Le politiche regionali e i loro effetti sui territori

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Dall’inizio della pandemia, il Piemonte ha pagato un prezzo molto alto in termini di vittime (sono oltre 11.000) e le condizioni che si sono determinate vanno messe in stretta correlazione con le politiche portate avanti dalle giunte di ogni schieramento negli ultimi 25 anni. La regionalizzazione del sistema sanitario ha, da una parte, depotenziato il servizio pubblico, in particolare modo per ciò che concerne i servizi di prevenzione, delle cure primarie e dei servizi territoriali, dall’altra ha determinato un’estensione della privatizzazione dei servizi.

Negli ultimi anni sono stati chiusi interi ospedali determinando una diminuzione delle possibilità di accesso alle cure da parte dei cittadini. Solo nella città di Torino sono stati chiusi due importanti strutture ospedaliere che erano centri di eccellenza: l’Ospedale Valdese e il Maria Adelaide. Anche innumerevoli punti nascita sono stati chiusi e non perchè non ce ne fosse necessità, ma per rispondere a logiche di risparmio e “ottimizzazione dei servizi”. Sul piano della prevenzione le cose non sono andate bene e su quello dei servizi sociali e domiciliari si può tranquillamente parlare di una politica disastrosa.

E se la situazione era già di per sé molto grave prima della pandemia, con la diffusione del virus sono emerse in tutta la sua drammaticità le carenze dei servizi.

Non è stato previsto un vero sistema di tracciamenti e molti di coloro che si sono ammalati di Covid, nel corso delle diverse ondate, hanno sperimentato un vero e proprio senso di abbandono da parte del servizio sanitario. La presa in carico dei malati di covid a domicilio spesso è avvenuta e avviene con grande ritardo e si limita ad un’assistenza di tipo telematico.

Nella città di Torino, ad un certo punto, i tamponi venivano inviati per il processamento anche in altre regioni, talvolta anche a centinaia di chilometri di distanza.

Anche la scuola è allo sbando. La regione, nell’autunno, ha emanato delle normative sulla rilevazione delle temperature diverse da quella nazionale, determinando un caos che non ha certo aiutato i cittadini e le scuole a districarsi in una situazione già di per sé complessa.

Nelle scuole il personale scolastico ha passato lunghi periodi a cercare il filo conduttore delle normative regionali e nazionali per coglierne le similitudini e le diversità e poter procedere nella stesura dei protocolli e delle misure di intervento. Anche per ciò che riguarda lo screening nelle scuole, nulla è stato fatto di concreto perchè persino il progetto messo in piedi dalla regione nel dicembre 2020 si è rivelato un fallimento. La regione aveva previsto uno screening a campione tra la popolazione scolastica limitandolo agli studenti della scuola media. Inizialmente avevano stabilito un campione pari al 50% della popolazione studentesca, ma siccome pochissime classi hanno aderito, la quota è stata abbassata al 25%. Ma le famiglie non hanno aderito perchè le modalità organizzative impedivano fattivamente di portare i figli presso gli Hub predisposti, poiché erano previsti tamponi ad orari impossibili, spesso durante l’orario di lavoro dei genitori, spesso dall’altra parte della città. Si è trattato di un vero progetto di propaganda dello screening.

La pandemia ha messo in luce tutte le contraddizioni e le storture che la regionalizzazione dei servizi ha provocato e pensare di procedere oltre, alla luce di quanto è successo, è proseguire sulla via del disastro.

Ma per comprendere come si è arrivati a tutto ciò è necessario fare un passo indietro e tornare alle origini di questo processo.

L’autonomia differenziata in Piemonte: origini e stato dell’arte

In Piemonte, negli ultimi 10 anni, ogni giunta regionale, di qualunque colore politico sia sia avvicendata nel governo del territorio, ha sostenuto e portato avanti il progetto dell’autonomia differenziata.
Il tema entra nella sala del consiglio regionale piemontese con la giunta di centrodestra di Cota (2010-2014), ma è con la giunta di centro-sinistra guidata da Chiamparino (2014-2019) che il progetto subisce una vera e propria accelerazione. Nel 2018, infatti, il vicepresidente della Giunta Chiamparino, Aldo Reschigna, dichiara, in seguito alla votazione all’unanimità di un ordine del giorno presentato da Forza Italia, con il quale la giunta regionale si impegna a “trattare con il governo nazionale, insieme con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, l’attribuzione di maggiori competenze e le conseguenti risorse, ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione”, che l’autonomia differenziata rappresenta un’opportunità e che è necessario lavorare nel solco dell’art 116, che parla di autonomia accresciuta o differenziata.

Nel dicembre del 2019 la giunta di centro destra Cirio, a pochi mesi dall’insediamento e alla vigilia della pandemia, approva con i voti del centrodestra, del Pd e dei Moderati, una delibera con la quale chiede al governo l’attribuzione di nuove competenze.
La giunta chiede al Governo maggiore autonomia differenziata su tutte le 23 competenze previste dagli articoli 116 e 117 della Costituzione e maggiori poteri legislativi ed amministrativi su gran parte delle 13 materie già individuate dalla precedente giunta di centro sinistra guidata da Sergio Chiamparino. L’idea di Cirio è quella di recuperare il tempo perduto rispetto alle proposte di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Vengono richieste nuove materie e nuovi poteri.

QUESTE LE NUOVE MATERIE RICHIESTE

Se guardiamo alle singole materie, oggetto delle richieste di maggiore autonomia, rileviamo che:

LA REGIONE PIEMONTE CHIEDE “FORME E CONDIZIONI PARTICOLARI DI AUTONOMIA” SU

E’ sufficiente mettere in evidenza i pericoli rispetto a due sole delle materie previste, per comprendere la portata dell’attacco ai diritti che l’autonomia ia differenziata porta con sé.

Le pericolose conseguenza dell’autonomia differenziata sulla sanità e sulla scuola.

Le richieste di maggiore autonomia in materia di sanità rappresentano un vero e proprio attacco al diritto alla cura per tutti le cittadine e ai cittadini.
Infatti, si legge nel documento finalizzato all’Intesa sull’autonomia differenziata che la Regione Piemonte chiede di:

1- eliminare parte dei vincoli di destinazione delle risorse attribuite del Fondo sanitario nazionale e poter definire in maniera autonoma la quota di fondi da destinare alla spesa per il personale, i dispositivi medici, i farmaci, il «privato accreditato» ed i «beni e servizi»;

2- maggiore autonomia nella definizione del sistema tariffario e un ruolo maggiore nella gestione dei rapporti con i privati accreditati;

3- la competenza nella definizione dell’offerta formativa universitaria ed il potere di assumere i medici specializzandi che frequentano l’ultimo anno del corso di specializzazione;

4- maggior competenza nella possibilità di dismissione del patrimonio edilizio obsoleto (tale richiesta viene presentata in combinato con le richieste in materia di governo del territorio (rigenerazione urbana, di trasformazioni edilizie e di sostituzione del tessuto edilizio degradato);

5- maggiore autonomia nell’istituzione e nella gestione dei fondi sanitari integrativi e aumento della defiscalizzazione per l’incentivazione della adesione agli stessi fondi.

Un progetto di vera e propria dismissione del servizio sanitario pubblico che avrebbe delle ricadute concrete sulla possibilità di avere accesso alle cure pubbliche da parte della popolazione che si ritroverebbe costretta a rivolgersi sempre più ai servizi privati e a ricorrere all’accensione di fondi sanitari integrativi per poter pagare le prestazioni.

Nella scuola le cose non vanno meglio, perchè nel testo si legge che la regione chiede maggiori poteri anche sulla disciplina dell’organizzazione e del rapporto di lavoro del personale dirigente, docente, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche e formative regionali, nel rispetto delle disposizioni statali in materia di ordinamento civile e dello status giuridico del personale della scuola, con particolare riguardo all’adozione di interventi sul personale docente, ivi compresa la definizione dei criteri per l’attività di reclutamento regionale e la sua successiva attuazione.
In questo modo, non ci sarà più un unico contratto collettivo nazionale a garanzia dell’uguaglianza e la frammentazione della cornice contrattuale impedirà, di fatto, l’unità delle lavoratrici e dei lavoratori nella lotta per la difesa dei loro diritti. La prima conseguenza potrebbe essere quella di un ritorno alle “gabbie salariali”. Ma anche orari di lavoro differenziati, fino ad arrivare alla messa in discussione delle tutele e alle garanzie. Non meno grave sono gli effetti che si avrebbero con il reclutamento regionale perché si potrebbe determinare una selezione i cui criteri potrebbero essere affidati a margini di discrezionalità e a requisiti non necessariamente legati alle conoscenze e alla capacità didattica.

I comitati territoriali in provincia di Torino e la loro azione

I comitati territoriali che si sono costituiti nella provincia di Torino si riuniscono periodicamente dalla loro istituzione e hanno organizzato ripetutamente, prima della pandemia, riunioni pubbliche informative e volantinaggi. Il 20 gennaio del 2020 hanno aderito all’iniziativa della “settimana di presidi nelle città per il ritiro di qualunque progetto di autonomia differenziata” e una delegazione è stata ricevuta dalla Prefettura. Lo stesso è accaduto in occasione della seconda iniziativa di presidi del 18 dicembre, organizzati per chiedere il ritiro dei progetti di autonomia differenziata dal collegato alla Nadef. Questa iniziativa, svolta nel rispetto delle precauzioni relative al Covid, ha visto la partecipazione di più di 50 persone.
I comitati territoriali hanno previsto, per il prossimo periodo, di contattare le forze politiche e sindacali provinciali e regionali per valutare quali mobilitazioni mettere in atto per il ritiro di questo progetto che va nell’unica direzione di attaccare i diritti universali.

Monica Grilli

Comitato Territoriale No Autonomia Differenziata – provincia di Torino

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