiamato “Yalta 2“. Putin aveva già espresso con chiarezza la sua posizione in un suo sensazionale discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel febbraio 2007, in cui aveva delineato la sua critica globale alle potenze occidentali e il rifiuto della Russia di accettare qualsiasi ulteriore espansione verso est della NATO. Alla conferenza stampa annuale dello scorso dicembre, Putin ha chiarito la sua versione dei fatti: “’Non di un pollice ad est’, ci hanno detto negli anni Novanta. E allora? Ci hanno imbrogliato, ci hanno semplicemente ingannato sfacciatamente!” Questa interpretazione del recente passato spiega perché Putin insista, a intermittenza e da molti anni, nel ricorrere alla minaccia militare e in alcuni casi all’uso diretto della forza. In sostanza, è convinto che non ci sia altra strada per ottenere concessioni da USA e UE, troppo più forti sul piano economico e politico. Il problema è che, così facendo, Putin avvera proprio la profezia che vorrebbe evitare: i Paesi vicini si sentono effettivamente minacciati e dunque cercano di accelerare l’avvicinamento alla NATO e/o all’Unione Europea – anche quando non ne condividono in pieno i valori e le regole, come mostrano i casi dell’Ungheria, in parte della Polonia, o in modo diverso della Serbia. Del resto, almeno il precedente della Crimea – invasa nel 2014 – corrobora la tesi di un imperialismo russo che non accenna a placarsi.[]
  2. La crescita della NATO aveva allarmato anche esperti sovietici occidentali, come il diplomatico e storico George Kennan, uno dei primi e influenti sostenitori del “contenimento” dell’URSS, che nel 1997 aveva scritto sul New York Times che “l’espansione della NATO sarebbe stato l’errore più fatale dell’America politica in tutto il dopoguerra”. Credeva che la decisione avrebbe probabilmente “infiammato le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militaristiche nell’opinione russa” e aveva osservato, dalla sua esperienza decennale, che “i russi sono poco colpiti dalle assicurazioni americane che non riflettono intenzioni ostili“. Madeleine Albright, Segretario di Stato di Bill Clinton, aveva invece una visione più ottimistica dato che “grazie in gran parte alla NATO, viviamo in un mondo diverso. Il nostro avversario sovietico è scomparso. La bandiera della libertà è stata alzata dai Paesi baltici alla Bulgaria“. Ma, la valutazione di Kennan è stata quella decisamente più accurata.[]
  3. Per Putin, le conseguenze di un errore di valutazione in Ucraina potrebbero creare serie difficoltà. Sebbene il suo regime possa metterlo al riparo dalle ripercussioni degli errori, avendo scatenato la guerra, sarà difficile per lui evitare di risentirne, soprattutto se non sarà una guerra lampo (non potendo andare per le spicce, dovendo cercare di evitare di commettere massacri di civili). Putin non sarà solo più isolato e dipendente da Pechino, ma sta affrontando anche una persistente resistenza ucraina che renderà la guerra molto impopolare a casa, come avvenuto nell’URSS per la guerra in Afghanistan negli anni ’80. Dall’inizio dell’invasione, sono circa 6 mila le persone arrestate per aver manifestato contro l’invasione dell’Ucraina – 2.700 solo nella giornata di domenica.[]
  4. Ossia, come osserva il diplomatico americano Robert Hunter, in “una situazione in cui non è possibile discriminare tra questioni su cui un accordo è possibile e impossibile, con lo scontro che diventa la regola”.[]
  5. Nel suo discorso che annunciava l’invasione, Putin ha avvertito i Paesi stranieri tentati di interferire che ci sarebbero state “conseguenze che non avete mai conosciuto prima nella vostra storia”, un riferimento appena velato alla guerra nucleare. Uno scenario preoccupante è che l’aviazione russa possa sconfinare nello spazio aereo polacco e ciò potrebbe portare a scontri diretti tra i russi e la Polonia, Paese che fa parte della NATO. Gli attacchi aerei russi potrebbero anche uccidere americani o europei ancora residenti in Ucraina (vi sono circa 2.300 italiani, di cui oltre 1.600 residenti), aumentando la pressione sui loro governi affinché rispondano.[]
  6. Il 18 febbraio, la rivista Foreign Policy ha pubblicato un articolo sul suo sito web intitolato “Washington deve prepararsi alla guerra sia con la Russia che con la Cina“. Secondo l’articolo: “Gli Stati Uniti rimangono la prima potenza mondiale con interessi globali e non possono permettersi di scegliere tra l’Europa e l’Indo-Pacifico. Invece, Washington e i suoi alleati dovrebbero sviluppare una strategia di difesa in grado di scoraggiare e, se necessario, sconfiggere contemporaneamente Russia e Cina.” E’ bene ricordare che gli stessi neoconservatori, che nel 2016 aborrivano Trump, sono poi entrati nella sua squadra con Mike Pompeo, John Bolton e Robert C. O’Brien (che ha sostituito Bolton alla guida del CSN), mentre altri – come Robert Kagan, Max Boot e Bret Stephens – continuano a essere opinionisti influenti di Brookings Institution, American Enterprise Institute, Institute for the Study of War, Foundation for Defence of Democracies, Council on Foreign Relations, The New York Times, The Washington Post, CNN, MSNBC, The Atlantic, Foreign Policy, Foreign Affairs e altre pubblicazioni.[]
  7. Il 28 febbraio la banca centrale russa ha più che raddoppiato i tassi di interesse portandoli al 20% (dal 9,5%) e ha chiuso la Borsa di Mosca nel tentativo di proteggere la valuta e l’economia russa di fronte alle sanzioni internazionali per l’invasione dell’Ucraina. Il rublo è sceso del 30% a un minimo storico rispetto al dollaro prima dell’intervento, ed è sceso del 25% dopo l’operazione della banca centrale, che ha anche ordinato alle aziende di vendere l’80% dei loro ricavi in valuta estera. Sono stati imposti dei limiti temporanei ai capitali stranieri che cercano di abbandonare gli assets russi, mettendo un freno ad un esodo accelerato degli investitori. Si prevede una caduta del PIL russo del 5%.[]
  8. L’inflazione nei 19 Paesi che condividono l’euro è salita ad un tasso annuo del 5,8% a febbraio, dal 5,1% di gennaio, secondo una stima di Eurostat. I costi energetici sono aumentati a un tasso annuo del 31,7% dopo un aumento del 28,8% a gennaio, mentre i prezzi di cibo e alcol sono aumentati del 4,1%, rispetto al 3,5% di gennaio. L’inflazione in Germania è salita al 5,5%, dal 5,1% di gennaio, mentre l’Italia è stata ancora più alta al 6,2%, dal 5,1%, e l’inflazione spagnola è salita al 7,5%,dal 6,2%. La Francia ha registrato un tasso del 4,1% il mese scorso, rispetto al 3,3% di gennaio.[]
  9. La Russia, come l’Ucraina è uno dei grandi produttori mondiali di cereali che esporta in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi emergenti e poveri di Africa, Medio Oriente ed Asia. Insieme producono circa un terzo della fornitura mondiale di grano e sono tra i principali produttori di mais e semi di girasole. L’invasione russa dell’Ucraina e le sanzioni contro la Russia porteranno inevitabilmente ad una interruzione delle consegne alimentari da due dei più importanti granai del mondo e questo farà aumentare notevolmente l’insicurezza alimentare globale, con possibili carestie in Paesi di Africa, Medio Oriente e Asia. L’Ucraina è il terzo Paese esportatore di cereali a livello mondiale, alle spalle di Stati Uniti e Argentina. Fra gennaio e novembre 2021 Kiev ha venduto oltre i propri confini quasi 45 milioni di tonnellate di cereali (-5,6% sullo stesso periodo del 2020): 19,8 tonnellate di mais (-18% rispetto allo stesso periodo del 2020, con la Cina primo Paese destinatario, col 32% delle quote di mercato, seguita dall’Unione Europea al 31%, e poi Egitto, Iran, Turchia, Regno Unito); 18,9 milioni tonnellate di frumento (+7,48% tendenziale, con Egitto, Indonesia, Turchia, Pakistan, Bangladesh e Marocco primi acquirenti); 5,4 milioni di tonnellate di orzo (+7,86% tendenziale, con la Cina che rappresenta il 53% delle quote di mercato, seguita da Turchia, Arabia Saudita, Libia, Giordania e Tunisia). La Russia nei primi 11 mesi del 2021 ha collocato oltre i propri confini oltre 32,4 milioni di tonnellate di cereali (-19,54% rispetto allo stesso periodo del 2020), dei quali 24,5 milioni sono rappresentati dal grano(-24,8% tendenziale, con Turchia ed Egitto primi destinatari). La Russia esporta anche orzo (3,6 milioni di tonnellate, -19,89% rispetto ai primi 11 mesi del 2020, venduti nell’ordine ad Arabia Saudita, Turchia, Libia e Tunisia) e mais (2,7 milioni di tonnellate, +35% tendenziale, con la Turchia che rappresenta il 38% delle quote di mercato, davanti a Unione Europea, Corea del Sud, Georgia e Vietnam). I numeri inquadrano in maniera chiara la portata dell’export dei due Paesi oggi contrapposti sul filo della tensione e dall’analisi delle destinazioni dell’export dei cereali emerge in modo nitido che molte dei Paesi che acquistano dall’Ucraina o dalla Russia si ritrovano in una condizione di instabilità politica, di insicurezza alimentare e, dunque, sono molto esposti anche al rischio di sommosse interne, agitazioni, rischio di carestie. Nelle ultime due settimane, la crisi Ucraina ha fatto balzare del 10% il prezzo internazionale del grano, scatenando forti tensioni sul mercato alimentare. E’ bene ricordare che le rivolte della Primavera Araba avvenute a partire dal 2011 hanno avuto la loro scintilla – soprattutto in Tunisia ed Egitto – dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Una situazione che va ad innescare ulteriore preoccupazione dal momento che con la pandemia da CoVid-19 si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza per gli effetti dei cambiamenti climatici che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazioni.[]
  10. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) stima che gli sfollati interni potrebbero raggiungere cifre tra i 6 e i 7,5 milioni e i rifugiati fra i 3 e i 4 milioni. Quasi un milione di persone sono già scappate dall’Ucraina, principalmente in direzione di Paesi vicini come la Polonia.[]
  11. La Crimea, ceduta dal leader sovietico Nikita Chruščëv a Kiev nel 1954, è stata ‒ essendo l’Ucraina stata parte dell’Unione Sovietica fino al 1991 ‒ sempre sotto il controllo di Mosca. La penisola ha una lunga storia di dominazione, essendo stata parte dell’Impero romano e conquistata numerose volte fino a quando Caterina la Grande, nel 1783, sconfiggendo l’Impero Ottomano, la incorporò all’Impero Russo. L’annessione del 2014 da parte di Mosca è stata guidata da interessi geopolitici (quello verso la base navale di Sebastopoli sul Mar Nero) e dal fatto che il 77% della popolazione parla il russo come lingua madre, l’11% tataro e solo il 10% ucraino.[]
  12. In questi giorni, la Finlandia ha siglato un accordo per l’acquisto 64 aerei da guerra Stealth F-35 dagli USA, un segno degli stretti legami dei suoi militari con la NATO in un momento di alta tensione tra l’Occidente e la Russia in Europa.[]
  13. Attualmente, l’Italia ha schierato in Lettonia 239 militari dotati di armi, mezzi ed aerei.[]
  14. E’ stato Trump a decidere di ritirare gli USA dall’Intermediate-Range Nuclear Forces (INF) Treaty, il trattato della pace nucleare firmato l’8 dicembre 1987 a Washington da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv (e ratificato dal Senato americano nel 1988), che è stata una delle pietre miliari del disgelo che portò alla fine della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. L’INF era un caposaldo del disarmo nucleare (soprattutto in Europa), ma Trump ha deciso di rottamarlo per spianare la strada ad un riarmo degli Stati Uniti. Questo accordo obbligava i due Stati a distruggere tutti i loro missili balistici e da crociera lanciati da terra con un range compreso tra 500 e 5.500 km. Pertanto, a seguito dell’accordo ci fu la distruzione di 2.692 missili nucleari, 846 Pershing II e Cruise americani e 1.846 SS-20 russi. Oggi, gli USA dispongono di 1.797 testate nucleari che, sommate a quelle degli alleati francesi e inglesi, diventano 2.207. Quasi un terzo in meno di quelle russe (3.587). Inoltre, una buona parte delle bombe americane sono obsolete, stoccate per lo più in depositi europei dalla fine della Guerra Fredda. In Italia, nelle basi di Ghedi e Aviano, ce ne sono 70. Gli Stati Uniti accusano da anni Mosca di violare gli impegni presi nel 1987 e lo strappo di Trump rischia di riaprire la corsa agli armamenti e di innescare una nuova Guerra Fredda con Russia e Cina che metterebbe in pericolo la sicurezza di tutti i Paesi. Il primo a denunciare ufficialmente la Russia per continue violazioni dell’accordo fu, nel 2014, Barack Obama che accusò Putin di dispiegare armi nucleari tattiche proibite per intimidire i Paesi dell’ex blocco sovietico poi entrati o avvicinatisi alla NATO. A loro volta i russi hanno accusato gli Stati Uniti di aver dislocato i lanciatori dello scudo antimissile in Romania, identici a quelli usati per i missili proibiti dall’INF. Obama, nonostante i rapporti non facili con Putin, scelse di non lasciare l’INF per non provocare un’escalation. Con gli USA fuori dal trattato INF, una delle prossime mosse del Pentagono potrebbe, infatti, essere quella di dispiegare missili con testate nucleari nel Pacifico asiatico, per contrastare la crescente influenza della Cina. In attesa di mettere a punto nuove testate nucleari (il Pentagono sta pianificando di spendere 1,2 trilioni di dollari per una nuova generazione di armi nucleari nei prossimi tre decenni), gli USA sono pronti a modificare i vecchi missili Tomahawk e a piazzarli in Giappone e nella base USA di Guam. Il passo successivo sarebbe quello di tornare a rafforzare il sistema degli euromissili in Europa (ad esempio, localizzandoli in Polonia e nei Paesi baltici). Questo mentre Cina, Corea del Sud, Corea del Nord, India, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Israele, non essendo contraenti dell’INF, hanno potuto dotarsi di arsenali missilistici. In particolare, la Cina ha sviluppato programmi di rafforzamento e ammodernamento del suo arsenale missilistico nel Pacifico (con i missili balistici DF-21 e DF-41, quest’ultimo in grado di colpire gli Usa in pochi minuti). In Russia, invece, sarebbe pronto ad essere dispiegato il sistema missilistico Novator 9M729, che secondo Washington ha una portata di 2.600 km, mentre i russi sostengono che sia inferiore ai 500 km. I trattati sul disarmo sono una delle questioni di controversia tra Stati Uniti e Russia. Il sofisticato sistema ha bisogno di essere rinnovato. L’accordo più recente e di ampia portata, il nuovo trattato New START, firmato da Barack Obama e da Dmitri Medvedev nel 2010, che ha limitato il numero di testate strategiche dispiegate su entrambi i lati a 1.550 e a 700 quelle imbarcate su bombardieri e missili, scadeva il 5 febbraio 2021. Mentre il trattato ABM sulla restrizione dei sistemi di difesa missilistica è stato chiuso dagli Stati Uniti nel 2002. Con il crollo del trattato INF, e con il trattato START sulle armi strategiche in scadenza, il mondo sembrava trovarsi senza limiti alla crescita degli arsenali nucleari degli Stati nucleari per la prima volta dal 1972. Trump è sembrato essere pronto a giocare con il fuoco, sostenendo che “abbiamo una quantità enorme di denaro con cui giocare per le spese militari” e con cui perseguire quella che i russi definivano una politica di “frivolezza strategica” con il ritiro dall’INF e la messa in discussione il New START. Pochi giorni dopo la scadenza dell’INF, gli Stati Uniti hanno annunciato di voler dispiegare nuovi missili a medio raggio in Asia, in tempi rapidi, preferibilmente entro i pochi mesi, con l’obiettivo di contrastare l’ascesa della Cina nella regione. Tutto questo mentre i russi hanno testato con successo e adottato il sistema Avangard, un nuovo missile ipersonico intercontinentale capace di viaggiare a 27 volte la velocità del suono che viene dispiegato dal 2019. Le armi ipersoniche non sono difensive, ma offensive: possono colpire a migliaia di chilometri di distanza in pochi minuti e superare qualunque sistema attuale di difesa. Anche la Cina ha testato il suo missile ipersonico (Dong Feng 17 o DF-17), mentre quello USA dovrebbe essere disponibile nel 2022 per poi essere istallato su mezzi navali nell’area indo-pacifica. Si è di nuovo scatenata una corsa agli armamenti tra USA, Russia e Cina in grado di sconvolgere le basi della sicurezza globale. Pochi giorni prima della scadenza (5 febbraio 2021) Vladimir Putin ha firmato una legge che ha esteso per 5 anni il New START, l’ultimo trattato sul controllo delle armi nucleari tra Russia e Stati Uniti. Putin e il neo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avevano discusso l’accordo sul nucleare il giorno prima, e il Cremlino aveva affermato di aver accettato di completare le necessarie procedure di proroga nei giorni successivi. L’estensione del patto non ha richiesto l’approvazione del Congresso USA.[]
  15. Sebbene negli ultimi mesi l’attenzione in Occidente si fosse concentrata sull’accumulo di truppe russe vicino al confine ucraino, ciò era avvenuto quando i Paesi della NATO avevano ampliato le loro attività militari nella regione del Mar Nero e in Ucraina. A giugno, un cacciatorpediniere britannico aveva navigato attraverso le acque territoriali al largo della Crimea, che Londra non riconosce come appartenenti alla Russia, provocando i russi a sparare nella sua direzione. A novembre, un bombardiere strategico statunitense era volato entro 13 miglia dal confine russo nella regione del Mar Nero, facendo infuriare Putin. Con l’aumento delle tensioni, consiglieri militari occidentali, istruttori, armi e munizioni si erano riversate in Ucraina. I russi sospettavano anche che un centro di addestramento che il Regno Unito stesse costruendo in Ucraina in realtà una base militare straniera. Putin era fermamente convinto che il dispiegamento di missili americani in Ucraina, che potrebbero raggiungere Mosca in cinque o sette minuti, non poteva essere tollerato. L’obiettivo generale del presidente Vladimir Putin è mettere in discussione le strutture di sicurezza post-sovietiche che sono state concordate in Europa dopo il 1989-1991 e che hanno consentito agli USA di “venire con i suoi missili alla nostra porta“.[]
  16. Tra l’altro Trump ha dichiarato che Putin è “intelligente” e che se la presidenza non gli fosse stata “rubata” nel 2020, lui avrebbe potuto fermare la “spaventosa” invasione russa dell’Ucraina (una posizione condivisa dal 62% degli americani, secondo un sondaggio). Per anni Trump ha ripetutamente attaccato la NATO quasi con la stessa implacabilità di Putin e non ha mai nascosto il suo desiderio di cooperare più strettamente con Putin, nonostante che la sua amministrazione avesse identificato la Russia, insieme a Venezuela, Iran, e Cina (ma anche l’Unione Europea, almeno sul piano economico) come avversari dell’America. Le avances di Trump verso Putin sono state bloccate dall’opposizione del Pentagono, degli apparati dell’intelligence, della diplomazia professionale e in maniera bipartisan dal Congresso che consideravano la Russia con grande sospetto, come inaffidabile e minacciosa. Pertanto, non hanno consentito a Trump di provare ad operare l’inversione della politica nixoniana/kissingeriana degli anni ’70 (apparentemente suggerita dallo stesso Kissinger), ossia un detente, un avvicinamento alla Russia per contrastare l’ascesa della Cina, divenuto il principale avversario da contrastare e battere. Con il summit di Helsinki del luglio 2018, Trump ha cercato di “normalizzare” le relazioni con Putin ed è stato bollato da John Brennan, un ex direttore della CIA, ma anche da gran parte dell’establishment democratico e repubblicano, di essersi comportato poco meno che come un “traditore” per aver ceduto al nemico Putin nel corso della conferenza stampa congiunta di Helsinki nel negare le accuse formulate dalle agenzie governative americane dell’intelligence (FBI, CIA e NSA) di ingerenza elettorale da parte dei russi nel 2016 (un’affermazione che Trump ha dovuto in seguito rimangiarsi).[]
  17. Prudenti sono stati finora anche altri importanti Paesi emergenti, tra cui India, Brasile e Argentina, che non hanno semplicemente seguito la condanna USA della Russia, ma hanno emesso voci razionali e pragmatiche. Queste voci rappresentano le opinioni di una parte significativa della comunità internazionale, semplicemente ignorate dai media occidentali.[]
  18. Per il 1 aprile è stato fissato un summit virtuale tra Cina e UE nel tentativo di attenuare le crescenti tensioni tra le due parti e migliorare la cooperazione. Negli ultimi mesi le relazioni si sono complicate, l’accordo di investimento concluso con la Cina è bloccato dopo che Pechino ha imposto sanzioni ad alcuni membri del Parlamento Europeo ed è sorta una controversia tra Cina e Lituania dopo che quest’ultima ha consentito a Taiwan di aprire un’ambasciata de facto a Vilnius. L’UE considera la Cina un rivale strategico in alcuni campi, ma un partner in settori come la lotta al cambiamento climatico e vuole anche coinvolgere la Cina nella sua spinta a riformare le regole commerciali presso il WTO.[]
  19. Il trentennale accordo energetico stipulato il 4 febbraio rende ancora più forte il legame reciproco. Attraverso il nuovo gasdotto che unisce la Siberia Centrale al territorio cinese, Gazprom aumenterà le esportazioni verso la Cina dagli attuali 38 miliardi a 48 miliardi di metri cubi l’anno, rendendo l’Asia centrale il principale fornitore di gas naturale della Cina. I prezzi concordati non sono noti, ma si può presumere che la Cina abbia strappato un accordo conveniente, mentre la Russia consolida in tal modo i legami con un cruciale acquirente alternativo all’Unione Europea, rafforzando il potere contrattuale nei riguardi di quest’ultima.[]
  20. E’ bene ricordare che la Cina ha lanciato e sta lavorando da anni alla Belt and Road Initiative (BRI) che potrebbe collocare la Cina “al centro della scena mondiale“, come grande potenza al centro di nuove catene di fornitura e di un nuovo ordine economico globale, rendendo l’Eurasia (dominata dalla Cina, insieme alla Russia, all’Iran, alla Turchia e all’Unione Europea) un’area economica e commerciale in grado di competere con quella transatlantica ancora dominata dall’America. La BRI prevede: 1. una via terrestre, la Silk Road Economic Belt (SREB) composta da 4 corridoi: il nuovo ponte terrestre eurasiatico che collegherà orizzontalmente la provincia cinese dello Jiangsu con Rotterdam in Olanda, attraversando più di 30 Paesi; il corridoio economico Cina-Mongolia-Russia (dalla Cina settentrionale all’Estremo Oriente russo); il corridoio economico Cina-Asia centrale-Asia occidentale (dalla Cina occidentale alla Turchia passando per Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan); il corridoio economico Cina-Pakistan; 2. una via marittima, la Maritime Silk Road (MSR), che comprende due corridoi: il corridoio economico Cina-Penisola indocinese (dalla Cina a Singapore passando per Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia, Myanmar e Malesia) e il corridoio economico Cina-Bangladesh-India-Myanmar. Questi sterminati corridoi economici mirano a facilitare il commercio, gli investimenti, il flusso di informazioni, il movimento di persone e la creazione di mercati e posti di lavoro in loco, interconnettendo l’Asia centrale ed occidentale (attraverso i porti di Guangzhou e Haikou, attraverso Malacca, Singapore, lo Sri Lanka), toccare il Medio Oriente e l’Africa e, attraverso Suez, sboccare in Europa. L’interscambio Cina-UE è quasi raddoppiato tra il 2010 e il 2017, superando i 550 miliardi di dollari, e la Cina è così divenuta il secondo partner commerciale europeo, mentre l’UE è il primo partner cinese. La variante marittima, oltre a collegare il Mare Cinese e il Mediterraneo, dovrebbe estendersi anche al Sud Est asiatico e all’Oceania e alla rotta polare verso il Baltico – usando il passaggio a nord-est della Russia -, che sfruttando l’opportunità del restringimento della calotta glaciale artica dovuto al riscaldamento climatico può permettere al traffico commerciale di accorciare i tempi di navigazione dall’Asia all’Europa (3 mila miglia nautiche e 20 giorni di navigazione in meno da Shanghai a Rotterdam e Amburgo). Con la via polare si accorcia di una settimana anche il passaggio che unisce Atlantico e Pacifico, costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto alla rotta attraverso il canale di Panama. Questa iniziativa rivela come la Cina sia l’unica potenza mondiale ad essersi dotata di una strategia di sviluppo globale coerente per il XXI secolo. Si tratta della proposta di un modello geo-economico e geo-politico alternativo a quello americano e che potrebbe essere integrato sia con l’iniziativa dell’Eurasian Economic Union lanciata dalla Russia nel 2011 sia con la strategia dell’Unione Europea sulla connettività euro-asiatica lanciata nell’ottobre 2018.[]
  21. Nel gennaio 2022, la Cina ha pubblicamente sostenuto l’intervento della Russia in Kazakistan per contrastare una “rivoluzione colorata” nel cortile comune dei due Paesi.[]
  22. In una parte rilevante dell’establishment neoconservatore (sia di destra sia neoliberal) americano si è ormai consolidata l’idea che gli Stati Uniti devono opporsi alla spinta della Cina per l’egemonia regionale. Una convinzione che ha le sue radici nel cupo scenario geopolitico elaborato da Sir Halford Mackinder all’inizio del XX secolo che prevede che se un singolo potere dominasse il “cuore” dell’Eurasia (definita come “l’isola del mondo“), ossia l’Europa Centrale, potrebbe raggiungere l’egemonia globale. Ma, sarebbe bene ricordare che il professore di geografia dell’Univesità di Oxford Mackinder era un imperialista reazionario di destra che viveva in un’era storica in cui si equiparava la potenza militare alla dimensione della popolazione e alla produzione di carbone e acciaio. In ogni caso le idee di Mackinder erano condivise da Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere della sicurezza di Carter dal 1977 al 1981, che nel 1994 sosteneva che “l’Eurasia è il supercontinente assiale … È imperativo che in questa regione non emerga uno sfidante in grado di dominarla e quindi di sfidare l’America”. Per questo Brzezinski suggeriva di occupare “la potenzialmente destabilizzante sul piano geopolitico terra di nessuno tra Russia e Unione Europea” perché “l’Eurasia è il terreno sul quale si giocherà il futuro del mondo”. La Segretaria di Stato Madeline Albright (che definiva “indispensabili” gli USA) condivideva la posizione di Brzezinski e ha pianificato la trasformazione della NATO nella pietra angolare di una vasta espansione geostrategica verso Est. Tutto questo anche se la teoria geopolitica di Mackinder ha come contraltare quella dell’americano Alfred Thayer Mahan che ha posto l’accento sul ruolo del potere sui mari (la strada scelta per costruire il proprio dominio mondiale da Inghilterra prima e USA poi). La Cina è ormai la maggiore economia mondiale, il maggiore esportatore e il secondo importatore del mondo, nonché il principale partner commerciale di 130 Paesi, a cominciare da tutti gli altri principali Paesi dell’Asia orientale, compresi gli alleati degli USA. Se sul piano economico gli Stati Uniti non riescono più a mantenere il proprio potere imperiale, possono provare a farlo sul piano militare, investendo massicciamente nell’intelligenza artificiale, biometria, tecnologie e “forze” spaziali che controllano satelliti, droni, automi, veicoli telecomandati, e velivoli ad alta tecnologia.[]

Alessandro Scassellati

2/3/2022 https://transform-italia.it

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