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    La gestione dell’emergenza pone gravi rischi per l’ordinata convivenza costituzionale. Per questo, nonostante le restrizioni, i cittadini devono essere messi in condizione di partecipare criticamente alle decisioni e alle scelte con gli strumenti della democrazia diretta e con l’uso di forme di consultazione anche telematica.

    L’emergenza, i rischi, le prospettive

    Pubblicato da franco.cilenti

    1. L’emergenza e i rischi dell’incertezza

    Il 30 gennaio del 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il Covid-19 un’«emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale». In Italia, il giorno successivo, una Delibera del Consiglio dei Ministri (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili – 20A00737 – GU Serie Generale n. 26 del 01-02-2020) proclamava per sei mesi lo “stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. La delibera individuava nella Protezione Civile il principale attuatore, espressamente rinviando al c.d. Codice della Protezione Civile (DL 1 2/1/2018 in GU 17 22/1/18). Essa individuava nel 31 luglio la data conclusiva dell’emergenza.

    Il 23 febbraio per la prima volta veniva utilizzata una fonte di rango primario di rilevanza costituzionale, il Decreto Legge n. 6, contenente “Misure urgenti di contenimento e gestione dell’ emergenza epidemiologica da Covid-19”. Di lì in poi, diversi successivi Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), Decreti ministeriali (DM) e una pletora di altri interventi regionali e comunali in nome dell’emergenza, introducevano, aprendo forti criticità sotto il profilo della riserva di legge, misure che sospendono diritti costituzionali fondamentali, quali la libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio nazionale (Art 16), di riunione (Art.17) e perfino di professione della fede religiosa, vietando l’accesso ai luoghi del culto (Art 19).

    L’attività emergenziale, sostanzialmente priva di controlli formali, dell’autorità pubblica centrale, si diffonde pericolosamente e irritualmente su base locale e regionale attraverso forme decisorie, a livello locale (regionale e comunale), caotiche, confliggenti e comunque estranee sia al rispetto della esclusività della competenza della legislazione dello Stato (art. 117 c. 2 lett. q) che al riconoscimento dell’esercizio unitario delle funzioni amministrative soggette ad adeguate condizioni di sussidiarietà (art. 118 comma 1), vincolate dal livello unitario attribuito dalla dichiarata emergenza su tutto il territorio nazionale esercitata con la richiamata Delibera de Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020.

    La scarsa coerenza determinata dalla pluralità dei livelli di attuazione ha manifestato intempestività decisionale nonché difformità interpretative e applicative esponendo talvolta il diritto fondamentale alla salute (art. 32 ) e i diritti civili che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ad estemporanei protagonismi locali svincolati dalla effettiva possibilità di fornire pronta e adeguata disponibilità logistica e operativa, di personale e delle dotazioni necessarie per fronteggiare l’emergenza nazionale in atto, ancorché diversamente articolata sul territorio. Continue sono le ordinanze amministrative, spesso difformi dalla Costituzione e dai Decreti del Governo, che creano un’oggettiva incertezza per i cittadini, chiamati ad un impossibile sforzo di comprensione ed interpretazione di precetti, la cui violazione comporta sanzioni penali e amministrative. Un esempio ultimo: la lodevole circolare del Ministero Interni del 31 marzo, a firma del Capo di Gabinetto, che accoglie le istanze dal basso di un movimento di genitori (diversi dei quali parte del nostro Comitato nella campagna di ragionevolezza #iocistodentro) che aveva domandato l’«ora d’aria per i fanciulli». Questa ordinanza, che avrebbe dovuto chiarire dubbi interpretativi direttamente legati all’esercizio di diritti fondamentali, utilizza purtroppo un linguaggio assolutamente incomprensibile: «Nel rammentare che resta non consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto ed accedere ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici, si evidenzia che l’attività motoria generalmente consentita non va intesa come equivalente all’attività sportiva (jogging) tenuto anche conto che l’attuale disposizione di cui all’Art. 1 del Decreto del Presidente Consiglio dei Ministri del 9 marzo scorso tiene distinte le due ipotesi, potendosi far ricomprendere nella prima, come già detto, il camminare in prossimità della propria abitazione». Si può fare o non si può fare jogging? Di fronte a quel testo, che guiderà l’azione repressiva della Polizia, alcuni giornali riportavano che il jogging è ammesso ed altri che è vietato. Il rischio di arbitrio di ogni singola pattuglia è del tutto evidente.

    Lo stato di emergenza è estraneo all’ordinamento giuridico costituzionale, ancorché previsto da una Legge Ordinaria, come il suddetto Codice della Protezione Civile. La nostra Costituzione prevede, quali strumenti nelle mani del potere esecutivo (Governo) atti a limitare le libertà fondamentali, unicamente il decreto legge di cui all’art. 77 della Costituzione e i decreti extra ordinem, in caso di guerra, che tuttavia trovano il loro fondamento nell’art. 78 Cost. e nella deliberazione del Parlamento. Il presente regime emergenziale, indipendentemente dalle migliori intenzioni del Governo in carica, trova il proprio fondamento in situazioni di fatto che non presentano una copertura costituzionale né normativa di rango primario, in violazione del principio di legalità e della Costituzione, intesa innanzitutto quale limite al potere. Difatti, i DPCM, ma anche i DM, quali atti monocratici di rango sub-secondario, sfuggono a qualsivoglia controllo di legittimità, da parte del Parlamento, del Capo dello Stato, nonché della Corte costituzionale. Le varie e talvolta contraddittorie decisioni degli “attuatori”, che coinvolgono ingenti utilizzi di denaro pubblico, sono del tutto incontrollabili, con gli strumenti del diritto, da parte dei cittadini.

    La debolezza giuridica complessiva prodotta dal pluralismo incontrollato di tali strumenti normativi sta già generando su base locale una normazione autoritaria dell’emergenza che lascia​ convivere​ misure​ nei​ fatti​ contraddittorie. Per esempio, ridurre​ orari​ degli autobus e delle attività commerciali crea occasioni di affollamento, in contraddizione con il distanziamento sociale, che giustifica il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione e la chiusura, ormai a tempo indeterminato, delle scuole e di talune attività produttive ed imprenditoriali. Similmente, rafforzare ​ controlli ​ anche ​ militari ​ a ​ tappeto produce affollamento ​ e ​ contatti ​ sociali potenzialmente contagiosi ​fra ​ cittadini ​ e ​ forze ​ dell’ordine. Diverse attività all’aperto, quali il suddetto jogging, sono salubri e desiderabili se condotte a ​distanza di ​ sicurezza, sicché comprimerle arbitrariamente può costituire, in molti casi, lesione alla salute fisica e psichica di consociati già sottoposti a forte stress.

    Inoltre, il diritto alla salute è messo drammaticamente in crisi dal sovraffollamento carcerario e dal mantenimento di strutture detentive come i CPR ormai prive di senso perfino nella loro stessa logica, considerato che i confini nazionali sono sigillati.

    2. L’emergenza e i rischi del pensiero unico

    Anche il diritto di libera espressione del pensiero (art. 21 Costituzione), della scienza (art. 33 Costituzione), della segretezza della comunicazione (c.d. privacy art. 15), sono a rischio, quando l’approccio emergenziale si impadronisce, fuori controllo, dell’ordinamento giuridico. Per la prima volta dal dopoguerra, infatti, ci si trova di fronte a una manifestazione di sovranità globale negli apparati medici dell’OMS, legittimata dalla diffusione, pericolosità e conseguente paura del virus. In questo stato di emergenza, una parte estremamente cospicua (se non la totalità) del potere politico è così esercitato da commissari speciali, da attuatori locali (Presidenti delle Regioni), e dalla Protezione Civile, in nome del diritto alla Salute (art. 32 Costituzione), senza operare i necessari bilanciamenti. La copertura politica è offerta così inevitabilmente da “Comitati tecnico-scientifici” che surrogano la sensibilità politica delle istituzioni costituzionalmente legittime con una visione rigida, settoriale e unilaterale perché non idonei a operare i bilanciamenti necessari alla politica e al diritto. I rischi sono fin troppo evidenti.

    Facendosi portatrice di tale visione, il 19 marzo l’AGCOM, interveniva, seppur con un mero comunicato stampa (https://www.agcom.it/documents/10179/1789780), annunciando di voler impedire «la diffusione in rete e in particolare sui social media di informazioni relative al Coronavirus non corrette o comunque diffuse da fonti non scientificamente accreditate» con misure che devono «prevedere sistemi efficaci di individuazione e segnalazione degli illeciti e dei loro responsabili». Si corre il rischio che solo una verità scientifica ufficiale, in violazione del principio pluralista, possa legittimare il diritto di espressione del pensiero (art 21 Cost.).

    3. Il dovere civile del Comitato Rodotà

    Di fronte a questi che ci sono parsi come gravi rischi per quell’ordinata convivenza costituzionale che costituisce il principale bene comune della nostra Repubblica, il Comitato Rodotà, pur nell’assoluto rispetto del lavoro svolto dalle istituzioni in condizioni sanitarie difficilissime (sulle cui cause infra) e del sacrificio di tante persone di buona volontà, interviene qui in virtù della sua posizione assolutamente apartitica e del proprio mandato statutario. Abbiamo come scopo istituzionale quello di difendere la democrazia diretta e partecipativa, i cui spazi sono essenziali per la piena valorizzazione dei beni pubblici e comuni. Siamo convinti che solo la piena partecipazione e vigilanza popolare possa consentire di superare i momenti di crisi, scongiurando comportamenti opportunistici e conflitti di interesse sempre in agguato. Per questo pretendiamo, a costo di sembrare intempestivi in questa fase drammatica, di vivere in un’Italia i cui cittadini possano salvaguardare, senza alcuna soluzione di continuità neppure emergenziale, un ordine costituzionale in cui «la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 Cost.).

    4. L’emergenza prodotta dallo smantellamento del SSN

    Il Comitato Rodotà è inoltre statutariamente chiamato in causa dall’emergenza, in realtà primaria nei fatti e nella cronologia degli eventi, della costante elusione dell’art. 32 della Costituzione successivo alla trasformazione delle nostre USL in ASL (L. 23/10/92), che impediscono alla salute di concretizzarsi come bene comune con presidi sanitari come beni pubblici sociali per le seguenti ragioni:

    1) il Servizio Sanitario Nazionale, istituito con D.Lgs 833/78, nasce per un’offerta di salute universale. La sua natura è stata disattesa fino a divenire con la Legge del 23.101992 n.421 un sistema amministrativo-economico-finanziario e dunque politico che ha trasformato il malato in cliente;

    2) con l’istituzione dei Servizi Sanitari Regionali l’offerta di salute è divenuta sperequata così da imporre ai cittadini il pendolarismo sanitario verso strutture più progredite;

    3) ciò malgrado, 10 Regioni su 20, tutte quelle del Sud, in totale disavanzo, sono state poste in Piani di Rientro, con peggioramento del rendimento;

    4) con lo smantellamento della Medicina Territoriale si è persa ogni possibilità di filtro delle patologie nel territorio e creato interminabili liste d’attesa nelle Aziende Ospedaliere;

    5) a ciò si aggiunga la progressiva sterilizzazione dei finanziamenti e la chiusura dei posti letto da 311 mila nel 1998 a 191 mila nel 2020 (- 40%).

    Quanto sopra ha pregiudicato la nostra risposta sanitaria all’emergenza.

    5. Politica e cittadinanza nell’emergenza

    Nonostante il virus, il popolo è fatto di cittadini attivi che non devono trasformarsi in pazienti passivi. L’emergenza ha nei fatti sospeso la partecipazione politica della cittadinanza, che resta priva di canali istituzionali (e non: piazze chiuse) per contribuire alla cosa pubblica. Si tratta di una tragica necessità, forse, ma ancor più tragico è sostituire il dibattito politico con l’esercizio a volte irragionevole del potere di fatto, in cui le scelte sono determinate da vere o presunte verità scientifiche o promesse tecnologiche. La scienza non conosce verità, ma solo ipotesi falsificabili. Nei sistemi complessi non ci sono relazioni lineari di causa-effetto. I medici hanno il dovere di curare i malati, ma è la politica che deve metterli in condizioni di farlo, senza richieder loro eroismo, tutelandone l’incolumità fisica tramite dotazioni degne degli standard che si possono pretendere da un moderno paese industrializzato. Tutto il corpo politico, il che include la cittadinanza attiva, deve poter contribuire al bilanciamento di interessi costituzionali in conflitto attraverso scelte responsabili, anche tragiche. Molte morti inevitabilmente seguiranno la distruzione dell’economia e delle relazioni sociali, così come molte sono seguite allo smantellamento della nostra sanità pubblica, oggi ridotta ad un terzo dei posti pro capite in terapia intensiva rispetto alla Germania e meno della metà rispetto alla Francia. Il diritto deve continuare a presiedere alla ragionevolezza delle scelte politiche che andranno fatte.

    In nome di questa ragionevolezza, il Comitato Rodotà invoca un immediato seppur graduale ritorno alla normalità costituzionale attraverso il rispetto assoluto da parte di tutti i decisori istituzionali delle sue forme, considerato che nel diritto la forma è sostanza. Il rischio di derive autoritarie permanenti è troppo grave in una fase tanto drammatica quanto la presente, in cui forze eversive potrebbero mettere in discussione non solo le forme ma anche i valori della Costituzione. Occorre dunque ribadire con forza che il Parlamento non può assentarsi, perché la nostra è Repubblica Parlamentare; che il Presidente del Consiglio non può decidere da solo, perché il potere esecutivo appartiene al Governo collegialmente;le fonti secondarie o addirittura sub-secondarie, non possono mai comprimere i diritti costituzionali fondamentali; che sulla Costituzione hanno il dovere di vigilare il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale.

    6. L’emergenza: i rischi del suo protrarsi e la necessità di una piattaforma tecnologica pubblica

    Oggi gli strumenti di controllo sociale di natura tecnologica sono troppo invasivi e incontrollabili dalle istituzioni politicamente legittime per poter essere adottati in clima di panico, sulla base di semplici potenzialità di rafforzare la lotta al virus. Masse di dati sensibili rischiano di finire nelle mani di società private transnazionali, che certo non li utilizzano nel solo interesse della polis. Servono garanzie di vigilanza partecipata forte ed immediata su soluzioni tecnologiche che possono definitivamente affossare la già screditata privacy, bene comune fondamentale, che fu tanto caro a Stefano Rodotà. Servono dunque forme popolari di controllo sull’ utilizzo delle nuove tecnologie. Per farlo occorrono garanzie pubbliche di accesso alla rete.

    Il Comitato Rodotà, oltre al proprio cordoglio per le vittime di questa tragedia, ha il dovere di manifestare dunque la propria preoccupazione crescente per la protratta marginalizzazione della cittadinanza nei processi decisionali e pretende che la temporaneità dell’emergenza sia garantita dall’istituzione immediata di forme ufficiali di partecipazione politica anche in rete. L’impossibilità di incontri pubblici di natura politica impedisce nei fatti il controllo sull’indirizzo politico del governo, con conseguenti rischi di derive autoritarie ed arbitrarie di fronte a scelte che devono coinvolgere tutti.

    Le pratiche estrattive del capitalismo, fondate sul trauma sociale, sono assai ben documentate in letteratura. Diviene dunque ancor più essenziale, dopo quanto sperimentato con la nostra raccolta firme per la Legge di iniziativa popolare, che l’Italia si doti immediatamente di una infrastruttura telematica pubblica, al fine di garantire i principi della rappresentanza, senza ulteriori pericolosi rinvii, nonché valorizzare gli strumenti di democrazia partecipativa e diretta previsti dalla nostra Costituzione. Il referendum costituzionale sul numero dei parlamentari non può essere rinviato sine die e potrebbe essere la prima occasione concreta di riflessione sull’utilizzo di una tale piattaforma. Anche gli articoli 71 e 75 della Costituzione sono sospesi perché i decreti di emergenza fanno venire meno le condizioni materiali per la raccolta delle firme.

    Il popolo sovrano deve essere messo nelle condizioni di esprimere, tra l’altro, tramite lo strumento referendario (art.75) e l’iniziativa legislativa popolate (art. 71, comma 2) la propria propulsione critica nei settori più drammaticamente colpiti da questa crisi. Solo così potremo restare cittadini uniti in un corpo politico e preoccupati davvero per la cosa pubblica, evitando di trasformarci in pazienti passivi, preoccupati unicamente ed individualmente, quali fragili monadi, per la nuda vita propria e dei propri cari, vedendo il prossimo come un pericolo.

    7. Verso una proposta referendaria sul SSN

    Fin d’ora il Comitato Rodotà annuncia che intende istituire un gruppo di lavoro di giuristi, antropologi ed esperti di sanità, volto a studiare la proposizione di un Referendum per l’abrogazione della normativa che con la riforma del 1992 (L. 23/10/1992 n 421) ha reso la nostra sanità pubblica esposta al virus neoliberale, producendone l’indebolimento strutturale a favore dei privati, causa principale del disastro sociale in corso.

    L’Assemblea dà perciò mandato agli organi politici del nostro Comitato di avviare le interlocuzioni necessarie, a partire dai soggetti con cui il 6/3/2020 si è aperto il tavolo di lavoro finalizzato all’istituzione di una rete permanente per la difesa dei beni comuni, per la costruzione di una vasta coalizione sociale, dotata di sufficiente forza politica per organizzare la campagna referendaria. Anche a tal fine si approva l’adesione all’appello che Medicina Democratica ha rivolto a Partiti e Movimenti sociali, riconoscendoci in quell’ipotesi di lavoro. La coalizione a vocazione referendaria che intendiamo contribuire a costruire, dovrà servire quale nucleo di una rete permanente di cittadinanza capace di attivarsi e reagire, nel caso che l’emergenza Coronavirus venga trasformata in occasione di smantellamento e saccheggio dei beni pubblici e comuni degli italiani. È verosimile infatti che la speculazione internazionale possa beneficiare della mantenuta apertura delle Borse e di altre fragilità finanziarie che potrebbero facilitare l’alienazione di nuovi strategici cespiti pubblici. Nella nostra impostazione culturale la salute è un bene comune e i presidi sanitari devono essere normati in modo coerente con la loro funzione di beni pubblici sociali a suo tempo individuata dal Comitato Rodotà. Per poterli ben governare occorrono risorse anche ingenti e il patrimonio pubblico non va mai più ridotto. Per questo motivo, il lavoro politico, anche di natura parlamentare, necessario per calendarizzare la discussione della LIP di riforma del Codice Civile, non va interrotto e nemmeno la sua intensità diminuita. Si tratta di una riforma strutturale ancor più essenziale dopo questa crisi.

    8. Conclusione: il nostro impegno costante per le generazioni future

    Il Comitato Rodotà contestualmente proseguirà nella sua azione civile, anche in altri settori, quali ad esempio quello della scuola pubblica, (anche lanciando innovativi progetti di eco-alfabetizzazione delle generazioni future), del cibo come bene comune essenziale (questione destinata a diventare drammatica nel dopo-crisi), o dell’implementazione del principio di precauzione, di fronte a trasformazioni tecnologiche quali la rete 5G, che la crisi rischia di far accettare in modo ancora più acritico.

    Condurremo il nostro lavoro con il contributo dei cittadini e delle cittadine che aderiranno, insieme alle organizzazioni che ci hanno accompagnato nella campagna raccolta firme per la  LIP e alle altre coinvolte nella Rete permanente. Vogliamo contribuire, con umiltà e senza alcuna pretesa di primogenitura, alla costruzione di un necessario nuovo ordine, che faccia tesoro della dura lezione di ecologia impartito dal COVID19 al nostro modello di sviluppo.

    La ricostruzione che vogliamo, e che va incominciata subito, senza polemiche strumentali e di partito e nello spirito di leale collaborazione con le istituzioni e con i movimenti sociali che ha sempre caratterizzato l’azione del Comitato Rodotà, su tutto potrà fondarsi fuorché sulla confusione e sul protagonismo normativo d’occasione, basato su dogmi scientifici o fideismi tecnologici. Servirà un dibattito politico approfondito, libero, competente e partecipato, capace di valutare nell’interesse della salute, dei beni comuni, dei diritti e dei doveri di tutti, le opzioni che le trasformazioni politiche e tecnologiche del capitalismo mettono sul tavolo.

    * È la mozione approvata nell’assemblea straordinaria del Comitato svolta in videoconferenza il 4 aprile (con 400 partecipanti). La mozione è stata approvata con il voto favorevole di tutti i partecipanti meno 2.

    Comitato Rodotà

    5/4/2020 https://generazionifuture.org/

    Tags: beni comuni comitato Rodotà Coronavirus costituzione Covid-19 democrazia diritto di critica Emergenza sanitaria governo partecipazione salute
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    Autore: franco.cilenti
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