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    Blog, Cronache Politiche — Dicembre 12, 2014 5:27 pm

    Rifondazione Comunista di Roma aveva avvisato da anni la politica e i media della commistione politica e affari illeciti. Fabio Alberti è stato fino al 2013 il segretario della Federazione della sinistra a Roma. Sotto la sua direzione e quella di Fabio Nobile, fu pubblicato il dossier Alemanno, un approfondimento della figura del sindaco uscente poi puntualmente confermato nelle sue linee dall’inchiesta di questi giorni della procura di Roma

    Le vere cupole nere di Roma.

    Pubblicato da franco.cilenti

    Le vere cupole nere di Roma

    Anche se, come sempre, la realtà supera la fantasia l’inchiesta “Mondo di mezzo” non fa che precisare i contorni, anche se non ancora l’estensione, di qualcosa che in molti immaginavano a Roma e che Rifondazione aveva denunciato, nella sua sostanza politica, nel “dossier Alemanno”, allora rimasto ignorato dalla stampa.
    Molte analisi e descrizioni sono state prodotte sinora e appare pacifico, salvo ogni verifica giudiziaria, che a Roma, con la destra al potere, si sia prodotto un sistema di sottogoverno cittadino, dai confini estesi, imperniato intorno alla riconversione criminale della destra eversiva che ha visto la partecipazione di soggetti politici, economici e criminali di diversa estrazione.

    Ma se il bubbone fascio-mafioso ha potuto incistarsi così in profondità nel sistema politico cittadino forse non è possibile spiegarlo solo con lo sdoganamento dell’estrema destra, con la sua riconversione affaristica e con la necessità di Alemanno di costruire da zero un sistema di potere che lo sorreggesse nel governo della città, e dicompensare chi ce lo aveva portato.

    Occorre andare più in profondità perchè se assalto alla diligenza c’è stato è, forse, anche perchè la diligenza non era adeguatamente protetta.

    La notiza (conferma?) che dalla gestione dei residence dell’assistenza alloggiativa, a quella dei campi nomadi, l’assegnazione di servizi per conto del comune avveniva con metodo clientelare e sotto pressioni di stampo mafioso non è che l’ultima di una lunga serie di inchieste che hanno toccato innumerevoli campi dell’amministrazione della città, in cui l’incontro tra il pubblico e il privato si è risolto in un inciucio, quando non in un reato.

    Scorrendo velocemente gli ultimi anni di cronaca giudiziaria ricordiamo che l’attenzione dei magistrati è stata di volta in volta attirata dalle concessioni per i Punti Verdi Qualità, per il Piano Urbano Parcheggi, per la ristruturazione dei mercati, per la bigliettazione dell’ATAC, per gli appalti e le assunzioni nelle municipalizzate, per la gestione dei rifiuti, …. Con decine o forse centinaia di indagati, che aveva già delineato un modus operandi nel quale la collaborazione con i privati si risolveva spesso nella ricerca di cointeressenze nelle quali il bene pubblico non appariva.

    Alcune di queste inchieste vanno indietro negli anni, come quella sui mondiali di nuoto, con il suo rosario di piscine, opere incomplete ed abusi edilizi e molti dei programmi capitolini interessati, PvQ, PUP, campi nomadi, hanno un’origine anteriore all’ascesa al potere della destra destando il sospetto che Mafia Capitale, e non solo, si siano inseriti in un modus operandi che non è stato inventato da zero e che, se ha assunto solo nel tempo i contorni criminali, fino all’apoteosi alemanniana, ne conteneva già in se i germi.
    Aldo Pirrone lo ha definito “Un sistema di potere germinato e cresciuto durante le amministrazioni del “modello romano”… diventato metastasi incurabile con il centrodestra”

    Il fatto è che, ad esempio, dalla teorizzazione negli anni ‘80 dell’”urbanistica contrattata”, con la rinuncia alla battaglia sul diritto dei suoli e dall’invenzione delle “compensazioni edificatorie” istituite per realizzare il parco di Tor Marancia senza inimicarsi i costruttori, si è passati ad una ”urbanistica partecipata”, in cui a partecipare erano solo i proprietari dei suoli, come ha ben documentato Report a proposito del Piano regolatore di Roma, per la definizione del quale sono state respinte il 95% delle osservazioni dei cittadini.

    Il ricco, anche se frastagliato ed disperso, arcipelago di cittadinanza attiva rappresentato dalla miriade di comitati popolari che anima da sempre il panorama politico romano è rimasto fuori dalla porta. Ad esempio non è mai successo che i processi partecipativi sulla scelte urbanistiche abbiano mai portato all’azzeramento di un progetto, ma solo, quando è accaduto, a sue parziali modifiche.

    Con i PvQ e i PUP, ad esempio il comune ha abdicato alla programmazione urbanistica privatizzandola di fatto ed analogamente è successo nel sociale attraverso la esternalizzazione di innumerevoli funzioni. C’è certamente differenza tra queste due fattispecie, ma in ambedue c’è la rinuncia a governare e la striscinate trasformazione della funzione di governo in quella di orientamento di flussi di risorse. In una concezione secondo cui qualche briciola potevano distribuirla tutti.

    “Se nun posso decide a chi da’ i contributi che me so fatto elegge a fa?” Rispondeva così un assessore a chi gli chiedeva perchè non era stato fatto un bando pubblico. “Abbiamo appena presentato un progetto” è la spiegazione che mi fu data di una collocazione elettorale.
    Ecco: questa concezione della funzione di governo come quella che decide a chi vanno le risorse e non cosa si debba fare si è affermata in Campidoglio da tempo coinvolgendo maggioranze ed opposizioni. Non si tratta, spesso, di fatti criminali, ma di un crinale pericoloso le cui conseguenze si dipanano nel tempo andando dalla clientela al crimine.

    Da un punto di vista politico la questione rinvia alla rottura del legame, avvenuta nel corso degli anni ‘90, tra il popolo di Roma e l’allora PdS , quando alla ricerca affannosa di una diversa legittimazione si è cominciato a contendere alla destra il terreno della rappresentanza degli interessi economici. E’ successo così che mentre le periferie, che avevano portato al potere il PCI con Petroselli, venivano di fatto abbandonate, Caltagirone veniva invitato in consiglio comunale come “La FIAT di Roma”, nella convinzione che “a Roma non si governa senza un compromesso con i poteri forti”.

    Sono così nati i “costruttori di riferimento”, facilmente individuabili con una lettura attenta degli umori del Messsaggero, che da sempre cambiano bandiera secondo convenienza. E se il Businnes park di Tor di Valle, impropriamente definito “Stadio”, si farà, vuol dire che questi ancora dettano legge.

    Ciò che è fallito, traformandosi in un maleodorante crogiulo di nefandezze, è un’idea del rapporto con il privato. Si dice che a Roma esistano, e da tempo, tavoli di concertazione in cui politica ed economia codecidono le scelte fondamentali per la città. Che qualcuno si sia voluto sedere a quel tavolo con violenza è grave, ma perchè questo non avvenga occorre far saltare il tavolo. E riportare nelle strade, tra i cittadini e nelle periferie il luogo di coprogettazione del futuro.

    E’ una sfida questa che riguarda anche la sinistra radicale. Da troppo tempo frastagliata in mille rivoli, alla rincorsa del proprio particulare, rischiando di perdere la visione d’insieme e il radicamento sociale ed alle volte, in passato, anche tentata dal sedersi a tavola.

    FABIO ALBERTI

    11/12/2014 www.controlacrisi.org

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    Autore: franco.cilenti
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