Le riforme per l’occupazione (che non faremo)

dubbio

C’è un solo modo di sviluppare ricchezza e occupazione: aumentare il numero delle imprese. Cosa blocca lo sviluppo del numero di imprese? La burocrazia e la tassazione, ma anche la giustizia, i trasporti, la rete telematica. Riformare la giustizia, sistemare i trasporti, creare una rete ultraveloce sono, in Italia, missioni impossibili. Operare sulla burocrazia e la tassazione è invece relativamente semplice, e con costi irrilevanti.

La Svizzera riesce ad attivare un’impresa in due settimane, e certo non lo fa aumentando i costi, ma diminuendoli. Basta fare leggi che “tolgano” e non leggi che “mettano”. Azzerare o diminuire la tassazione è da molti vissuto come una perdita per lo Stato, ma non è sempre vero. Le imprese chiuse o fallite, gli impreditori suicidi, le imprese mai nate, versano zero tasse allo Stato.

Porti o zone franche
Un porto franco, zona franca, o anche zona economica libera è un territorio delimitato di un paese dove si gode di alcuni benefici tributari, come il non pagare dazi di importazione di merci o l’assenza di imposte. Da wikipedia vediamo l’elenco della zone franche in Italia:

Porto di Genova, dall’11 agosto 1590
Porto di Livorno, dal 10 giugno 1593-1868
Porto di Trieste, dal 1719 ad oggi
Porto di Venezia
Porto di Ancona, dal 1733
Provincia di Gorizia
Sardegna (stabilito dall’articolo 12 dello Statuto Speciale della Sardegna e dal D.LGS. 75/1998 ma mai attuato)
Valle d’Aosta (stabilito dall’articolo 14 dello Statuto Speciale per la Valle d’Aosta ma mai pienamente attuato)
Campione d’Italia
Domusnovas (da dicembre 2017)
Livigno
Porto di Messina (stabilito dal Decreto 270/A del 10/03/1953 ma mai pienamente attuato).
Quartu Sant’Elena

E’ interessante notare che, malgrado la retorica della promozione del Meridione, su 13 zone franche c’è solo il porto di Messina al sud, e peraltro aspetta dal 1953 di essere pienamente attuato. Niente ci impedisce di creare un porto franco in ogni Regione meridionale.

Esenzioni pluriennali
Una delle più note difficoltà italiane è l’importazione di imprese straniere. Nessun danno verrà allo Stato se 1000 aziende straniere, oggi assenti in Italia, vengono invitate ad aprire una sede produttiva in Italia (magari nel Sud) in cambio di una totale esenzione fiscale per 10 o 20 anni. L’Irlanda fa qualcosa di simile da anni. Idem per Ungheria, Romania, Repubblica ceca (*), e Romania.

La via più semplice per un disoccupato è sbarcare il lunario con una impresa individuale o familiare. Oggi lo Stato assiste all’inattività di milioni di cittadini, che saltano i pasti, non pagano tasse, e magari fanno un lavoro in nero. Facilitare la creazione di un’impresa (individuale e familiare) e detassarla totalmente o sensibilmente, consentirebbe un reddito di sopravvivenza a castagnari, gelatai, ambulanti, gestori di chioschi e di piccola ristorazione, artisti da strada, idraulici, elettricisti, antennisti, ecc.).

Spostamento dell’asse produttivo verso l’immateriale
Dovrebbe essere chiaro ormai che il destino dell’Italia non è nel manufatturiero di bassa qualità, ma nel manufatturiero di altissima qualità o nel lavoro immateriale. Questo spostamento doveva essere avviato 25 anni fa, ma forse non è troppo tardi. Un primo beneficio di questa sterzata starebbe nel necessario aumento della scolarità. Un secondo beneficio starebbe nel fatto che le imprese immateriali possono difficilmente essere comprate dal capitale straniero. Un terzo beneficio starebbe nel miglioramento della qualità della vita di tutti.
Cosè l’immateriale? Un settore produttivo nel quale il valore del prodotto è molto maggiore del valore dei materiali impiegati. Il settore dell’arte, dell’alimentazione, dell’educazione, del benessere, dell’assistenza, dello spettacolo, dell’educazione e della formazione, dell’informatica e telematica, della robotica e dell’informazione, del turismo, della moda, della scienza, delle energìe rinnovabili. In questo enorme settore servono imprenditori, ma anche ideatori, esecutori, promotori. Detassare le imprese di questo comparto, specie se assumono a tempo indeterminato, sarebbe un grande aiuto per la riconversione del sistema produttivo, uno stimolo all’aumento della scolarità ed al rafforzamento del sistema dell’istruzione, e la creazione di posti di lavoro.

Regolamentazione
In questi anni si è sparsa la favola che “gli immigrati fanno lavori che gli italiani non vogliono fare”. Niente di più falso. Il fatto è che gli italiani non vogliono fare un lavoro sottopagato, precario e senza diritti. Non possono mandare i soldi alla famiglia in Africa, ma devono mantenerla qui. Invece di regolamentare le condizioni del lavoro offerto, lo Stato italiano, governato da neo-schiavisti, ha preferito importare manodopera dall’estero. Qualche esempio può chiarire questo pensiero.

Salario minimo
Nel secolo scorso un lavoro precario era pagato più di un lavoro stabile. Ora siamo arrivati ai lavoratori della “gig economy” (fattorini, operatori di call center, finti stagisti, scaffalisti, ecc.) che hanno una paga oraria inferiore a quella dei lavoratori stabilizzati, sono chiamati al lavoro quando servono e non hanno alcuna tutela. Non parliamo dei 500.000 raccoglitori di frutta e verdura stagionali, che vengono pagati con una ciotola di riso e sono costretti a dormire in tendopoli da Quarto Mondo. Basterebbe una legge sul “salario minimo orario”, più alto per il lavoro precario che per quello stabile (con qualche diritto, modeste facilitazioni fiscali e pesanti sanzioni agli evasori). Con una legge simile, 200/300mila italiani potrebbero competere con gli immigrati, o dare a questi una vita più dignitosa.

Regolamentazione badanti e colf
Il caso delle badanti e colf straniere è paradigmatico. Il lavoro nero, sottopagato e precario cui si è sottoposto una manodopera straniera disperata ha impedito la creazione di almeno 30.000 imprese regolari di “servizi alla persona”, con operatori adeguatamente retribuiti, preparati, controllati, stabili e tutelati. Ci siamo giocati circa 1.000.000 di posti di lavoro per italiani, con relative tasse pagate. Per una rumena disperata una paga infima in euro è un tesoretto da mandare a casa, non avendo da pagare, in Italia, nè affitto nè pasti. Non avendo famiglia nè amicizie in Italia, la poveretta si sacrifica per 24 ore con l’assistito/a con la paga di un part-time. Quale italiano potrebbe fare altrettanto?

Regolamentazione prostituzione
La prostituzione in Italia è senza regole, senza tasse , senza tutele, senza sicurezza e riguarda circa 100.000 operatori del sesso, l’equivalente di 10/20.000 imprese cooperative o individuali. Centomila posti di lavoro a tempo indeterminato, con una regolamentazione simile a quella dei massaggiatori o dei fisioterapisti, in regola con le tasse, la sanità, la sicurezza, si potrebbero creare.

Liberalizzazione della cannabis
L’Italia è il terzo Paese europeo per consumo di cannabis. La California ha 40.000.000 di abitanti, 2/3 dell’Italia. La liberalizzazione della cannabis per uso ricreativo in California ha creato circa 1.500 imprese con circa 20.000 addetti. Inoltre ha ridotto i piccoli reati, portato tasse allo Stato, tolto guadagni alla mafia, ridotto le spese giudiziarie e carcerarie.

Ripensare al sistema degli appalti
Il sistema degli appalti, impostoci dall’Unione Europea, è pensato per le grandi imprese e i grandi appalti. Il solo costo per la partecipazione e la rendicontazione di un appalto, insieme ai ritardi nei pagamenti, arriva al 20% dell’intero importo. L’Italia si regge per il 90% su piccole e medie imprese, molte delle quali sono fallite per l’impossibilità di partecipare a un appalto o addirittura di sopportarne il peso. Ripensare il sistema, per esempio limitando l’obbligo dell’appalto a valori sopra il milione di euro, ridarebbe vita a centinaia di piccole e medie imprese e creerebbe migliaia di posti di lavoro stabile.

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(*) In Ungheria, il gruppo tedesco di elettronica di consumo Roberto Bosch versa il 3,69% su un giro d’affari di 1,4 miliardi. La connazionale Audi paga precisamente zero per cento sui suoi 8,3 miliardi di euro di ricavi. E una controllata dell’americana General Electric su entrate per 9,1 miliardi di euro versa in tasse lo 0,0024% del suo reddito. In Bulgaria le prime dieci grandi imprese fatturano somme pari a un quarto del reddito nazionale e vi pagano imposte in apparenza dello 0,2%, ma in realtà molto di meno. In Repubblica Ceca Foxconn, il grande subfornitore taiwanese di Apple e altri gruppi tecnologici, paga il 6,98% su quasi cinque miliardi di ricavi.

Eva Zenith

10/7/2018 miogiornale.com

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